Maggio Musicale Fiorentino

Va, vecchio John. E Il Maggio fa ancora un centro straordinario con Falstaff. Ma i lavoratori giustamente avvertono: il silenzio è in agguato

Splendida la direzione di Daniele Gatti, buoni nel complesso gli interpreti, brillante e funzionale la regia. Prima dello spettacolo, un accorato appello dei lavoratori del teatro: non abbandonateci.

di Domenico Del Nero

Tutto nel mondo è burla, ma su quello che sta accadendo al Maggio Musicale Fiorentino c’è poco da scherzare. È quanto hanno voluto ribadire, giustamente, i lavoratori del teatro, con un accorato appello a sipario aperto; un palcoscenico vuoto, dove regna solo il silenzio. Uno scenario che chiunque ami la cultura e l’arte ovviamente non vorrebbe neppure prendere in considerazione e che si spera comunque di scongiurare. Si spera davvero che le istituzioni, locali e nazionali, raccolgano l’appello e soprattutto facciano qualcosa.

Ma nonostante le ombre che gravano sul suo futuro, il Maggio continua a dare il meglio di sé e il Falstaff , ultimo grande capolavoro di Giuseppe Verdi in scena in questi giorni ne è la prova evidente. Uno spettacolo ancora una volta di altissimo livello, che dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, la grande professionalità dell’orchestra, del coro e delle maestranze del teatro, un patrimonio di esperienza e di bellezza che merita solo di essere valorizzato.

Il maestro Daniele Gatti, che è un vero esperto di quest’opera, aveva annunciato una lettura complessa, non basata esclusivamente sulla “comicità”; e sicuramente ha dato vita a una partitura ricchissima, in cui l’orchestra – caso pressochè unico nella produzione verdiana (con la parziale eccezione di Otello) è protagonista quanto e più delle voci stesse.  I tempi sempre perfettamente calibrati, l’attenzione alla minima sfumatura, la straordinaria coloritura dei fiati, dei legni e degli ottoni (come nell’introduzione alla seconda scena del primo atto o all’ultima del terzo ) ma anche i passaggi malinconici come il va vecchio John dell’inizio del terzo atto, fino alla straordinaria, polifonica e travolgente fuga finale tutto nel mondo e burla, danno veramente la dimensione della grandezza di questo capolavoro che Gatti mostra di conoscere davvero fino in fondo. Non mancano ovviamente anche i momenti “comici”, come l’incontro tra Quickly e il cavaliere, ma il maestro evita accuratamente qualsiasi deriva “farsesca” per restituire invece un’atmosfera ora pensosa, ora idilliaca (soprattutto Fenton e Nannetta), ora malinconica (la solitudine del protagonista, ad es. all’inizio del terzo atto) ma anche certo giocosa e travolgente, come nell’indiavolato finale del secondo atto. Orchestra e coro brillantissimi come di consueta assecondano perfettamente la lettura del maestro e i solisti.

La regia è ancora quella di Sven Erich – Bechtolf con le scene di Julian Crouch, ripresa in modo egregio da Stefania Grazioli che aveva collaborato con il regista nella scorsa edizione. Una messa in scena che ha fatto storcere il naso agli assertori inflessibili e implacabili dei tubi, delle lavatrici e magari degli ufo-robot; ma se è senz’altro vero che tradizionale non è sempre e necessariamente sinonimo di efficace e convincente, è altrettanto vero il contrario.  “Questa è una produzione molto classica, storica ma vivace, giocosa e fantasiosa, con una scenografia molto flessibile e bellissimi costumi: una commedia, ma allo stesso tempo un'opera di grande spessore e geniale costruzione; un mondo dove princìpi e modi si scontrano costantemente fra di loro, aristocrazia con borghesia, età contro la giovinezza, realtà contro la finzione”, aveva affermato Bechtolf, concetto ribadito anche da Stefania Grazioli: “ Trovo questa produzione un gioiello prezioso che abbiamo in casa, evocativo, poetico, divertente, nostalgico, un ingranaggio teatrale perfetto che esalta la genialità musicale verdiana e il grande talento del librettista Boito. Allestimento tradizionale, fedele in tutto e per tutto alla musica e alla drammaturgia, costumi e scene curate nel minimo dettaglio, così come la regia, che non lascia mai niente al caso, come dice lui stesso, una coreografia teatrale... movimenti, azioni, spostamenti, piccole gag che fanno sorridere e riflettono vizi e virtù del grande eroe shakespeariano”

E tutto questo infatti funziona alla perfezione: spazio scenico suggestivo e ben sfruttato, con l’uso di pannelli mobili che consentono agevolmente di passare da una scena di interni – l’osteria della giarrettiera o la casa di Ford – a una di esterni; il Tamigi  sullo sfondo e una piacevole atmosfera  old England ; molto curati i movimenti scenici, bellissimi i costumi di Kevin Pollard  e il gioco di luci di Alex Bros; molto animata in particolare la scena finale, in cui i costumi fanno ricordare il Sogno di una notte di mezza estate mentro tutto lo spazio viene sfruttato per  il tutto nel mondo è burla.

Sul piano dei solisti, non era certo facile competere, per il ruolo del titolo, con la straordinaria interpretazione di Nicola Alaimo dello scorso anno; ma senza dubbio il baritono “wagneriano” Michael Volle riesce benissimo a non sfigurare. Certo, due interpretazioni molto diverse, come del resto è logico e giusto (e aggiungiamo pure anche bello) che sia; Volle è un interprete sul piano scenico molto dignitoso e contenuto, ma capace anche di lasciarsi andare a qualche gag comica; è perfettamente in sintonia con quanto richiesto da Gatti, non un istrione ma un personaggio complesso e per certi aspetti persino drammatico. Fa a volte sorridere, ma non necessariamente “ridere”. Sul piano vocale, Volle ha senza dubbio un ottimo strumento, solido nell’emissione ma anche duttile, che si piega alle sfumature – furfantesche, malinconiche, civettuole – del personaggio. Ottimo sia scenicamente che vocalmente anche il Ford di Markus Werba, che rende perfettamente un personaggio “antipatico”, irascibile e dispotico: dotato di una voce senza dubbio robusta e brillante, il baritono austriaco fa un ottimo pendant con il suo rivale, rivelandosi una delle punte di forza dello spettacolo. Mattew Swensen è un Fenton dal timbro molto chiaro ma dalle buone capacità interpretative. Tra i ruoli femminili, una menzione particolare alla Nannetta di Rosalia Cid, formatasi all’Accademia del Maggio (altra eccellenza di questa istituzione), dotata di un timbro limpido e di una voce bene impostata (bellissima la sua risposta al bocca baciata non perde ventura: anzi rinnova come fa la luna. Elegante e spiritosa la Alice Ford di Irina Lungu, discreti nel complesso gli altri interpreti, sempre abilmente guidati dalla buca e dalla regia.

Grandi ed entusiasti applausi del pubblico, soprattutto al direttore e a Michael Volle; prossime repliche, stasera alle 20 e venerdì 23 alle 18. ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE.

La recensione si riferisce alla recita di lunedì 19 giugno.