Maggio Musicale Fiorentino

RIGOLETTO: la tragedia degli inganni.

Va in scena il secondo titolo (primo in ordine di composizione) della Trilogia popolare verdiana per la regia di Francesco Micheli e la direzione di Fabio Luisi.

di Domenico Del Nero

RIGOLETTO: la tragedia degli inganni.


Verde: colore del livore, della rabbia, del rancore. E’ questo il tono dominante del Rigoletto, prima opera in ordine di composizione ma seconda della Trilogia verdiana ad andare in scena al teatro del Maggio Musicale Fiorentino.  Se il tricolore fa da sfondo iniziale in quanto filo conduttore delle tre opere, il colore dominante contribuisce a dare una nota di inquietudine. La prima sarà stasera, repliche il 20 e 26 (ore 20) e il 29 settembre (ore 15,30).

Per il regista Francesco Micheli, in questa opera ancor più che nelle altre regna la dimensione della menzogna, tanto che la maschera diviene un vero e proprio leitmotive scenico. Per il regista Rigoletto è un personaggio integralmente negativo, che non viene riscattato neppure dalla sofferenza.

La regia tende a far emergere dalle pieghe del testo e della musica un’impronta espressionistica. Nel libretto vengono raccontati alcuni degli  aspetti meno nobili dell’animo umano: il desiderio di possesso, la beffa crudele e spietata, l’egoismo, la corruzione dilagante, la menzogna e il compiacimento che sono sottolineati talmente tanto nello spettacolo che il gioco di finzione e travestimenti diventa una vera e propria maschera che si attacca ai personaggi e non scolla più da loro. Ed è il coro, quello che nelle tre opere è uno dei protagonisti e rappresenta uno dei fili conduttori della trilogia, che si presenta più evidentemente con un doppio volto, una maschera bianca e il viso dipinto di nero a simboleggiare la menzogna e la perdita di identità. Il coro entra in scena con una maschera e quando la toglie sotto non c’è nulla perché ha perso la propria identità: una visione quasi “pirandelliana che può essere forse un po’ azzardato applicare al testo di Piave, ma che può essere suggestiva.
Per quel che concerne i personaggi il regista dichiara: “Gilda l’unico personaggio tra Rigoletto, il Duca, Sparafucile che sembra puro e intatto, in realtà è “un fiore” che cresce in un ambiente corrotto e circondato da menzogne, quindi, giocoforza e suo malgrado, è un fiore contaminato. Anche lei risponderà alle menzogne e le limitazioni del padre con altre menzogne simboleggiate dalla maschera bianca che indossa. A me piace immaginare – continua Micheli - che Gilda e il Duca possano addirittura veramente amarsi, ma la macchina infernale di iperprotettività di Rigoletto impedisce a Gilda di fare le sue scelte”.

Sicuramente una lettura del genere era lontana dalle intenzioni del modello, il dramma storico in cinque atti Le Roi s’amuse  del 1832.  Quest’opera proibito in Francia  nonostante il regime “liberale” dell’usurpatore Luigi Filippo, non era molto graditain Italia: il governatore militare di Venezia Gorzkowsky, nel novembre 1850, aveva inesorabilmente bocciato il libretto di Piave (il cui soggetto era stato scelto da Verdi stesso) condannando la ributtante immoralità e l’oscena trivialità del libretto (e dire che al compositore sarebbe piaciuto un duetto in alcova tra Gilda e il duca!) Soprattutto erano considerati inaccettabili il comportamento ribelle di Rigoletto verso il suo sovrano,  l’immoralità e la dissolutezza di quest’ultimo, l’acquiescenza di Gilda.

Quando arrivò il veto, Verdi era già avanti con il lavoro. Piave tentò di aggirare l’ostacolo proponendo una versione nuova del dramma, meno “censurabile”, ma qui fu Verdi ad opporsi:  alla fine la fu la censura austriaca a cedere ( malgrado la sua reputazione di implacabilità!) e il compositore poté concludere il lavoro. Tra l’altro, la stesura vera e propria avvenne in quaranta giorni, ma il lavoro preparatorio era stato più lungo e accurato. L’orchestrazione però, al solito avvenne durante le prove  e … almeno in alcuni passaggi decisamente si sente.

In compenso, il successo fu pieno e indiscutibile.  L’opera riscosse il plauso senza riserve del sommo Rossini, fino ad allora non del tutto convinto del genio verdiano, mentre il surciglioso Hugo fu costretto a ingoiare il rospo di vedere il suo dramma declassato a supporto di un capolavoro musicale.

“Il miglior soggetto in quanto ad effetto che io m’abbia finora posto in musica […]. Vi sono posizioni potentissime, varietà, brio, patetico: tutte le peripezie nascono dal personaggio leggero, libertino del Duca, da questo i timori di Rigoletto, la passione di Gilda ecc. ecc., che formano molti punti drammatici eccellenti, e fra gli altri la scena del quartetto, che in quanto ad effetto sarà sempre una delle migliori che vanti il nostro teatro”. Così Verdi  scriveva nel 1853 a un altro suo librettista, Antonio Somma.

Nell’originale di Hugo, il sovrano libertino era in realtà il re francese Francesco I ma Piave pensò bene di rimpiazzarlo con un meno compromettente e anodino “duca di Mantova”.  Ma più che quella del duca, la figura  interessante è sicuramente quella del buffone: Verdi, per l’appunto aveva intuito che la rappresentazione della natura umana, se voleva essere davvero realistica, non poteva basarsi sulla contrapposizione tra bene e male, ma doveva puntare alla loro fusione in una unica personalità.  Qualcuno lo ha paragonato, non a torto, a un Innominato senza conversione e senza redenzione.

