Editoriale

Gaia, Camilla e Pietro tre vittime e un mostro, il destino

Simonetta  Bartolini

di Simonetta  Bartolini

ue adolescenti attraversano di notte una strada poco illuminata ignorando il semaforo rosso. Piove molto, o forse no, è appena smesso, comunque l’asfalto è viscido e la strada in questione è quasi una superstrada (tre corsie per ogni senso di marcia separate da un guard rail). Qualcuno dirà che stavano tenendosi per mano. È quasi mezzanotte (poco più, poco meno) sono in ritardo, la mamma di Gaia (o forse è quella di Camilla) ha mandato un messaggino per richiamare la figlia a casa, è tardi e loro hanno appena 16 anni.

A quanto dicono, vedendole avventurarsi in un attraversamento sconsiderato una macchina rallenta e si ferma, hanno l’incoscienza tipica dell’età, la sensazione di possedere il mondo e le sue regole, il senso dell’onnipotenza gioiosa; passano, forse correndo: sono percorse dal brivido del potere della loro gioventù che non teme il pericolo, anzi lo corteggia con una strizzatina d’occhio. È un’ebrezza più pericolosa di quella alcolica, ma loro non lo sanno si caricano a vicenda con le mani intrecciate nell’amicizia antica(!) e corrono verso casa incuranti di quel semaforo rosso che dice loro: fermatevi, ora non si può.

Chi ha inventato i semafori? senz’altro un adulto senza fantasia, uno fissato con le regole, un nerd noioso che non conosce il gusto della trasgressione che a sedici anni è peggio del tasso alcolemico più elevato.

Corrono Gaia e Camilla, corrono e poi volano.

Non sanno che nello stesso istante un altro giovane, un po’ più grande di loro, un ventenne, sta per incontrarle. Appena pochi minuti prima sarebbe stato un incontro fatto di sorrisi, ammiccamenti, frasi sfrontate o magari imbarazzate. I lunghi capelli, che adesso si bagnano di sangue e di pioggia sull’asfalto lucido, sarebbero stati cincischiati dalle dita alla ricerca di una seduzione acerba ma già consapevole di giovinette che stanno diventando donne. Ci sarebbe stato chiasso intorno a loro, forse musica, e profumo di birra gli ingredienti della movida di Ponte Milvio che Gaia e Camilla hanno appena lasciato per tornare a casa.

Quel ragazzo di vent’anni alla guida di una macchina troppo grossa per la sua età (per carità tutto regolare, la legge lo permette, ma il buon senso?) non sa che sta per incontrare due sedicenni bellissime, non sa che il semaforo verde che lo autorizza a passare sta per giocargli uno scherzo che non dimenticherà mai più, non sa che quel semaforo verde sarà il suo carnefice.

Sono passati almeno quattro o cinque anni da quando Pietro studiava la Divina Commedia sui banchi di scuola, allora incontrando il canto dantesco dei consiglieri fraudolenti non pensava che un semaforo verde sarebbe stato la sua dannazione.

Sono tre amici, forse stanno ridendo, forse scherzano spensierati, hanno vent’anni la notte è piccola per loro, il divertimento deve ancora cominciare. Hanno bevuto un po’ a cena, non sono brilli ma per la legge hanno bevuto troppo, anche per la loro giovane età hanno bevuto troppo, a vent’anni basta poco per far perdere di vista la cautela che non è esattamente la virtù più diffusa a quell’età.

Il semaforo è verde il piede preme sull’acceleratore per non perdere il prossimo verde che Pietro intravede cento metri più avanti, o forse deve immettersi sulla rampa che porta sulla tangenziale, in ogni caso il via libera lo autorizza a passare. Supera una macchina che ha inspiegabilmente rallentato fino a fermarsi: –Ma guarda, quello si ferma così all’improvviso con il semaforo verde – avrà pensato mentre forse scarta per evitare di tamponarla e la supera. Pietro non vede Gaia e Camilla, e loro non vedono lui, è il momento dell’incontro: doloroso, improvviso, sconvolgente.

