Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
foto di MICHELE MONASTA
Il Maggio Musicale Fiorentino continua con gli omaggi a Giacomo Puccini, completando il dittico d’oriente del grande compositore: dopo l’opulenta Turandot di questa primavera, ecco la timida geisha – la farfallina, come delicatamente la chiamò Pascoli – affacciarsi ancora una volta al proscenio del capoluogo toscano. Madama Butterfly esordisce stasera in una nuova edizione, con il maestro Daniele Gatti che ci regala così un’altra lettura di un capolavoro pucciniano, dopo l’entusiasmante Tosca dark dello scorso giugno, e la regia di Lorenzo Mariani. Si tratta del 25° allestimento di quest’opera al Maggio dal 1930 ad oggi, per un totale di 150 recite.
Sicuramente, quel 17 febbraio del 1904, nessuno alla Scala avrebbe pensato di assistere alla nascita di un capolavoro. E’ noto come Madama Butterfly sia stato uno dei fiaschi più clamorosi e colossali della storia del melodramma; certo non del tutto inaspettato, perché i presupposti di un fallimento c’erano tutti. “Pubblico schifoso, abietto, villano. Neanche una dimostrazione di stima. Giacomo, due ore fa, si faceva forza assai, mi credevo di peggio (…) Giacomo è persuaso di aver lavorato bene e spera che l’opera si riabbia”. Così commentava Ramelde Puccini, sorella del compositore, in una lettera al marito; e una cronaca anonima delle serata sulla rivista Musica e musicisti (attribuita a Giulio Ricordi) parla di “Grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate, i soliti gridi solitari di bis fatti apposta per eccitare ancora di più gli spettatori” . Secondo l’opinione corrente, l’insuccesso fu dovuto all’idea, in effetti poco felice, di strutturare l’opera in due atti, con il secondo decisamente troppo lungo e pesante. Secondo Michele Giraldi, musicologo esperto di Puccini che difende la prima versione dell’opera, l’insuccesso fu invece dovuto a un conflitto tra gli editori musicali e le rispettive “tifoserie”. Comunque stiano le cose, certo oggi è uno dei titoli più amati e rappresentati del repertorio; e questa sera alle ore 20 il teatro del Maggio inaugura una interessante edizione che avrà tre repliche: il 27 ottobre e il 2 novembre alle 15:30 e il 31 ottobre alle ore 20.
Per quanto concerne il cast: nella parte della protagonista Cio-Cio-San troviamo Carolina López Moreno; Piero Pretti, reduce dal successo della Tosca che ha chiuso la programmazione lirica dello scorso 86º Festival del Maggio, interpreta F.B. Pinkerton (parte sostenuta da Vincenzo Costanzo nella recita del 2 novembre); Nicola Alaimo, che torna al Maggio dopo le recite de Il barbiere di Siviglia del settembre del 2022, veste i panni del console Sharpless mentre Marvic Monreal è Suzuki, la servente di Cio-Cio-San. Goro e il severissimo Zio Bonzo sono interpretati rispettivamente da Oronzo D’Urso, talento dell’Accademia del Maggio e Bozhidar Bozhkilov. Min Kim, ex talento dell’Accademia del Maggio e Elizaveta Shuvalova vestono i panni del Principe Yamadori e di Kate Pinkerton; Davide Sodini è Il Commissario imperiale. Chiude il cast un nutrito gruppo di artisti del Coro del Maggio: Giovanni Mazzei è Lo zio Yakusidé; Egidio Massimo Naccarato è L'ufficiale del registro, Thalida Marina Fogarasi; Paola Leggeri e Nadia Pirazzini sono rispettivamente La zia, La cugina e La madre della protagonista Cio-Cio-San. Orchestra e coro del teatro del Maggio Musicale Fiorentino; scene di Alessandro Camera, costumi di Silvia Aymonino e luci di Marco Filibec.
