Maggio Musicale Fiorentino

Trovatore e Rigoletto, popolari ma con raffinatezza. Le due opere verdiane entusiasmano il pubblico del Maggio

Particolare e molto coinvolgente la direzione di Fabio Luisi, decisamente buoni i cast vocali. Qualche riserva sulla regia, che ha comunque una sua suggestione.

di Domenico Del Nero

Trovatore e Rigoletto, popolari ma con raffinatezza.  Le due opere verdiane entusiasmano il pubblico del Maggio

Medioevo e Rinascimento; ma l’età di mezzo è vista attraverso la lente deformante del romanticismo, mentre il Cinquecento di Hugo puzza di libertinaggio e corruzione. Stiamo parlando di Trovatore e Rigoletto, i due titoli della trilogia popolare verdiana che stanno in questi giorni entusiasmando la platea del teatro del Maggio Musicale Fiorentino; stasera debutterà Traviata. [1]

I commenti sui due spettacoli sono stati in genere positivi sulla parte musicale, meno su quella scenica: atteggiamento che in effetti rispecchia anche l’atteggiamento del pubblico, che ha calorosamente applaudito gli interpreti ma non altrettanto la regia. C’è chi ha addirittura parlato di una replica del caso Carmen

Ora, senza voler essere particolarmente teneri con certe tendenze registiche (ma nemmeno pregiudizialmente ostili) un commento del genere sembra decisamente eccessivo e fuori luogo. La regia di Francesco Micheli, almeno in queste prime due opere, mantiene quanto più volte annunciato: un tentativo di trovare un filo conduttore che leghi le tre opere e renderlo attuale. Tentativi di questo genere sono sempre rischiosi, hanno spesso delle “zone d’ombra” e provocano spesso perplessità e scontento; a volte giustificati, a volte meno; ma se il progetto di Micheli può legittimamente  non piacere  (come qualsiasi altro, del resto!),  dire che abbia stravolto Verdi è  ben altra cosa.

Partiamo dunque dal primo titolo rappresentato, il Trovatore .[2] Micheli concepisce l’opera come una sorta di racconto epico, con un Ferrando che ricorda molto Verdi che muove i suoi “pupi”. Le marionette sono del resto un vero e proprio leitmotiv nella regia di quest’opera, a volte giungono anche “dal cielo” e vengono manovrate da un coro che indossa sempre abiti moderni, mentre i costumi dei personaggi – molto belli – di Alessio Rosati sono “d’epoca”. Sembra dunque esserci un connubio tra un medioevo “fiabesco” (anche se una fiaba truce e violenta, come lo sono spesso quelle romantiche”) e una dimensione atemporale;  richiamata anche dai tre schermi che rappresentano all’inizio dell’opera il tricolore e poi si trasformano in strutture mobili, due delle quali  strutturate con due piani collegati da una scala a chiocciola laterale, mentre un’altra rappresenta  una sorta di gigantesco armadio con cassetti, da cui Ferrando estrae pezzi di marionetta, forse in omaggio al gusto del macabro e dell’orrido proprio del “medioevo romantico”. Ciascuna opera come è noto ha il suo “colore dominante” che in Trovatore è il rosso del sangue, della passione e della “vampa”.

Sempre nell’ottica del racconto popolare rientra l’apparizione quasi “mariana” di Azucena, in una sorta di Baldacchino con candele. Azucena è in realtà il vero deus ex machina della vicenda e questo la regia lo sottolinea molto bene. Forse risulta un po’ statica la funzione del coro, che però in quest’opera è in effetti più di “commento” che non di partecipazione all’azione vera e propria: una visione, come lo stesso Micheli aveva dichiarato, che ricorda per certi aspetti il coro della tragedia greca.  A costo di ripeterci: può sicuramente piacere o meno, ma si tratta di una visione che ha una sua logica e una sua dignità.

Per quanto riguarda la parte musicale, c’è anzitutto da sottolineare la straordinaria direzione di Fabio Luisi, che tende in entrambe le opere a dare una lettura di Verdi decisamente personale e molto suggestiva. Difronte a partiture (specie quella del Trovatore ) che sono state sovente accusate di  rozzezza e approssimazione nella parte strumentale (difetti che  magari venivano accentuati da direzioni sin troppo roboanti e “bandistiche”) Luisi reagisce prima di tutto sottolineando effetti, impasti e sfumature con una “leggerezza” che però non oblitera il vigore e la forza tutta romantica dell’opera. Certo Verdi non si preoccupa (non in questa fase almeno) come prima di lui Rossini della grande tradizione sinfonica europea e soprattutto del mondo germanico; ma è vero che anche nel Trovatore vi sono straordinari momenti di lirismo (come la romanza di Leonora D’amor sull’ali rosee ) in cui l’accompagnamento orchestrale diventa veramente un complemento indispensabile della voce. Persino passaggi come il coro dei gitani, senza nulla perdere del loro vigore, acquistano sotto la bacchetta di Luisi una grazia e un fascino prima decisamente sconosciuti. Come sempre, orchestra e coro rispondono alla perfezione dando il meglio di sé e confermandosi complessi di valore straordinario. Ottima la coordinazione tra golfo mistico e palcoscenico.

