Teatro Lirico di Cagliari

NERONE: il 9 febbraio l'opera di Boito ritorna sulla scena, dopo decenni di oblio

Molto accurata l'edizione che sta per andare in scena nel capoluogo sardo, con la regia Fabio Ceresa e la direzione di Francesco Cilluffo. Una gestazione durata più di mezzo secolo

di Domenico Del Nero

NERONE: il 9 febbraio l'opera di Boito ritorna sulla scena, dopo decenni di oblio

Il sipario

Maestro di tutte le arti, occulto, pieno di segreti, che facilmente gioca e non rivela mai il gioco difficilissimo a cui sembra di continuo intento il suo spirito; dedito ad un ozio senza riposo perché sa con che lenta pazienza il tempo formi il diamante nel cuore della roccia.

La più bella definizione di Arrigo Boito (1842 -1918) viene da un personaggio che sicuramente il poeta – musicista non amava affatto: Gabriele d’Annunzio.  Rivalità e antipatie personali a parte, l’aforisma dannunziano coglie perfettamente il segno. E per quanto riguarda il diamante, l’immagine non è scelta a caso: è infatti una metafora del Nerone, della seconda opera totale boitiana.

Un lavoro a lungo atteso, giunto sul palcoscenico della Scala il primo maggio 1924, alcuni anni dopo la morte del suo creatore scomparso il 10 giugno 1918, in una edizione memorabile che lasciò senz’altro il segno nella storia del teatro milanese: la regia di Giovacchino Forzano, i bozzetti di Lodovico Pogliaghi che seguì fedelmente gli appunti e le didascalie dell’autore. In scena seicento comparse e persino una quadriga di cavalli. Del resto, l’autore stesso aveva raccomandato di abbondare nella descrizione storica di Roma e dei suoi “figurini” per “rappresentare questa verità storica e con la massima varietà possibile.” Anche l’incasso fu davvero notevole: 867.000 lire dell’epoca. Dirigeva Arturo Toscanini, che aveva sempre creduto nel Boito compositore e nel Nerone in particolare: era stato lui a curare il completamento della strumentazione dell’opera, insieme ad Antonio Smareglia  (per il primo atto) e Vittorio Tommasini poi; e il grande direttore eseguì più volte l’opera anche dopo la prima, trionfale esecuzione. “Col Nerone l’arte di Boito tocca il suo vertice massimo. Essa dimostra di possedere le tre facoltà di esaltare col sentimento del grandioso, di commuovere dirigendosi al cuore, di trasportare nelle ragioni del fantastico”, scriveva il Corriere della Sera del 2 maggio 1924, e il Times non era da meno: il critico musicale Colles evidenziava “ la meraviglia per lo splendore della produzione, la cura artisticamente meticolosa con cui è stata rappresentata, la mirabile interpretazione musicale ottenuta da Toscanini  e la perfetta finitezza  di ogni particolare proprio dell’allestimento scenico”. [1]

Come è noto però al trionfo iniziale non fece seguito un radicamento dell’opera nel repertorio, verificandosi così una situazione opposta a quella del Mefistofele ; e dal secondo dopoguerra in poi rare sono state le riprese e perlopiù fuori d’Italia, soprattutto le più recenti: l'ultima esecuzione italiana risale addirittura al 1975 all'Auditorium Rai di Torino, diretta da Gianandrea Gavazzeni  ma in forma di concerto.  Molto meritoria dunque e di grande spessore culturale l’iniziativa del teatro lirico di Cagliari che ha scelto il secondo melodramma boitiano per inaugurare la stagione lirica 2024, proprio per i cento anni della prima rappresentazione assoluta dell’opera.  Il teatro di Cagliari non è certo nuovo a operazioni culturalmente inedite e coraggiose, con inaugurazioni dedicate alla musica del Novecento italiano: La campana sommersa nel 2016 e La bella dormente nel 2017, entrambe di Ottorino RespighiTurandot di Ferruccio Busoni nel 2018, Palla de' Mozzi di Marinuzzi nel 2020, Cecilia di Licinio Refice nel 2022, Gloria di Francesco Cilea nel 2023.  Non solo, ma nella stagione invernale del 2023 è andata in scena anche una edizione del Mefistofele molto apprezzata dal pubblico e dalla critica. La prima opera del poeta-musicista  è ricomparsa negli ultimi anni su diversi palcoscenici italiani tanto non che non è azzardato, forse, parlare di una rinascita boitiana.

Manca poco ormai alla prima dell’evento: Nerone infatti va in scena nel capoluogo sardo Venerdì 9 febbraio alle 20.30, con ben 9 repliche: sabato 10 febbraio alle 19 (turno G); domenica 11 febbraio alle 17 (turno D); mercoledì 14 febbraio alle 20.30 (turno B); giovedì 15 febbraio alle 19 (turno F); venerdì 16 febbraio alle 20.30 (turno C); sabato 17 febbraio alle 17 (turno I); domenica 18 febbraio alle 17 (turno E).