Naturalmente la lettura di Gatti non poteva mancare di uno di quei tocchi particolarissimi che lo caratterizzano: “Sono molto interessato all’aspetto fortemente drammatizzato di Puccini nel quale i personaggi vengono ‘scolpiti’ in modo molto netto dal compositore, senza dimenticare quello che è il corpo musicale di questo grande autore con espressioni molto languide e dolci che si affiancano a un aspetto dove emerge il forte lato drammaturgico che egli aveva e questo in considerazione, per esempio, dei tempi musicali scelti all’interno di un titolo d’opera che secondo me alterna momenti quasi di commedia come nel I atto e fasi di introspezione fra i due mondi, quello occidentale di Pinkerton e quello orientale di Butterfly: questo contrasto fra questi due poli diventa quasi esplosivo. Per esempio – continua il direttore - la scena del matrimonio desidero sempre inquadrarla dagli occhi di Pinkerton stesso che la vede quasi come una burla, anche se lo svolgimento della trama ci fa capire che quest’uomo ha terribilmente sottovalutato il rispetto umano e naturalmente il rispetto nei confronti di Cio-Cio-San, oltre il valore che questo matrimonio racchiude in sé – teoricamente - la promessa d’amore. L’opera poi invece si ribalta e dunque noi vedremo la storia attraverso gli occhi di lei a partire dal II atto per poi, infine, giungere alla vera catastrofe finale. Una cosa a cui ho pensato, riguardo a quelle che sono le ultime battute dopo il suicidio della protagonista, è di farle eseguire a piena orchestra secondo il procedimento chiamato omofonia: una linea musicale che ricorda molto il carattere orientale al quale Puccini stesso si riferiva; un procedimento pentatonico, senza soluzioni armoniche chiare. L’ultimo accordo, invece, è un accordo ‘occidentale’: sembra quasi che vi sia un’esplosione, come se l’occidente avesse ‘invaso’ il mondo orientale con gravità e ferocia come Puccini, credo, volesse farci intendere.” Così il maestro Gatti, mentre per la regia Lorenzo Mariani ha sottolineato come questa Madama Butterfly non sia basata sul solito concetto di contrasto fra il mondo occidentale rispetto a quello dell’oriente ma bensì su un ‘gesto’ di leggerezza di Puccini che, in una singola frase musicale, riesce a trasmettere quello che è il tema portante dell’opera, ossia la fragilità della protagonista; una fragilità comune in ogni creatura umana e che, soprattutto se affrontata e vissuta nel modo sbagliato, può risultare fatale: “Questo trasporto emotivo di Puccini che, correggendosi addirittura rispetto alla prima versione della partitura dell’opera, è quello che in me ha fatto scattare questa idea di voler raccontare - e trasmettere – una precisa visione di questa storia e della sua particolare atmosfera. Un’atmosfera - continua il regista - in Butterfly, è paragonabile ad uno spirito leggero, quasi a trasmettere l’idea che lei scenda direttamente dal cielo. Si ha la percezione di essere ‘sospesi’, una sensazione che sotto, terribilmente, quasi può anche essere un ‘invito’ per Cio-Cio-San a essere distrutta, poiché la vita di questa giovanissima fanciulla sarà del tutto lacerata da Pinkerton, strappata letteralmente in due: non per una cattiveria esplicita da parte di quest’ultimo, ma molto più semplicemente perché egli è, come molti uomini, un irresponsabile. Non ha il coraggio di comprendere quelli che sono i sentimenti e le necessità di questa giovanissima donna ed il suo essere così fragile. Ho voluto cercare, insieme ad Alessandro Camera e Silvia Aymonino - gli autori delle scene e dei costumi - di trasmettere quest’atmosfera, caratterizzata dal confronto fra occidente e oriente: soprattutto ho deciso di concentrarmi nel raccontare questa delicatezza e nebulosità tipica del mondo orientale che noi occidentali siamo in grado di distruggere, in modo consapevole o meno, anche se le cose brutali non sono quasi mai inconsapevoli. Possiamo fare davvero del male e non siamo capaci di essere abbastanza attenti. Quest’opera ci racconta una storia di fragilità lacerata: per questo abbiamo immaginato un tipo di mondo leggero, capace di volar via con un soffio e con un finale tremendo che, fra le opere di Puccini, in assoluto più si avvicina al concetto di catarsi aristotelica. Questa tragedia, come tale, deve essere rappresentata in modo assoluto, anche trascendente e universale: anche grazie a una sospensione e ad una fragilità che poi, infine, porteranno alla tragedia.”