Per quanto riguarda il cast. Tutti gli interpreti principali si sono dimostrati di ottimo livello: Gabriele Sagona è stato un Ferrando dal timbro forse un po’ troppo chiaro ma di buon fraseggio e presenza scenica.  Per il ruolo di Manrico, che è un lirico spinto e quindi di notevole difficoltà esecutiva, ha dato ottima prova di sé Piero Pretti, interprete dalla voce calda e ben modulata, potente negli acuti e con una grande cura del fraseggio.  Più che ricalcare le orme di certe voci “scultoree” del passato, Pretti preferisce dar vita a un personaggio impetuoso, ma molto giovane e sognatore: non è soltanto un guerriero ma è anche e soprattutto un poeta innamorato.

E a proposito di passato: se Azucena richiama alla mente il nome di Fedora Barbieri, il mezzosoprano russo Olesya Petrova ci offre un personaggio dotato di un magnifico timbro scuro, con grande abilità nel registro acuto; la sua è una Azucena  ieratica e drammatica, senza eccessi ma di grande efficacia sia vocale che scenica.

La Leonora di Jennifer Rowley non è sempre brillante nel fraseggio, ma presenta una buona padronanza del registro acuto e nelle colorature. Il conte di Luna di Massimo Cavalletti (baritono) è apparso un po’ più discontinuo; talvolta a disagio (come nell’aria il balen del suo sorriso, cantata con una discreta potenza vocale ma in modo un po’ incolore) è riuscito comunque nel complesso a presentare un personaggio credibile ed avvincente.

Grande e meritato successo: opera decisamente da vedere ( ultimo spettacolo sabato 22 settembre ore 20).

Per quanto concerne Rigoletto,[3] il colore dominante è invece il verde; non simbolo di speranza ma di collera e rancore. La visione di Micheli è molto negativa: si può dire che nessun personaggio sia interamente positivo, nemmeno Gilda che non è immune da menzogna, mentre per Rigoletto non c’è redenzione neppure nel dolore. Non per nulla il tema dominante è qui la maschera, che diventa elemento costituivo dei personaggi; ma una maschera sotto la quale c’è il nulla, il vuoto; una visione quasi “pirandelliana. Gli elementi scenici sono gli stessi del Trovatore, anche se qui prevale forse una visione più “atemporale”. Micheli insiste molto sull’aspetto del libertinaggio, forse in modo un po’ eccessivo; persino l’incolore Giovanna civetta con il duca! Curiosa poi l’idea di Sparafucile che maschera la sua reale attività con quella della vendita delle rose; dato appunto il suo mestiere di assassino, sarebbero stati più credibili i crisantemi. Grande spazio è poi dato a un personaggio appena menzionato nel libretto, cioè la duchessa, a cui il libertino consorte sembra alla fine sempre ritornare. Ma a parte queste stranezze, anche qui il discorso scenico ha una sua logica, anche se forse meno suggestiva rispetto al Trovatore. I costumi, sempre di Alessio Rosati, sono forse qui più anonimi e incolori.  Più dinamico e vivace il ruolo del coro, che qui del resto ha una sua parte anche nell’azione.

Per quanto riguarda la direzione Fabio Luisi si conferma ancora una volta interprete straordinario. Luisi riesce infatti a equilibrare energia e senso della misura, in una lettura omogenea che evita anche qui certi eccessi senza con questo smorzare il rigore della partitura.  Questa omogeneità non esclude poi momenti e situazioni particolari: nella festa del primo atto ad esempio le danze sono eseguite con straordinaria raffinatezza, tanto da dare un colore davvero “rinascimentale” a una pagina che sovente è stata bollata come poco accurata e superficiale. Ancora una volta, il rapporto tra fossa d’orchestra e palcoscenico è perfetto. Strano solo che qui il maestro abbia optato per un rispetto pressoché integrale della partitura, mentre per il Trovatore ci sono stati diversi tagli.  Anche qui orchestra e coro rispondono magnificamente e danno il meglio di sé.

E ancora una volta, un cast vocale di tutto, anzi di grande rispetto: il giovane tenore Iván Ayón Rivas è un duca di Mantova impetuoso, con un bel timbro, buon fraseggio e una notevole estensione vocale. A volte forse è un po’ troppo “debordante” e ha bisogno di qualche rifinitura, ma nel complesso è un ottimo cantante fornito anche di discreta abilità scenica: è riuscito a dar vita a un personaggio tutto sommato simpatico, cosa non certo usuale per il duca di Mantova.  Un giovane davvero da tenere d’occhio.

Molto suggestivo il Rigoletto del baritono Yngve Søberg; personaggio sicuramente “negativo”, ma più riflessivo che esagitato. Vocalmente è molto accurato nel fraseggio e forse un po’ più incerto negli acuti, ma ha un bel timbro e una discreta ricchezza di colori; una buona prova senza dubbio.

La Gilda di Jessica Nuccio è stata un personaggio dolce e appassionato insieme, dalla voce piena e robusta; discreto lo Sparafucile di Giorgio Giuseppini. 

Ottimo ( e ancora migliore che nel Trovatore) anche il gioco di luci di Daniele Naldi.  Altro spettacolo decisamente da vedere e da apprezzare: ultime repliche mercoledì 26 settembre (ore 20) e sabato 29 (ore 15,30)

 

 



[2] La recensione si riferisce alla recita di mercoledì 19 settembre.

[3] La recensione si riferisce alla recita di giovedì 20 settembre.

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