La direzione dell’ orchestra e del coro del teatro lirico di Cagliari è affidata al maestro Francesco Cilluffo, un vero esperto in questo genere di repertorio[2]; la regia è di   Fabio Ceresa, apprezzato librettista e artista al suo debutto a Cagliari, che, fra l'altro, ha curato, nel 2015, il libretto per La Ciociara di Marco Tutino, eseguita al Teatro Lirico di Cagliari nel 2017;  le scene sono di Tiziano Santi, i costumi da Claudia Pernigotti,  le luci di Daniele Naldi e la coreografia da Mattia Agatiello, maestro del coro Giovanni Andreoli.

Per quanto concerne la messa in scena, una lettura didascalica e il pieno rispetto del libretto sono alla base di questa proposta visiva dell'opera che presenta scene lineari, pulite, per lasciare ampio spazio alla recitazione degli artisti che vestono costumi colorati e di pregevole fattura. Il regista ha pensato ad un ponte ideale tra l'impero romano del I secolo d. C. (l'epoca, appunto, di Nerone) e l'impero coloniale italiano degli anni intorno alla prima dell'opera. Le riconoscibili architetture dell'EUR e della cupola della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo si fondono con colonne, cippi, rovine, aquile e làbari romani in un'atmosfera omogenea e di sicuro fascino. Di enorme rilievo il sipario e l'ultimo quadro dell'opera, dove spicca il ritratto di Nerone, fedele riproduzione dell'originale marmoreo che si può ammirare al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.[3]

Due i cast che si alterneranno nelle rappresentazioni: Mikheil Sheshaberidze (9-11-14-16-18)/Konstantin Kipiani (10-13-15-16-17) (Nerone), Franco Vassallo (9-11-14-16-18)/Abramo Rosalen (10-13-15-16-17) (Simon Mago), Roberto Frontali (9-11-14-16-18)/Leon Kim (10-13-15-16-17) (Fanuèl), Valentina Boi (9-11-14-16-18)/Rachele Stanisci (10-13-15-16-17) (Asteria), Deniz Uzun (9-11-14-16-18)/Mariangela Marini (10-13-15-16-17) (Rubria), Dongho Kim (9-11-14-16-18)/Alessandro Abis (10-13-15-16-17) (Tigellino), Vassily Solodkyy (Gobrias), Antonino Giacobbe (Dositèo/Voce dell'oracolo), Natalia Gavrilan (Pèrside/Cerinto/Prima voce di donna), Fiorenzo Tornincasa/Marco Frigieri (Primo viandante/Il Tempiere/Voce di tenore), Nicola Ebau (Secondo viandante/Lo schiavo ammonitore/Una voce di basso), Francesca Zanatta (Seconda voce di donna), Luana Spìnola (Terza voce di donna).

La storia di quest’opera è sicuramente molto complessa; fin dai suoi anni giovanili l’attenzione di Boito si focalizza su due soggetti, il Faust di Goethe e il personaggio di Nerone, sotto l’influsso di Tacito, come lui stesso dichiara in una lettera al fratello Camillo (1862). Dopo il meritato trionfo del secondo Mefistofele (1875) Boito si dedicò dunque al sesto Cesare, ma sia i numerosi impegni di carattere musicale e culturale la sia straordinaria complessità del soggetto rallentarono considerevolmente la composizione. Già in un articolo pubblicato sulla Perseveranza del 13 settembre 1863, un testo fondamentale per la conoscenza della sua estetica Boito aveva scritto:         “L’ora di mutare stile dovrebb’essere venuta, la forma vastamente raggiunta dalle altre arti dovrebbe pure svolgersi anche in questo nostro studio ; il suo tempo di virilità dovrebb’essere pieno ; ci si levi la pretesta e lo si cuopra di toga, ci si muti nome e fattura, e invece di dire libretto, picciola parola d’arte convenzionale, si dica e si scriva tragedia come facevano i Greci”. [4]

Tragedia: è esattamente questa la definizione dell’opera che appare nella prima edizione del testo letterario, pubblicata nel 1901. Questa volta però Boito aveva fatto totalmente da sé: non si era appoggiato a una precedente, nobilissima opera letteraria ma aveva creato lui stesso un testo drammatico, anche se basandosi su una mole impressionante di fonti: Tacito, Svetonio, Dione Cassio, Giovenale, oltre che testi di autori cristiani, saggi storici di vario genere; niente è lasciato al caso. Anche quegli spezzoni di versi cantati che echeggiano lungo la via Appia nel primo atto (Citarizzando scorda l’impero etc. sono  autentici). Come scrisse Ettore Romagnoli, il tutto viene rielaborato con un costruttivo spirito leonardesco che fa sì che la documentazione e lo scrupolo “scientifico” si trasformino in poesia.