Madama Butterfly fu dunque la prima esperienza “orientale” dell’itinerario creativo del compositore lucchese, che seguiva di sei anni L’iris di Pietro Mascagni, accolta invece con favore dal pubblico anche se oggi –come di regola per tutte o quasi le creazioni mascagnane – pesantemente svalutata dalla critica. Certo, il Giappone di Mascagni – o meglio del librettista Luigi Illica – era più orientato sul versante simbolista e appariva una sorta di paese di sogno (o da incubo, per certi aspetti) ma questo non inficia l’alta qualità della musica, come riconobbe trai primi lo stesso Puccini. E se l’Oriente era sempre stato di casa sui palcoscenici operisti, fin dai tempi delle spassose e favolose turcherie mozartiane e rossiniane, anche il Sol Levante aveva da qualche tempo iniziato a interessare le platee: prima di Mascagni, Camille Saint – Saens ( 1835-1921), musicista appassionato di esotiche atmosfere, rappresentò nel 1872 la Princesse Jaune, dalla musica leggera e briosa, con l’uso della scala pentatonica per la coloritura orientale; mentre nel 1885 appariva il celebre Mikado di Gilbert & Sullivan, satira della società vittoriana in salsa nipponica, ma in cui il musicista (Sullivan) impiegò una manciata di temi giapponesi originali. Nel 1889, poi, l’esposizione universale di Parigi aveva costituito una straordinaria occasione per sentire esecuzioni musicali orientali.
Tuttavia Butterfly è forse la prima, vera e autentica “tragedia giapponese” ad approdare sui palcoscenici italiani: la Gheisha che vive come matrimonio d’amore uno convenzionale che doveva solo procurare svago, pagando questo sentimento con il suicidio, realizza perfettamente il binomio eros thanatos da cui scaturisce la migliore ispirazione pucciniana. Il compositore volle poi a tutti i costi che lo spettatore fosse in grado di identificare anche nella musica, e non solo nella scena, il Giappone: non solo si documentò su tutte le fonti allora disponibili, ma trascrisse anche all’impronta le melodie cantate apposta per lui da ugole “blasonate” come quella della moglie dell’ambasciatore giapponese in Italia, signora Oyama; altre se le fece spedire incise su dischi da Tokyo. Nella partitura di Butterfly compaiono ben dieci temi originali e tutti in punti chiave della vicenda; ma soprattutto Puccini assimilò nel suo stile la maniera giapponese grazie all’uso delle scale “difettive”, soprattutto anemitoniche e pentafone. Il tutto però si amalgama alla perfezione con lo stile tipicamente pucciniano, senza forzature o “sbavature.
Per il soggetto, Puccini, nel 1900, vide a Londra un dramma che il commediografo David Belasco aveva tratto da una novella dello scrittore americano J.L. Long, mutandone il finale da lieto in tragico. Rimastone entusiasta, si fece “confezionare” un libretto in due atti dai Illica e Giocosa, che però risultava troppo lungo e sproporzionato (il secondo atto comprendeva praticamente gli attuali ultimi due) e troppo incentrato sulla protagonista Cio – Cio – San, il cui ruolo oscurava quasi del tutto gli altri due “tradizionali” del tenore e del baritono.
In realtà, questo fu un effetto voluto da Puccini, il quale voleva ridicolizzare, “polverizzare” il personaggio del bell’amoroso; svuotato da ogni romanticismo, Pinkerton ha una parte quasi da operetta; mentre il carattere della protagonista ha uno sviluppo coerente, dalla ingenuità iniziale, ai primi sospetti sul proprio destino sino al terzo atto, dove il dramma trova il suo compimento. Puccini infatti accettò, sia pure a malincuore, una divisione in due del secondo atto, anche a causa della caduta dell’opera alla Scala; e così, appena pochi mesi dopo la prima, quello che era sembrato un insuccesso catastrofico si trasformò in trionfo . Oggi la versione comunemente rappresentata è quella in tre atti, anche se non è mancata qualche ripresa della versione originale.
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