Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La trasposizione nelle zone terremotate dell’Italia centrale non ha per niente cancellato l’anima russa. Il fatalismo, il senso di angoscia per il tempo che passa, il senso di vuoto e dell’inutilità di una vita che è trascorsa senza che ci se ne accorga: tutto questo emerge perfettamente nel bello spettacolo in scena in questi giorni in prima nazionale al teatro della Pergola di Firenze, Uno zio Vanja di Anton Čechov, coprodotto da Khora.teatro e dal Teatro della Toscana. La regia di Vinicio Marchioni (che interpreta anche il personaggio principale, Ivan Petrovič Vojnickij detto Vanja, ha trasportato l’azione nelle zone terremotate dell’Italia centrale, senza però stravolgere, anzi toccare minimamente quello che è non solo il testo, ma persino le pause dell’originale di Checov; così almeno aveva assicurato il regista. [1]
E infatti è proprio così. Certo, l’adattamento di Letizia Russo avrà dovuto in qualche punto tenere conto della nuova ambientazione, ma non siamo per nulla difronte a riletture stravaganti o stravolgimenti come quelli della Carmen al Maggio Musicale; prassi da cui del resto Marchioni, pur senza riferimenti polemici perlomeno espliciti, aveva nettamente preso le distanze. La scena stessa, (di Marta Grisolini Malatesta) in un teatro danneggiato dal sisma con una parete diroccata, può ben ricordare il giardino della tenuta di campagna dell’originale: dallo squarcio infatti si vede un albero e tutto richiama l’ambiente di una cittadina rurale.
“Zio Vanja è stato da subito il lavoro più chiaro ai
miei occhi: questi debiti di cui si racconta nell’intreccio drammaturgico,
questa proprietà che non produce più e il grano che non cresce, e soprattutto
il piano simbolico che sta dietro all’immagine del grano, tutto ciò mi ha fatto
pensare alla nostra condizione in Italia oggi. È la situazione culturale degli
ultimi anni che mi pare in una situazione di stallo, e non dal punto di vista
solamente economico, ma proprio a partire dalla creatività e dallo studio che
ci deve essere dietro ad un progetto perché qualcosa riesca a crescere. Zio
Vanja è un personaggio che ha 47 anni, ma si sente ormai già vecchio: ha dovuto
accettare un’eredità che non ha chiesto pagando egli stesso dei debiti con la
sua parte di eredità, vive in una costante percezione del fallimento, che io
vedo molto simile alla mia condizione di attore e di cittadino attuale. Anche
noi italiani abbiamo ereditato un debito dal passato, ed è un lascito culturale
e sociale che dobbiamo necessariamente rivedere per arrivare a ricostruire il
futuro. Ecco perché la mia prima idea di adattamento per Uno Zio Vanja è
partita da questo concetto ed ho pensato così di spostare il luogo dell’azione”
aveva dichiarato il regista e le allusioni alla contemporaneità italiana, se
possono in qualche momento creare un effetto di dissonanza, si integrano bene
in quello che è il messaggio del testo
originale", aveva dichiarato il regista.
Merito anche di uno spettacolo fatto veramente bene, curato al millimetro, con una compagnia di grande bravura e perfetto affiatamento. La scenografia rende perfettamente un ambiente non solo danneggiato dal sisma, ma anche “vecchio”, con i segni del tempo di passa come un vecchio manifesto e le casse di arredi e attrezzi di scena, con un che di “polveroso” come i personaggi: adeguati e intonati all’ambiente i costumi di Milena Mancini e Concetta Iannelli, così come il delicato commento sonoro di Pino Marino e le luci di Marco Palmieri.
“Volevo solo dire alla gente – affermò Čechov – in tutta onestà: guardate, guardate come vivete male, in che maniera noiosa”. La noia, anzi un vero e proprio tedio è quello che esprimono qui i protagonisti del dramma; a partire da Vinicio Marchioni, uno zio Vanja ora malinconico e fatalista, ora passionale e irruente come quando dichiara il suo ormai inutile amore ad Elena o cerca di uccidere il professor Serebrijakov, visto come causa del proprio fallimento esistenziale, interpretato da Lorenzo Gioielli come un vecchio malinconico per cui il successo e la fama sono solo un ricordo lontano.
Molto centrato anche il dottor Astrov di Francesco Montanari; un idealista che sembra aver perso tutti i treni possibili, animato da una sorta di rancore verso se stesso e il mondo che cerca nell’alcool un rifugio per il proprio fallimento. Montanari passa da un a agitata veemenza ad una calma rassegnata senza mai eccedere, ma sempre rendendo il personaggio in tutte le sue sfumature caratteriali. “Folcloristico” e simpatico il Telegin di Andrea Caimmi.
Perfettamente riusciti anche i ruoli femminili: la Elena di Milena Mancini, donna fatale suo malgrado, che suscita la passione di Zio Vanja e quella – ricambiata – del medico, al quale però resiste per una sorta di fatalistico senso del dovere; la vivace e idealista Sonia di Nina Torresi, che ha vissuto il suo ruolo con un slancio ed un entusiasmo davvero notevoli, la simpatica Marijadi Nina Raia.
Un spettacolo insomma decisamente da vedere, che parla della noia senza minimamente annoiare ma che anzi convince ad affascina, e che il pubblico ha giustamente premiato con calorosi e convinti applausi.
Prossime repliche: fino al 4 febbraio (lunedì 29 riposo). Orari: feriali ore 20,45, domenica ore 15,45.
[1] Per la presentazione dello spettacolo cfr http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=8944&categoria=1&sezione=8&rubrica=8
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