Maggio in streaming

IT'S MAGGIO. Le produzioni del teatro fiorentino sulla nuova piattaforma voluta dal ministero dei Beni culturali: RIGOLETTO

Una lettura molto particolare del capolavoro verdiano del regista Davide Livermore

di Domenico Del Nero

IT'S MAGGIO.  Le produzioni del teatro fiorentino sulla nuova piattaforma voluta dal ministero dei Beni culturali: RIGOLETTO

Un Rigoletto decisamente in nero. Se nell’edizione del teatro del Maggio Musicale Fiorentino del 2018, quella che vide la rappresentazione completa della Trilogia popolare, il regista Francesco Micheli aveva individuato il verde come “colore caratterizzante”, simbolo di livore, rabbia e rancore, lo spettacolo firmato da Davide Livermore predilige decisamente tonalità ancora più cupe:  si potrebbe dire noir, costruendo uno spettacolo all’insegna della crudeltà e dei “giochi” del potere, che anche quando si diverte non conosce limiti e rispetto di sorta. Per questo il regista traccia delle coordinate atemporali, per mettere in scena un contesto di cinismo, lussuria e depravazione che non sono certo retaggio, come ha più volte dichiarato, solo dei tempi andati, anzi ….

L’opera è stata registrata il 25 febbraio nel teatro purtroppo semideserto (se si eccettua la scarna pattuglia di giornalisti, qualche autorità e addetti ai lavori) con il maestro Riccardo Frizza a dirigere l’orchestra e il coro del Maggio e il baritono Luca Salsi nei panni del protagonista. Ora è finalmente disponibile su ITSART, la piattaforma streaming italiana dedicata interamente alla cultura e realizzata su volere del Ministero dei Beni Culturali  e nata da un accordo tra Cassa Depositi e Prestiti e la piattaforma Chili, azienda con sede a Milano che opera nella distribuzione via internet di film e serie tv  live e on demand, con contenuti esclusivi disponibili in Italia e all’estero che si è accesa il 31 maggio scorso.  Essa  contiene diversi altri spettacoli registrati al Maggio e che presentiamo, per l’appunto, a partire da oggi.  

Certo si spera che questa edizione di Rigoletto possa essere successivamente ripresa con il  pubblico in sala; perché anche se farà senz’altro discutere, in particolare per alcune scelte, non c’è dubbio che si tratti di una lettura molto forte e d’impatto. E ancora una volta, ovviamente, un vivo grazie al Maggio Musicale e al suo sovrintendente per tenere accesa questa fiamma di cultura in tempi che bui e cupi lo sono senza dubbio come pochi.

Le origini letterarie di Rigoletto risalgono a uno degli autori più celebrati del Romanticismo: il dramma in 5 atti  le Roi s’amuse  (il re si diverte) di Victor Hugo rappresentato nel novembre 1832 e subito censurato e bandito malgrado il regime “liberale” di  Luigi Filippo.  Hugo metteva in scena il re di Francia Francesco I, dipinto come un libertino dissoluto del tutto incurante della sorte dei propri sudditi. Si rese dunque necessario spostare la vicenda e cambiare … testa coronata; la censura austriaca non poteva accettare che un sovrano, anche se di qualche secolo addietro, venisse rappresentato in qual modo. Se il periodo storico rimase più o meno lo stesso (il XVI secolo) lo scenario si spostò a Mantova e il sovrano libertino divenne un non meglio precisato duca; tra l’altro, il ducato di Mantova non esisteva più da tempo e la casata ducale dei Gonzaga era estinta. Ma un altro problema lo pose il titolo: non potendo utilizzare quello dell’originale di Hugo, Verdi avrebbe voluto La maledizione: “Tutto il sogetto è in quella maledizione che diventa anche morale. Un infelice padre che piange l’onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande al sommo grado” scrisse il compositore in una lettera del 3 giugno 1850; ma la censura la pensava diversamente, quella maledizione sapeva un po’ troppo di blasfemo ed ecco infine il titolo definitivo, Rigoletto. Ed è questa la figura centrale dell’opera: Verdi, per l’appunto aveva intuito che la rappresentazione della natura umana, se voleva essere veramente realistica, non poteva basarsi sulla contrapposizione manichea tra bene e male, ma piuttosto sulla loro fusione in una unica personalità.   C’è chi (non a torto) ha parlato, per il tristo buffone, di un Innominato senza conversione e senza redenzione.

E sicuramente così lo ha inteso Livermore, che gli ha dato una caratterizzazione più crudele del consueto “più vicina a come lo intendeva Hugo”.  Non si limita ad esempio a schernire Ceprano, ma addirittura lo colpisce, e anche nel suo affetto paterno c’è un che di cupo e di egoista che più che a un misto di bene e di male fa pensare piuttosto a un “malvagio integrale” non poi molto diverso dai suoi aguzzini e dal cinico e amorale duca. Chi veramente invece è diverso è il povero Monterone, che non per nulla – con un coup de theatre davvero originale – è collocato inizialmente fuori dal palcoscenico (ch’io gli parli), proprio per sottolineare la sua estraneità a quell’ambiente frivolo e profondamente corrotto.