Il soggetto dell’opera riprende fondamentalmente la tematica del Dualismo, vero e proprio leitmotive boitiano, titolo di una delle sue più belle e innovative liriche scritta nel 1864. Ma cercare di schematizzare in qualche modo il profondo significato del dramma è impresa quantomeno ardua, anche perché c’è tutt’altro che accordo tra gli studiosi. Sicuramente Boito si cala nel 1° secolo D.C. con l’intento di ricrearne il clima, lo sfondo culturale e spirituale, in una vicenda davvero “tragica” e quanto mai lontana dagli schemi convenzionali del melodramma. Nerone, despota crudele ossessionato dai rimorsi e dalle sue aspirazioni artistiche con delirio di onnipotenza (Il mondo è mio! Pria di Nerone, nessun sapea quant’osar può chi regna)[5]; è anche il simbolo di un mondo al tramonto, quello del paganesimo ormai morente; ma esattamente come in alcuni personaggi danteschi, alla dimensione simbolica si unisce quella “reale”: il sesto cesare è un personaggio vile, astuto e quasi grottesco nella sua ambiguità. Boito sembra aver veramente assorbito la lezione di Tacito e Svetonio, che sia pure in modo diverso hanno costruito un “ritratto al nero” che ha fatto scuola per secoli. Storicamente attendibile? Non è questa la sede per parlarne, e comunque non è questo che interessava al drammaturgo. Esattamente come per Eschilo o Sofocle, il suo interesse era il mito.

Simon Mago, tra i personaggi principali, è forse il più affascinante. Basso anche lui, come Mefistofele, lo troviamo negli Atti degli Apostoli mentre tenta di comprare da San Pietro la capacità di operare miracoli ricevendone in cambio una solenne maledizione. In autori cristiani successivi (Giustino, Ireneo di Lione etc.) Simone diventa addirittura un eresiarca, mentre nella Passione degli Apostoli Pietro e Paolo, un apocrifo posteriore al IV secolo, si narra della sua collaborazione con Nerone e della sua beffarda morte nel Circo Massimo.

Boito riprende questi ultimi elementi oltre al tentativo di acquistare i miracoli ma Fanuel, il capo       cristiano molto probabilmente ispirato a S. Paolo, lo maledice ricavandone in cambio odio implacabile. Nerone sarà inizialmente soggiogato da questa figura di teurgo che però si rivela solo un volgare imbroglione, sorta di Mefistofele in sedicesimo; e lo condannerà a “volare” nel Circo Massimo precipitandosi da un’alta torre.

Fanuel e Rubria sono i personaggi cristiani, che rappresentano il polo del “Bene”; Rubria però nasconde un segreto, mentre l’altro è il personaggio “puro” ed eroico che rappresenta la forza del Cristianesimo nascente. A mezzo tra queste due tipologie di personaggi – a parte i minori – si colloca Asteria, forse la più affascinante: consumata da un amore insano per Nerone e l’attrazione per la purezza della fede cristiana che però non riesce ad abbracciare.

Nel 1911, Boito suonò al piano i primi 4 atti del dramma davanti a Giulio Ricordi; mancava ancora il quinto atto, quello della catastrofe dell’imperatore, ma il saggio editore disse a Boito: “Ma non ti accorgi che Nerone è finito”? Per Ricordi, la grande scena dell’incendio del circo Massimo con la morte di Rubria era il vero finale dell’opera.  Aveva ragione o era solo un pretesto per spingere Boito a concludere? Anche su questo la critica è divisa ma sicuramente Ricordi, formidabile uomo di teatro, aveva i suoi buoni motivi. Tuttavia la strumentazione richiese molto più tempo del previsto, ma dubbi e esitazioni, e quando l’autore morì nel 1924 non era ancora del tutto completata. La testimonianza di Toscanini è comunque chiarissima: “La riduzione per piano era completa ma l’orchestrazione no. Però Boito aveva corredato la partitura con annotazioni così numerose e precise che bastava seguirle per terminare il lavoro di strumentazione. Il maestro Tommasini ed io abbiamo eseguito questo compito col massimo scrupolo.”

