Maggio Musicale Fiorentino

Firenze, trionfale anche il secondo appuntamento con le sinfonie di Čajkovskij. Sabato primo luglio l'ultima serata

Daniele Gatti, alla guida dell'orchestra del Maggio, entusiasma il pubblico con la seconda e la quarta sinfonia del grande musicista russo. Sabato gran finale con la Patetica.

di Domenico Del Nero

Il secondo appuntamento di Daniele Gatti e dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino con le sinfonie di Čajkovskij si rivela riuscito e trionfale come il primo, se non di più. Quel che è certo è che la sintonia tra il direttore principale del Maggio, la “sua” orchestra e il grande maestro russo è indiscutibile; altrettanto valida la scelta di abbinare una sinfonia giovanile a una più matura, che consente di apprezzare la maturazione e l’evoluzione dello stile e del linguaggio musicale del compositore.

Mercoledì 28 giugno scorso sono dunque state eseguite la seconda sinfonia, composta nel 1872 (detta “Piccola Russia”) ma revisionata nel 1881 e la quarta, realizzata tra il 1876 e il 1878 e dedicata “al mio migliore amico” Nadezda von Meck, brillante e colta donna d’affari che fu mecenate per più di un musicista, ma nel caso di Čajkovskij fu un vero e proprio nume tutelare, garantendogli non solo il pieno sostegno economico ma anche un grande sostegno psicologico e morale. Curiosamente, si trattò di un rapporto quasi esclusivamente epistolare (gli incontri furono pochissimi, causali e fugaci)  ma non per questo meno intenso e importante.

Sebbene dunque la distanza temporale tra i due lavori non sia poi notevolissima, le due sinfonie non potrebbero essere più diverse. La seconda è infatti costruita sul patrimonio folcloristico russo e ucraino: nell’andante sostenuto che apre la composizione il corno cita il tema della canzone popolare Lungo la madre Volga, mentre il tema principale del quarto movimento è di derivazione ucraina (la canzone la gru ). Gatti è l’orchestra del Maggio hanno offerto una lettura che ha evidenziato in pieno il lirismo, il senso del folclore russo ma anche la ricchezza della strumentazione e la vivacità dei suoi colori.

Di ben altra tempra è invece la quarta sinfonia, prima tra quelle considerate “maggiori”. Una composizione che giunge dopo un momento particolarmente difficile e travagliato della vita del compositore: il disastroso esito del suo matrimonio con una sua ex allieva, Antonina Ivanovna Miljukova, che portò il musicista sin sull’orlo del suicidio. E non per nulla, questa sinfonia si apre con un tema drammatico e incombente, affidato agli ottoni, il tema del destino: “ Questo è il Fato, forza nefasta che impedisce al nostro slancio verso la felicità di raggiungere il suo scopo, che veglia gelosamente affinché il benessere e la tranquillità non siano totali e privi di impedimento” scrisse il musicista.  ll motivo del fato ricompare, come un segnale sinistro, nel corso del primo e dell’ultimo movimento. L’Andantino, con il suo acceso lirismo, è il momento dedicato alla nostalgia per il tempo passato, mentre lo Scherzo ha il sapore di ricordi confusi che si affastellano veloci, come in preda a uno stato di ebbrezza, nella mente del compositore. L’Allegro con fuoco finale assume invece i toni di una festa danzante dove la vorticosa allegria della musica è tuttavia turbata dal motivo del fato, che ricompare alla fine pronto a cancellare ogni speranza di felicità.

La lettura di Gatti, perfettamente assecondato dall’orchestra del Maggio, è energica ma mai retorica, appassionata e come di consueto attenta al dettaglio, alla purezza assoluta del suono: se il primo movimento rappresenta la disperazione e la tristezza, evidenziato da un perfetto incrociarsi di temi (tra cui, notevole, quello triste di un valzer) in cui continua a dominare quello del destino, nel secondo predomina la dolce malinconia dell’oboe e del pizzicato degli archi; mentre il terzo diventa un  fantasmagorico arabesco dal sapore dionisiaco, tra brillanti pizzicati di archi e il “controcanto” dei fiati. Un momento di grande maestria e brillantezza, a cui segue il quarto e ultimo tempo, dove a un tema trascinante di festa popolare si contrappone ancora una volta, cupo e minaccioso, quello del fato, fino alla vorticosa chiusa del finale. Se l’esecuzione della seconda è stata accolta, dal numeroso pubblico in sala, da un caloroso applauso, la quinta è stata seguita con un silenzio quasi religioso (persino i consueti e fastidiosissimi rumori di sala risotti al minimo ) sino a un caloroso e trionfale applauso per il grande direttore  e per questa grande orchestra che sono un patrimonio irrinunciabile di Firenze e non solo.

Sabato 1 luglio, sempre alle ore 20 in sala Mehta, gran finale con l’alfa e l’omega, con la prima e la sesta sinfonia, la celeberrima patetica . In apertura, dunque, la Sinfonia n. 1 in sol minore op. 13, nota anche come Sogni d’inverno, il primo lavoro sinfonico di grande impegno di Čajkovski: la prima esecuzione si tenne nel 1868, ma subì poi delle modifiche che portarono alla seconda versione del 1874, pubblicata appunto con il sottotitolo “Sogni d’inverno”.  Segue una delle più amate composizioni di sempre, la Sinfonia n. 6 in si minore op. 74, la celeberrima Patetica. Composta al sorgere del 1893, la Patetica nacque a partire da un programma strettamente personale che l’autore non volle rivelare, poiché in esso erano concentrati i suoi pensieri più intimi. Come se fosse un rifugio estremo di un artista dall’esistenza travagliata, perennemente in lotta con i fantasmi della sua mente, la Patetica racchiude tutto il mondo di Čajkovskij: una confessione autobiografica venata di pessimismo, soprattutto nei due movimenti estremi, che quasi s’impone come testamento spirituale battuta dopo battuta. La sua ultima sinfonia fu eseguita per la prima volta il 16 ottobre 1893 e Pëtr Il'ič Čajkovskij morì pochi giorni dopo, il 6 novembre.

Sicuramente un altro appuntamento entusiasmante che dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, l’eccellenza di questo grande teatro, dei suoi direttori,  della sua orchestra e del coro e di tutti coloro che contribuiscono alla sua straordinaria magia.