Lutto a Firenze

Addio a uno degli ultimi grandi gentiluomini fiorentini: la scomparsa del conte Neri Capponi

Cattolico coerente e battagliero, uomo di grande cultura e degno rappresentante di una delle più celebri e nobili famiglie fiorentine, associava il coraggio del non conformismo allo stile di vita nobiliare.

di Domenico Del Nero

Addio a uno degli ultimi grandi gentiluomini fiorentini: la scomparsa del conte Neri Capponi

Una foto del conte Neri Capponi negli anni Cinquanta. Per gentile concessione del figlio Niccolò.

Balthesar Castiglione, se fosse vissuto ai nostri giorni, lo avrebbe preso come modello di perfetto gentiluomo. Ci sono persone il cui incontro può segnare una vita, maestri che pur lontano dai clamori mediatici e dai salotti alla moda riescono a formare nel senso più nobile della parola. E a proposito di nobiltà; esiste ancora oggi una aristocrazia di sangue degna di tale nome?

Chi avesse conosciuto il conte Neri Capponi avrebbe detto sicuramente di sì.  Purtroppo questo illustre personaggio fiorentino è mancato nei giorni scorsi all’affetto della sua famiglia e dei suoi numerosi amici ed estimatori: forte e fermo nella fede cattolica nell’ora suprema così come lo era stato in ogni minuto della sua lunga vita (era nato nel settembre del 1925).

Come per Dante, si potrebbe dire di lui che Firenze è stata la sua vita ed alla sua città ha dato veramente tanto. E come Dante avrebbe potuto dire “fiorentino di nascita ma non di costumi”, se ci si riferisce agli attuali abitanti del capoluogo toscano.  Ma la fiorentinità del conte Neri non va intesa nel senso angusto e campanilistico del termine: era la ferma consapevolezza di una tradizione che aveva dato frutti meravigliosi nella storia della nostra civiltà, ed ancora potrebbe darne se ci fossero ancora tanti personaggi della sua tempra; ma quel conio, purtroppo, sembra diventare sempre più raro. Del resto, come ricorda il figlio Niccolò, Neri sosteneva di avere “una moglie e due amanti”, dove la moglie era Firenze e le amanti Roma e Londra. Il conte era tra l’altro di madre scozzese (si definiva con autoironia un anglobecero)  e in lui la componente toscana e quella britannica si equilibravano perfettamente: in particolare aveva assorbito perfettamente il black humour britannico e aveva sempre il dono della battuta giusta al momento giusto: “dava sempre al diavolo il dovuto” ricorda ancora il figlio che rievoca alcuni gustosi aneddoti : una battuta in una conferenza americana negli anni ’80 a proposito di un pontefice medievale salito al trono in giovane età che faceva insidiare le devote pellegrine nella capitale “ una signora che andasse a Roma in quel periodo doveva stare attenta a non finire nelle mani poco sante del poco santo padre” o  il sospiro di sollievo che tirarono all’ordine di Malta (ordine di cui il conte stesso faceva parte) quando smise di frequentarne la mensa in quanto, pur apprezzando e non poco la buona tavola, diceva che per essere un ordine religioso si mangiava un po’ troppo bene.

Neri Capponi era stato anche uno dei pochi allievi di quello straordinario personaggio che fu Attilio Mordini (1923 – 1966) definito l’ultimo dei grandi tomisti: un pensatore anticonformista di grandissimo spessore, che proprio mentre la Chiesa iniziava a preparare la sua resa al mondo voleva ribadire invece la natura “guerriera” del Cristianesimo e soprattutto la forza sempre risorgente della sua più autentica Tradizione.  Il Battistero di Firenze, nelle parole di Mordini, assumeva un significato simbolico particolare ed il conte era uno dei “guardiani” di una delle sue porte.  Fu anche discepolo ed amico del cardinale Pietro Palazzini, una delle più belle figure di porporati del Novecento, strenuo difensore della tradizione cattolica.

E non c’è dubbio che Neri Capponi sia sempre stato in primissima linea in tanti grandi battaglie cattoliche sin dagli anni 70, immediatamente successivi al quel Concilio Vaticano II di cui egli previde da subito le derive più catastrofiche “ Il problema non è tanto il concilio in sé e per sé “ ripeteva più volte, anche a chi scrive; sono soprattutto certe sue interpretazioni che vanno ben oltre quella che sarebbe la lettera dei documenti conciliari.”

E così, una delle sue prime battaglie fu quella per la salvaguardia della liturgia tridentina; fu uno dei fondatori dell’organizzazione internazionale Una voce, Associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana, di cui fu dal 1979 al 1988 presidente nazionale e per un certo periodo vicepresidente internazionale; e proprio Una voce, in un suo messaggio di cordoglio, lo ha definito “Colui che fu uno dei maggiori difensori della liturgia romana tradizionale nel secolo XX”

Figura dunque di spicco nel mondo cattolico e culturale fiorentino, fu un finissimo intenditore di diritto canonico; amico del celebre giurista Paolo Grossi che lo stimava profondamente,  divenne assistente presso l’ateneo fiorentino del prof. Giovanni Bellini di cui temperava l’eccessiva indulgenza in quanto – testuali parole – darebbe trenta anche ai gatti.  Avvocato rotale, fu uno dei pochi laici ad essere nominato giudice in un tribunale della Chiesa, il Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco, dove era rinomato non solo per la sua competenza ma anche per la sua assoluta equità ed imparzialità. 

Le sue battaglie non si limitarono a quelle pur importantissime per la salvaguardia della liturgia. Memorabili i suoi scontri con Giorgio La Pira, che accusava di modernismo e di strumentalizzare l’insegnamento della Chiesa a fini politici; e anche con colui che divenne un vero e proprio guru del cattocomunismo imperante negli anni 80 e 90 del XX secolo (e oggi decisamente risorgente nella chiesa bergogliana), padre Ernesto Balducci, che denunciò per le sue prese di posizione a favore dell’obiezione di coscienza.  Ma la sua polemica non prescindeva mai dal rispetto per la persona. Fu sempre in prima linea in tutte le grandi battaglie a favore della famiglia e della vita: contro il divorzio  - da ricordare un convegno organizzato nel 1974 a Firenze - contro l’aborto e il dilagare della pornografia. Sempre con fermezza, decisione ma grandissima umanità, consapevole tanto del valore eterno dei principi che difendeva quanto della fragilità della persona umana. La sua fedeltà alla storia e alla tradizione toscana si concretizzò poi nella vicinanza e nell'amicizia con la casa granducale di Asburgo - Lorena: l'attuale granduca Sigismondo lo ha ricordato con sincere e affettuose parole di stima e cordoglio.

In una intervista Neri ebbe a dichiarare: “C’è un elemento che associo allo stile di vita nobiliare: il coraggio del non conformismo”. Non c’è dubbio che questo coraggio il conte Neri Capponi lo abbia avuto fino in fondo, pagandone anche il prezzo. Chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo e di averlo tra i suoi maestri, non può che salutarlo con questi versi di Dante: “ n la mente m’è fitta, e or m’accora, la cara e buona imagine paterna di voi quando nel mondo ad ora ora  m’insegnavate come l’uom s’etterna.”

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