E la centralità di Rigoletto ebbe importanza anche a livello musicale: l’aver posto infatti al centro della partitura un baritono porta all’abolizione della gerarchia e delle relazioni obbligate fra i ruoli vocali, così come erano stabiliti dalla consuetudine.  Inoltre, fra soprano, mezzosoprano e tenore, che restano definiti dalle forme tradizionali  (si veda il duca, che come ricorda Claudio Casini sta tra la canzone spavalda La donna è mobile e la cavatina amorosa del tenore italiano, o la tenera vacuità della vocalità virtuosistica di Gilda in Caro nome), Rigoletto campeggia invece con grande varietà di accenti. Si può dire che la sua schizofrenia è rappresentata nel suo duplice aspetto: “dove emerge la nequizia dell’odiatore e del potenziale assassino, Verdi adoperò il recitativo, togliendo la melodia alle voci e affidandola, durante il colloquio quasi parlato, agli strumenti dell’orchestra (….) dove i sentimento paterni prevalgono, Rigoletto si associa alla lucente eufonia del soprano, nel duetto, come se l’innocenza della forma convenzionale simboleggiasse il candore di Gilda, e come se questo candore si riversasse sul gobbo, cancellandone momentaneamente la trucidità.”[1]

Sul podio il maestro Fabio Luisi, che ha appena riscosso un grande successo con il Trovatore. Il duca di Mantova è il tenore peruviano Iván Ayón Rivas, Rigoletto il baritono norvegese Yngve Søberg, voluto in questo ruolo dallo stesso Luisi; Gilda il  celebre soprano Jessica Nuccio.


Rigoletto
Direttore e concertatore Fabio Luisi
Regia e drammaturgia Francesco Micheli
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Duca di Mantova Ivàn Ayònn Rivas
Rigoletto Yngve Søberg
Gilda Jessica Nuccio
Sparafucile Giorgio Giuseppini
Maddalena Marina Ogii
Giovanna Giada Frasconi
Il cavaliere Marullo Min Kim, Matteo Borsa Gyuseojk Jo, Il conte di Ceprano Adriano Gramigni, La contessa di Ceprano Marta Pluda, Un usciere Vito Luciano Roberti, Un paggio Costanza Fontana.

Regista collaboratore Benedetto Sicca,
Scene Federica Parolini
Costumi Alessio Rosati
Luci Daniele Naldi
Assistente regista Erika Natati, assistente scenografo Eleonora De Leo, assistente costumista Giulia Giannino, staff Marco Fragnelli

LA TRAMA DELL’OPERA

ATTO I


Mantova, XVI secolo. Durante una festa a palazzo, il Duca rivela al cortigiano Matteo Borsa di essere deciso a conoscere la ragazza che da tre mesi incontra in chiesa. Corteggia nel frattempo anche la Contessa di Ceprano, mentre il gobbo buffone Rigoletto ne schernisce il marito e il cavaliere Marullo rivela ai cortigiani che proprio il giullare sembrerebbe avere un’amante. Rigoletto deride poi il dolore del Conte di Monterone, al quale il Duca ha disonorato la figlia, che lo maledice. Turbato, il buffone si incammina verso casa e, dopo aver rifiutato i servigi del sicario Sparafucile, abbraccia Gilda, la figlia che nasconde al mondo. Quando l’uomo si allontana, Giovanna, la custode della ragazza, lascia entrare il Duca, travestito da povero studente di nome Gualtier Maldè, che le dichiara il suo amore. L’arrivo dei cortigiani venuti a rapire quella che credono l’amante di Rigoletto lo mette però in fuga. Il buffone, credendo di rapire la Contessa di Ceprano, offre il suo aiuto accorgendosi dell’inganno solo nell’udire le urla disperate di Gilda.

ATTO II


A Palazzo il Duca, a cui i cortigiani rivelano di essere gli autori del rapimento, corre ad abbracciare Gilda, rinchiusa in una vicina stanza. Entra il buffone in cerca della figlia e, quando finalmente compare la ragazza e gli confida l’accaduto, promette vendetta.

ATTO III


Rigoletto conduce Gilda, ancora innamorata, nei pressi di un’osteria sul Mincio dove il Duca sta corteggiando Maddalena, sorella di Sparafucile. Il buffone ordina alla figlia di travestirsi da uomo e lasciare la città e paga il sicario per eliminare il Duca. Maddalena convince però il fratello a risparmiargli la vita e a uccidere al suo posto la prima persona che busserà. Gilda, che ha sentito tutto, decide di immolarsi per l’amato. Rigoletto, tornato a recuperare il cadavere per gettarlo nel fiume sente in lontananza il canto del Duca. Apre allora il sacco in cui giace Gilda che, morente, chiede perdono per sé e per il Duca.



Per l’ultima recita di Rigoletto del 29 settembre e per l’ultima di Traviata del 30 il Maggio sostiene la manifestazione CORRI LA VITA: presentando in biglietteria la pettorina ricevuta al momento dell’iscrizione alla corsa si potranno acquistare i biglietti per una o per le due recite a un prezzo particolare e il Maggio destinerà parte della somma alla manifestazione.

 



[1]Claudio CASINI, Verdi, Milano, Rusconi, 1994, p. 138


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