RACCONTI DI UNA STAGIONE BUIA

13. Storia di un mazzo di chiavi

Breve storia di un soldato che ne incontrò un altro e finì tutto male

di Giulia Bartolini

13. Storia di un mazzo di chiavi

In un mondo un po’ oscuro,

…c’era una volta un soldato. Un soldato di una guerra qualunque, di un paese qualunque, in un’epoca qualunque, giovane, bello e pieno di sogni, che chiameremo, per comodità, Il Soldato.

Prima di arruolarsi nessuno gli aveva detto che avrebbe nevicato.

Certo è che era febbraio. Certo è che faceva freddo.

Se ne accorgeva quando toglieva gli stivali per rimirarsi i geloni

tentando di buttare giù bocconi di quel pane “non-pane” troppo duro;

quando il calcio del fucile si bloccava,

quando sull’attenti i tacchi battevano sul ghiaccio e il naso sul cielo. 

Ma la neve no. Era troppo. Era una maledizione e il freddo, si sa, mette in ginocchio anche le corone, figuriamoci i fucili.

Non si spara quando si ha freddo, né dalla tua parte, nè da quell’altra. La tregua dei geloni.

Un giorno di vita, e il doppio delle pallottole nel fucile nelle successive ventiquattro ore. Così la media giornaliera dei morti si manteneva, ma a casa nessuno sapeva che c’erano giorni in cui era più facile morire “di freddo”, piuttosto che “di guerra”.

C’era anche un po’ di vino quando nevicava. Arrivava dalla terra di nessuno, da una divisa d’un altro colore, e le domande non si facevano. Si beveva e basta.

Solo i primi giorni ti sembrava di odiare veramente loro, gli altri, quelli dall’altra parte.

Di un odio simbolico, solitamente, di cui sono pieni i libri e vuoti i fucili.

Però sparavi: per il tuo paese, per la tua casa, la tua famiglia; per tutto quello che ti veniva in mente, senza tanti come né perché, con tanti “siccome sono io” e “giacché sono qui”.

In ogni caso, eri lì e saresti tornato a casa, vivo o morto…e in quei casi, sì, il mondo pareva davvero o bianco o nero.

“Che freddo!”

Un mattino gli si avvicinò un ragazzo giovane, il viso chiaro, capelli color cenere, occhi azzurri e troppo simili a quelli di suo fratello per non vederli. Lo chiameremo, per comodità, Quell’altro.

“La neve non ci voleva” gli rispose sorridente Il Soldato mentre Quell’altro si sedeva vicino a lui.

“Mi sono perso le chiavi di casa.”

Il Soldato gli passo una sigaretta: “...Dove le hai perse?”

Aveva tutto il tempo del mondo.

“…quando ha cominciato a fare freddo. Il sole ci urlava contro -Non torno più, non torno più per voi- e io ho cominciato a rispondergli ma lui minacciava di farci buttare giù dal vento e dalla neve, allora ho continuato a litigarci e… gli ho sparato contro! E cade! Cadeee! Ho cominciato a urlare... ma le nuvole l’hanno tenuto su! …mi sono distratto per parlare con lui, mi sono agitato e in tutto quel trambusto…”

Il Soldato: “Le hai perse”.

Sorrise. Il Soldato aveva scorto in quegli occhi una dolce follia. Lo assecondò.

Aveva tutto il tempo del mondo.

“Quando tornerai a casa qualcuno ti aprirà”.

“Senza chiavi non posso tornare.”

Silenzio. Qualche boccata. Fumo nel freddo.

Quell’altro: “è meglio che non smetta di nevicare e che le nuvole non se ne vadano perché se l’ho colpito davvero, ci cadrà addosso”.

Silenzio. Una boccata.

Il soldato: “Com’erano fatte queste chiavi?”

Quell'altro: “Se lo sapessi le avrei già trovate”

Silenzio.

Silenzio.

“Dove abiti?” Chiese il Soldato.

Quell'altro: “Non mi ricordo la porta…sta sul mare, e c’è un sole a cui non sparerei mai; …mi abbraccia ogni mattina come fa mia sorella. Quando sto là non perdo mai nulla. Hai una sorella?”

“Un fratello e un cane!”

“Anche io ho un cane! Mi serve per scacciare il vento quando mi mette in disordine casa e tira su la gonna di Teresa…”

Silenzio.

Aveva smesso di nevicare. Per giorni fu solo nuvoloso. Il Soldato si ritrovò a pensare che era meglio così, ci mancava anche che il sole gli cadesse addosso.

Scrollava la testa, ogni mattina, caricava il fucile e via. Taratataratà.

Quell’altro sparava a fianco a lui, ogni tanto, poi, si chinava e continuava a cercare.

Il Soldato cominciò a credere che ci fosse davvero qualcosa da trovare. 

Se fosse morto nessuno avrebbe ritrovato la sua porta, riconsegnato il suo corpo, pronunciato ancora il suo nome.

Passarono i giorni. Il cielo era sempre più nuvoloso.

Silenzio. Fumo. Freddo.

Una mattina il soldato prese una bomba a mano, uscì dalla trincea, si buttò nella terra di nessuno.

Prima di cadere crivellato dai colpi nemici, gettò la bomba a mano nella trincea degli altri.

Ne morirono tanti quel giorno. Per due giorni nevicò, nessuno sparò, ma la media giornaliera di morti si mantenne comunque.

Quell’altro trascinò il corpo del Soldato al sicuro.

Guardò il suo volto ormai spento. E pensò alla paura.

È Persa ogni speranza per voi che sparate.

Forse è meglio provare a uccire il sole.

Quell’altro allora imbracciò il fucile, le lacrime agli occhi, e un fuoco di speranza ritrovata che tintinnava come un mazzo di chiavi.

Cominciò a correre nella Terra di Nessuno, urlando contro il sole.

“Questa volta non ti mancherò!”

Taratàtaratà. Colpi.

Silenzio. Fumo. Freddo.

A questi tempi bui.

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