Malgrado dunque l’orchestrazione non sia stata del tutto terminata, non ci sono dubbi che l’opera sia totalmente “boitiana” e abbia un fascino straordinario, con una “modernità” decisamente superiore al Mefistofele anche se la mancanza di una edizione critica ci impedisce di cogliere questo aspetto fino in fondo. Ma un’ultima cosa va sottolineata: Boito, da buon discepolo di Charles Baudelaire, credeva fermamente nelle “corrispondenze”, nel legame profondo e inscindibile tra poesia e musica. La gestazione del Nerone è accompagnata, a questo proposito, da una profonda riflessione sulla Nascita della tragedia dallo spirito della musica di Friedrich Nietzsche, che ci dimostrano come il suo proposito fosse non tanto quello di accompagnare i versi con la musica, quando da far sì che la musica “scaturisse” dal testo stesso: “Anzitutto devi cercare e notare sul tuo testo letterario tutti gli elementi musicali d’immagini lineari o di espressioni psicologiche  d’accento o di ritmo che necessariamente racchiuda. Raccolte che siano le annotazioni vocali o le ragioni tonali, modali e armoniche del discorso, l’insieme musicale scaturisca ed invada il tutto (…) Prima di essere musicista bisogna essere poeta. Parla il tuo verso finché dall’accento giusto, parlato, esca il ritmo e l’intervallo musicale da sé. Finché l’accento parlato si cristallizzi in suoni …” [6]

LA TRAMA DELL’OPERA[7]

Atto primo. La via Appia. La vicenda vive soprattutto della contrapposizione tra il mondo pagano in disfacimento e il nascente mondo cristiano. Nerone, allontanatosi da Roma dopo il suo matricidio, cerca conforto nei riti di Simon Mago, ma viene atterrito e messo in fuga dall’apparizione dello spettro di Asteria. Simon Mago pensa di usare Asteria, che è follemente attratta da Nerone, contro lo stesso imperatore. Poco lontano, la preghiera della giovane Rubria viene interrotta dall’apostolo cristiano Fanuèl, che la esorta a confessare il peccato che la opprime. Il dialogo viene interrotto da Simone, che offre dell’oro a Fanuèl in cambio dei suoi miracoli, ricevendone invece una maledizione. Nerone ritorna e Tigellino gli annuncia che tutto il popolo romano sta sopraggiungendo per riportarlo in trionfo nell’Urbe.

Atto secondo. Nel tempio di Simon Mago. Per piegare Nerone alle sue ambizioni, dopo esser ricorso a vari stratagemmi Simon Mago gli fa comparire dinanzi Asteria in veste di dea; ma quando la giovane si china sull’imperatore per baciarlo, questi si accorge di avere fra le braccia una donna: nella sua furia inarrestabile devasta allora il tempio, scoprendo i trucchi di Simon Mago, che viene arrestato dai pretoriani e condannato a morire nel circo.
Atto terzo. I cristiani sono riuniti in preghiera sotto la guida di Fanuèl che riporta il discorso delle beatitudini, quando giunge Asteria, fuggita dalla fossa delle serpi in cui era stata fatta gettare da Nerone, per avvertirli che anch’essi sono stati condannati dall’imperatore. Simon Mago guida i soldati romani fino a loro; Fanuèl, arrestato, chiede ai confratelli di pregare mentre viene condotto via.

Atto quarto. Quadro primo: l’oppidum. Nel circo Massimo. Simon Mago viene avvertito dell’imminente incendio della città, appiccato per favorire la sua fuga; anche Nerone ne è a conoscenza, e anzi se ne allieta con Tigellino. Quando i cristiani vengono condotti a forza nell’arena, una vestale velata chiede pietà per loro, ma Nerone, fattole strappare il velo da Simone, riconosce Rubria, segnando così la sua condanna. Simon Mago, forzato a volare da Nerone, si schianta al suolo proprio mentre l’annuncio dell’incendio provoca un fuggi fuggi generale. Quadro secondo: nello spoliarium del Circo Massimo. Nel sotterraneo del circo, dove si depongono i morti, Fanuèl e Asteria cercano Rubria. La giovane, ormai in fin di vita, confessa finalmente a Fanuèl il suo peccato, quello di aver servito un falso dio come vestale e contemporaneamente gli svela il suo amore. Fanuèl le dà il perdono cristiano e la dichiara sua sposa; Rubria muore e Fanuèl fugge con Asteria dallo spoliarium in fiamme.



[1] Marco CAPRA (a cura di), Nerone e dintorni. Arrigo Boito e il culto dell’antichità romana tra XIX e XX secolo, Parma, Monte Università Parma editore, 2021, p 42; p.53.

[2] Per la nostra intervista al maestro cfr https://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=9442&categoria=1&sezione=8&rubrica=8

[3] Fonte: https://www.teatroliricodicagliari.it/it/2022_news/news_2024/2024_nerone.html

[4] Oggi in Arrigo BOITO, Tutti gli scritti, a cura di Jacopo Nardi, Milano, Mondadori, 1942, pp.1080-81.

[5]Nerone,  atto IV (in Tutti gli scritti, cit. p. 278. )

[6] Domenico DEL NERO, Arrigo Boito, un artista europeo, Firenze, le Lettere, 1995, p. 149

[7] Fonte: https://operaincasa.com/2022/06/09/nerone-2/

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    2 commenti per questo articolo

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