Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Più che un successo, un trionfo epocale. Così, a sipario ormai purtroppo definitivamente calato, si può definire l’esito di questa Turandot, opera d’esordio dell’ottantaseiesimo festival del Maggio Musicale Fiorentino: esordio con il botto, senza dubbio alcuno. Fin dalla prova generale aperta al pubblico applausi scroscianti, entusiasmo, vere e proprie ovazioni al direttore Zubin Mehta che è stata la stella più brillante di uno spettacolo che certo non mancava di … astri. Per non parlare poi del sold –out che ben presto si è verificato per tutte le recite e che ha scatenato sui social una vera e propria caccia al biglietto che non si vedeva da tempo.
Insomma, un bilancio che più positivo non potrebbe essere e suona come ottimo auspicio per l’inizio della gestione Fuortes, nonché – sembra doveroso dirlo – come eccellente sigillo per il commissario straordinario Onofrio Cutaia, che moltissimo ha fatto per far uscire il Maggio da una situazione davvero difficile e pericolosa.
L’edizione appena conclusa del capolavoro puccinano era una ripresa dello storico allestimento firmato dal celebre regista cinematografico Zang Yimou nel 1997 che metteva in scena la Cina della Città Proibita, magnifica nei suoi interni e nei suoi sfolgoranti costumi quanto all’occorrenza cupa e crudele, tra danze del boia e ghigni malefici di ministri e popolani. Spettacolo per certi aspetti “invecchiato”? Mah, c’è chi non ha mancato di contare le rughe e certo anche questo fa parte del mestiere; di sicuro non le ha notate il pubblico, che è rimasto incantato dalle scene e costumi didi Gao Guangjian, Zeng Li e Huang Haiwei, e dalla coreografia di Chen Weiya ed ha applaudito con entusiasmo la bravissima Stefania Grazioli, che ha ripreso la regia di Yimou sottolineando, come aveva dichiarato di voler fare, l’aspetto della “gestualità ‘orientale’ dei personaggi, con un approccio registico quasi minimalista per quello che riguarda le movenze di chi è in scena”. Il tutto però incorniciato in una atmosfera fiabesca da Mille e una notte, con un affollarsi fantasmagorico di mimi, ballerini e figuranti che catturano continuamente l’attenzione.
Sicuramente Zubin Mehta non solo conosce quest’opera alla perfezione, ma si direbbe avere una speciale sintonia con lei. E così, dall’alto dei suoi ottantotto anni, il grande direttore offre una lettura che più avvincente ed emozionante non si potrebbe: Sin dalle battute iniziali, tutti i colori e i chiaroscuri dell’opera sono stati messi in risalto creando un vero e proprio crescendo non solo sonoro, ma anche di emozioni: i cori notturni della folla ora esaltata dalle esecuzione imminente ora commossa dalla giovane età del condannato, il “tema di Turandot”, la scena marionettistica dei tre ministri realizzata con una mescolanza di “scale cinesi ed europee, ritmi binari e ternari e aguzzando legnose armonie politonali” (Roman Vlad), per limitarsi al primo atto; e in generale tutto il fascino dell’opera emerso in modo ora commovente nelle scene patetiche, come quelle legate alla dolce schiava Liù, ora brillante nelle scene ironiche e grottesche caratterizzate soprattutto dalle sonorità orientali, ora travolgente come negli splendidi pezzi d’insieme, quali il grandioso finale del primo atto. Una esecuzione grandiosa e davvero ieratica, in perfetto accordo con la regia, che l’orchestra del Maggio e il coro guidato dal bravissimo Lorenzo Fratini hanno reso davvero memorabile.
Decisamente di buon livello anche il cast vocale. Il Calaf di SeokJong Baek si caratterizza per una vocalità robusta e piena, pronuncia e dizione curate e un registro acuto di tutto rispetto; la Turandot di Olga Maslova è stata una buona interprete sia sul piano scenico – una principessa algida fin quasi alla fine - che in quello vocale, grazie a una buona emissione, un buon registro acuto e un fraseggio molto curato. Non ha certo sfigurato nell’ultima recita il soprano coreano Eunhee Kim , che ha dato vita a un personaggio altrettanto credibile, con un ottimo fraseggio e un voce dal buon volume e registro acuto solido. Straordinaria anche la Liù di Valeria Sepe, personaggio dolente e drammatico, mentre i tre ministri Ping (Lodovico Filippo Ravizza) Pong (Lorenzo Martelli) e Pang (Oronzo d’Urso) si rivelano ottimi interpreti, ori spiritosi ora sogghignanti e inquietanti, e più che soddisfacenti sul piano vocale. Un plauso anche al Timur di Simon Lim e all’imperatore Altoum di Carlo Bosi, sovrano davvero ieratico e solenne anche nella scansione delle sue battute.
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