FIRENZE: Teatro della Toscana

CARLO CECCHI: Un Enrico IV fuori di chiave, ma molto pirandelliano

Alla Pergola uno spettacolo che sembra in apparenza voler abbassare il livello del capolavoro di Pirandello, ma in realtà ne propone una lettura molto intrigante, che forse non risparmia nemmeno il pubblico.

di Domenico Del Nero

CARLO CECCHI: Un Enrico IV fuori di chiave, ma molto pirandelliano

Uno spettacolo forse infedele, ma in modo molto pirandelliano. Se da un lato il grande drammaturgo era quasi ossessionato dall’idea della “infedeltà” con cui registi e attori mandavano in scena i testi degli autori, al punto da creare una sua compagnia per ridurre al minimo questo rischio, c’è da dire che forse non avrebbe del tutto sgradito l’interpretazione di Carlo Cecchi  andata in scena ieri sera al teatro fiorentino della Pergola (Teatro della Toscana) dove resterà sino a  domenica 17. Un discreto successo , con un pubblico che ha applaudito calorosamente anche non con l’entusiasmo dei grandi trionfi: spettacolo approvato, forse con qualche piccola riserva.

E in effetti, malgrado la presenza di un attore di razza come Cecchi, che oltre a rivestire i panni del protagonista ha anche curato la regia e adattato il testo, qualche perplessità rimane; non tanto sullo spettacolo in sé e per sé, che scorre bene, tecnicamente bene impostato, con una scenografia essenziale ma non “fuori di chiave” (per dirla proprio con Pirandello!); costumi tutto sommato gradevolmente “classici” anche se con qualche tocco grottesco di Nanà Cecchi  e un buon gioco di luci, o meglio di ombre, di Camilla Piccioni. Inoltre gli interventi sul testo non arrivano  certo a stravolgerlo,  poche le parolacce prontamente “corrette” dagli interventi di Ordulfo, uno dei finti consiglieri. Forse è semplicemente il fatto che Enrico IV è uno di quei testi  già di suo talmente “moderni” che non si sente francamente il bisogno di una ulteriore attualizzazione.

Eppure non si può certo negare che l’operazione di Cecchi abbia non solo una sua logica, ma accentui quegli elementi  “metateatrali” che sicuramente sono presenti anche in questo capolavoro pirandelliano. Del resto “Nulla è sparito, dichiara Cecchi, ma i lunghi monologhi sono ridotti  in maniera estrema (…)Quando ci si allontana troppo dal testo uno dei quattro servitori ha il compito di rettificare (…) no maestà, dice, e ricorda l’originale pirandelliano”. