Anniversario Rossiniano

Centocinquanta anni di immortalità. Passy, novembre 1868: l'addio a Gioachino Rossini.

Il grande musicista ricordato con varie manifestazioni anche a Firenze. Domani l'incontro promosso dal giornale di un liceo.

di Domenico Del Nero

Centocinquanta anni di immortalità.  Passy, novembre 1868: l'addio a Gioachino Rossini.

La locandina per l'incontro promosso dal Leomagazine sulla figura e sull'opera del grande compositore.

E’ sempre sin troppo facile il rischio di scadere nella retorica e nella celebrazione fine a se stessa quando c’è l’anniversario di qualche grande del passato. Ma nel caso di Rossini, è il caso di dire che chiunque lo conosca non può fare a meno di amarlo: l’artista in primis certo, senza ombra di dubbio un titano della musica. Ma anche l’uomo.

E’ una combinazione non poi così frequente. Ci son personaggi – come Caravaggio o Wagner – la cui grandezza è inversamente proporzionale alla simpatia che ispirano, o che sarebbe quantomeno azzardato definire amabili da un punto di vista umano, senza che ovviamente questo nulla tolga al valore della loro arte.

Rossini invece suscita simpatia e anche affetto: per il suo carattere, per la profonda bontà d’animo che ebbe nei confronti di colleghi più giovani, per la sua mancanza di meschinità e invidia. Ben altro tipo anche rispetto al suo “rivale” Giuseppe Verdi, la cui figura non si può certo dire che sprizzi simpatia da tutti i pori.

Centocinquanta anni fa, e precisamente il 13 novembre del 1868, il cigno di Pesaro entrava nell’immortalità; sul piano metafisico certo, ma anche su quello della gloria terrena. “Fra i grandi abita eterno” avrebbe detto Ugo Foscolo che lo precedette in quella Santa Croce così meravigliosamente cantata nei Sepolcri nel 1871, dopo essere rimasto in un cimitero londinese per più di 40 anni. Rossini invece, morto a Parigi (in cui risiedeva ormai stabilmente dal 1855) nella sua villa di Passy,  tumulato inizialmente al  Pere Lachaise, fu poi traslato nel tempio fiorentino delle “itale glorie” nel 1887.

La sua figura però è stata spesso rappresentata in modo ambiguo ed inesatto, con stereotipi che solo in parte la sua biografia poteva e può giustificare. Così, se una volta andava di moda il cliché di un Rossini pigro ( pigro uno che aveva scritto il Barbiere di Siviglia in meno di un mese e una quarantina di opere, tra cui molti capolavori straordinari, in circa un  ventennio!), bon vivant, arguto e bonario buontempone che al culmine del successo decide di mettersi a riposo e godersi la vita;  oppure un personaggio nevrotico e malato, incapace dopo il Guglielmo Tell di ritrovare  equilibrio e voglia di vivere.

Certo Rossini è stato anche tutto questo ed oggi conosciamo molto di più sulla terribile malattia nervosa che lo afflisse per diversi anni e nella quale bisogna vedere la vera ragione dell’abbandono dei palcoscenici lirici; una crisi dovuta soprattutto al tour de force a cui il Maestro fu sottoposto nella prima parte della sua vita. La carriera di un compositore, nei primi anni dell’800, richiedeva ritmi di lavoro e compromessi artistici di ogni genere: l’impresario, ovvero colui che aveva in appalto il teatro, stabiliva l’obbligo per il musicista di scrivere un’opera: seria o buffa (in due atti) o una farsa in un atto, senza neppure designare il soggetto. A tempo debito, il compositore avrebbe ricevuto in libretto, senza avere alcun potere di modificarlo; doveva solo musicarlo adattandosi alle capacità dei cantanti che erano stati scritturati.   Oltre a questo, il compositore doveva modificare la musica se non era gradita ai cantanti, istruirli nell’esecuzione, e così via. I tempi erano sempre ristretti; di solito, passava un mese- un mese e mezzo dalla consegna del libretto a quando si andava in scena. Succedeva – e capitò anche a Rossini – che a volte un musicista dovesse lavorare su pezzi del testo che gli venivano via via consegnati, senza nemmeno conoscere tutto l’insieme. La drammaturgia dell’opera, quindi, non era decisa dal musicista ma dal librettista, anche se certo Rossini una volta salito al vertice della fama poté far pesare la sua opinione.

Quindi non si può ridurre Rossini a un nevrotico depresso, così come era assurdo farne solamente un viveur pigro e buontempone. Inoltre non si deve dimenticare che non è esatto dire che Rossini “smise di comporre” dopo il Guglielmo Tell (1829); non scrisse più opere, ma che dire allora di due capolavori di musica sacra come lo Stabat Mater la cui versione definitiva è del 1842, e la Petite Messe Solennelle (1863)?  E i bellissimi Péchés de vieillesse, circa 150 pezzi vocali e per pianoforte raccolti in 14 album, scritti tra il 1857 e il 1868, non sono certo l’opera di un uomo “finito”.