Sono sicuramente punti di forza di una lettura senz’altro originale, ma che sicuramente farà discutere. Una lettura molto “cinematografica”, influenzata , come dice lo stesso regista, da Stanley Kubrich, con atmosfere da Arancia Meccanica e da Shining.

Solo la prima scena, collocata in una sorta di boudoir con personaggi in fogge e costumi di varie epoche, ha una qualche attinenza con l’originale. In tutte le scene sono presenti le consuete proiezioni curate da D-wok, che garantiscono effetti molto suggestivi ; la squadra di cui il regista è infatti ormai molto collaudata ed affiatata: Giò Forma per le scene, D-wok per le proiezioni, Gianluca Falaschi per i costumi. La seconda già è sicuramente del tutto …. Fuori di chiave, perché si sposta in una stazione della metropolitana, sordida e squallida come per ogni noir che si rispetti. E’ qui che Rigoletto incontra Sparafucile (atto primo, scena VII – VIII) e sarà qui che avverrà il suo illusorio trionfo con riconoscimento della figlia ormai morente e la maledizione che trionfa (anche se solo di lui, il duca rimane indenne) nell’ultima parte del terzo atto.  La taverna di Sparafucile poi si trasforma in un night club con tanto di bisca che ricorda molto certe atmosfere da giallo americano. Tutto questo può piacere o meno, ma certo ha una sua logica e una sua originalità, che può magare essere “urticante”, ma innegabilmente affascina. Quello che invece sembra un po’ una caduta è Gilda che nell’ultima parta del primo atto si trova confinata in una sorta di lavanderia, con una bella schiera di lavatrici che fanno bella mostra di sé. L’obiettivo è chiaro, mostrare la condizione di sottomissione e di sfruttamento della ragazza; ma qui l’armamentario è un po’ datato, già molti anni fa Margherita nel Mefistofele  di Boito cantava stirando L’altra notte in fondo al mare con tanto di lavatrice sullo sfondo.  Molto più d'effetto, nel suo crudo realismo, mostrare Gilda come vittima di una vile violenza dopo che ha passato la notte col duca, violenza che non cancella l’amore per lui, rendendo il personaggio ancora più squisitamente romantico.  Senza dubbio infatti uno dei pregi di questa edizione è il grande approfondimento psicologico sui caratteri, che acquistano veramente una dimensione di attualità. Molto efficace anche il cupo gioco di luci di Antonio Castro.

Dalla scena al golfo mistico, la direzione di Riccardo Frizza si mostra nel complesso abbastanza varia e con qualche caduta nel primo atto (dove non sempre il rapporto con le voci è del tutto equilibrato) , ma nel complesso convincente e coinvolgente. Il direttore riscopre inoltre alcuni effetti che la prassi esecutiva aveva dimenticato, come alla fine della scena VIII del primo atto il mi coglierà sventura …ah no, è follia tutto in pianissimo, senza il tradizionale acuto; straordinario e molto più suggestivo, una cupa meditazione interrotta poi dal gioioso incontro con la figlia (lavandaia). Frezza adotta infatti una edizione della partitura del tutto priva da aggiunte, interpolazioni e “aggiustamenti” di esecutori e interpreti, soprattutto acuti e sopracuti. La sua lettura è perfettamente intonata al tono cupo generale, ma non manca di sottolineare anche i momenti lirici e patetici. Ottime le prestazioni di orchestra e coro del Maggio.

E tutto questo non può non riflettersi anche sui cantanti: Salsi risponde pienamente all’inquadramento psicologico del personaggio, dandoci un Rigoletto cupo e tutto proiettato su se stesso, violento e sarcastico e profondamente egoista anche nel suo rapporto con la figlia, ma molto efficace anche sul piano vocale; anche senza orpelli, la voce del baritono rivela la sua pienezza e la sua duttilità, con accenti di grande drammaticità in brani come Cortigiani vil razza dannata.

Non alla sua altezza, malgrado un generale livello dignitoso, le altre voci. Il tenore Javier Camaregna  dà vita a un personaggio sicuramente cinico e amorale come da copione, ma malgrado un buon timbro vocale  e una certa facilità di canto la sua esecuzione non coinvolge più di tanto, forse anche per il volume non sempre adeguato. Discorso simile si può fare per la soprano Enkeleda Kamani: buon fraseggio e eleganza, una esecuzione senza dubbio “pulita”, ma niente di più.  Discrete anche le altre parti, in particolare la Maddalena di Caterina Piva.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Giuseppina ANITA il 07/06/2021 22:43:21

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