Un rumore, anzi uno schianto, devastante, assordante, stupefacente. La macchina ha un sobbalzo e prosegue la sua corsa, gli amici gli urlano di fermarsi, lui non capisce cosa sia accaduto, il semaforo era verde.

Pietro ora sa che è accaduto qualcosa di terribile, la macchina si ferma, da sola, forse, lui non ha neppure toccato il pedale del freno, forse: il semaforo era verde. Spera di aver colpito un cane, forse. Forse il primo pensiero è di aver rovinato la macchina del padre, fino a che la verità gli si mostra in tutta la sua orribile crudezza.

Non sa che fare, Pietro, non sa pensare, non capisce: il semaforo era verde.

I corpi di Gaia e Camilla giacciono immobili sull’asfalto bagnato, c’è sangue ma lui spera che non sia grave come sembra, spera di non averle uccise.

Chiama il padre, in lacrime balbetta che il semaforo era verde.

Il silenzio. Il silenzio di Gaia e Camilla eterno, irreversibile, assoluto, spaventoso, il silenzio grava sue quei due giovani corpi, ottunde la mente di Pietro si mescola con il rumore di voci, e poi le sirene, forse le prime accuse. Per tutti Pietro si avvia a diventare l’assassino di Gaia e Camilla.

Tutto si è consumato in pochissimi attimi, la gioia, la spensieratezza, l’attesa delle prossime vacanze scompaiono inghiottite dal silenzio spaventoso. Tre famiglie sono state distrutte da un semaforo verde.

La tragedia però non si ferma qui, siamo in epoca di social, e lui Pietro è figlio di un noto registra cinematografico. L’occasione è ghiotta per tutti: media e social. La vera tragedia di questi nostri tempi si manifesta in tutta la sua potenza, gli ingredienti sono perfetti: due giovani vite stroncate in una notte di dicembre tenendosi per mano, un giovanotto con una macchina esagerata e un padre famoso.

I giornali hanno finalmente un mostro da sbattere in prima pagina (di Salvini hanno tutti piene le scatole verrà buono più avanti) i social si scatenano con le tricoteuses da tastiera. Ognuno ha qualcosa da dire, e naturalmente, poiché i morti sono intoccabili, e in questo caso si tratta due sedicenni, per Pietro non c’è pietà.

Ma siamo sicuri che il mostro sia Pietro?

No, cari lettori, i mostri sono tutte quelle anime belle che speculano su pochi attimi fatali, sono tutti coloro che sanno di chi è la colpa: i genitori che danno macchine troppo potenti ai figli, quelli che non li educano ad essere prudenti, il mostro è Pietro che aveva bevuto, a cui avevano sospeso la patente due mesi prima per possesso di erba (quella che tanti, molti dei quali ora la imputano a suo carico, vorrebbero liberalizzare), Pietro che è figlio di un regista famoso, Pietro che è passato con il verde.

Ma i veri mostri sono tutti coloro che ignorano l’umana pietà e sentono il bisogno di trovare un carnefice, che le vittime sono fin troppo evidenti.

Non so se saranno accertate delle responsabilità oggettive, non so se l’inchiesta potrà stabilire che quel dannato incidente poteva essere evitato. Si dirà, certamente si dirà che se Pietro non avesse bevuto … siamo sicuri? Siamo sicuri che ciascuno di noi, sobrio, al volante su corso Francia di notte, sotto un acquazzone, con l’asfalto viscido, con una macchina ferma che ottunde la vista, non avrebbe investito Gaia e Camilla?

Io sono grata al destino di non avermi messo alla prova, anche se sono più vecchia, parecchio più vecchia di Pietro, forse un po’ più cauta, senz’altro con maggiore esperienza di guida. Io, e voi tutti che non eravate lì a guidare a quell’ora in quel maledetto incrocio semibuio regolato da un semaforo, siamo stati graziati dalla sorte. Purtroppo per Gaia, Camilla e Pietro non è andata così, perché in questa storia il vero mostro è il destino!

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