Se non altro però, sulla sua opera si è ormai fatta definitiva chiarezza e con buona pace del sommo Beethoven, che pur con grande apprezzamento disse però a Rossini che avrebbe potuto essere solo un musicista buffo, nessuno oggi fa più del grande compositore l’autore di qualche opera buffa o poco più; e questo non certo per sminuire il genere che non è sicuramente “inferiore” a nessun altro, ma semplicemente perché non è vero e il Maggio Musicale Fiorentino prima e il Rossini Opera Festival poi lo hanno completamente smentito. Scriveva nel 1991 Gianandrea Gavazzeni:“Le ragioni della continua vitalità della musica del Pesarese, i motivi del nostro rinnovato amore nei suoi riguardi, si è soliti ricercarli negli aspetti vivaci, nel brio scintillante dei temi giocondi, delle progressioni incalzanti. Eppure io penso che le provocazioni della nostra aderenza agli spiriti rossiniani debbonsi invece scoprirle nel supremo raggiungimento umano del Tell , per i concetti di una poetica inscindibile e poliedrica che se ne possono trarre.”[1]

Sicuramente oggi, dopo tanti anni di Rossini Festival di Pesaro (e prima ancora, di Maggio Musicale Fiorentino) possiamo affermare “e non solo Guglielmo Tell”; che dire ad esempio della splendida resa musicale, malgrado i modestissimi versi dell’abate Andrea Leone Tottola, del clima medievale della Donna del Lago (1819) tratta dall’omonimo poema di Sir Walter Scott? Opera fino a qualche decennio fa totalmente dimeticata, poi fortunatamente risorta e divenuta cavallo di battaglia di grandissime interpreti come la compianta Montserrat Caballè, ma anche Marilyn Horne, Cecilia Gasdia e tante altre?

Ma con tutto il rispetto per il parere del grande maestro Gavazzeni, oggi si può ben dire che è del tutto inutile e anche sterile segnare delle cesure tra il  Rossini “buffo” e quello “serio”;  non si deve dimenticare del resto che il grande pesarese smentì persino un gigante come Beethoven che se avesse vissuto ancora due anni (morì nel 1827) e avesse potuto conoscere il Guglielmo Tell, ma anche la nuova versione del Mosè, forse avrebbe cambiato idea.

Un compositore dunque che segnò il suo tempo e cambiò profondamente la drammaturgia musicale del suo tempo. Tuttavia non fu un “rivoluzionario”, nel senso che non stravolse di colpo gli schemi che aveva ereditato. Piuttosto, li modificò gradualmente, facendone un qualcosa di totalmente diverso. Alcuni critici lo definiscono musicista “di transizione” tra ‘700 e ‘800, tra classicismo e romanticismo. E’ una definizione che si può anche accettare, purché però non diventi – come spesso è stato in passato – riduttiva. Rossini è uno di quei geni che non si lascia classificare con delle “etichette”. Del classicismo, Rossini ereditò il culto del “bello ideale”, che si riflette nella sua musica a partire dalle ouvertures; almeno sino alla Gazza ladra (1817) essa non vuole essere tanto una “presentazione” dell’opera, quando evidenziare in generale lo spirito vitalistico e “dionisiaco” della musica rossiniana. Del romanticismo, invece, Rossini presenta per certi aspetti la tendenza a liberarsi dai vecchi schemi e a muoversi con la maggiore libertà possibile. Il compositore del resto durante la sua formazione giovanile, non si limitò a studiare l’opera italiana, ma anche la produzione, vocale e strumentale, di Mozart e Haydn. Maturò quindi una maturità e una competenza strumentale molto più avanzata di predecessori e contemporanei. Sul piano vocale, egli scrisse di sua mano tutte le fioriture, gli “abbellimenti” dei vari brani; ridusse così, anche se non eliminò del tutto, lo spazio per i capricci dei cantanti. Nelle sue opere la freschezza dell’invenzione melodica si sposa con la cura dei particolari armonici e naturalmente con l’estrema brillantezza ritmica. Arthur Schopenhauer, che pure non amava particolarmente l’opera, aveva per Rossini una vera predilezione e scriveva nei Parerga:

“Datemi la musica di Rossini, che parla senza parole! Nelle composizioni dei nostri giorni si bada più all'armonia che alla melodia: io sono però di parere contrario e considero la melodia come il nucleo della musica, rispetto al quale l'armonia sta come la salsa all'arrosto"

Un parallelo … gastronomico sicuramente gradito al cigno di Pesaro, maestro nell’armonia dei sapori oltre che in quella dei suoni. Un personaggio che anche il capoluogo toscano ha ricordato e sta ricordando con varie iniziative, soprattutto del Maggio Musicale Fiorentino[2]  ma non solo:  domani alle 17 in quella che fu la dimora del Magnifico Lorenzo, il Palazzo Medici – Riccardi (Sala Luca Giordano), il LeoMagazine, un autentico periodico online gestito da un liceo (il Leonardo da Vinci ) organizza con il patrocinio della Città Metropolitana di Firenze un incontro sul tema  Un lampo un sogno un gioco; un incanto che non finisce mai: Gioachino Rossini, la vita, l’opera, il rapporto con Firenze. Relatori alcuni ospiti esterni come Franco Manfriani, responsabile della redazione del Maggio Musicale Fiorentino, il tenore Edoardo Ballerini e il compositore Cesare Valentini; ma anche la dirigente scolastica del Leonardo da Vinci prof. Donatella Frilli e due giovani redattori del Leomagazine, Michelangelo Rogai, Niccolò Nigi, Valentino Masetti. Del resto il Ministero della Pubblica istruzione aveva esortato le scuole a prendere l’iniziativa sull’anniversario rossiniano e il liceo fiorentino e il suo periodico non si sono fatti sfuggire l’occasione. Un omaggio che sicuramente il cigno di Pesaro, eternamente giovane grazie alla sua musica immortale, non mancherà di apprezzare. 

 

 

 

 



[1]Gianandrea GAVAZZENI, Pensieri su Rossini, in Gioacchino Rossini, Bergamo, edizioni Bolis, 1991, p.4.

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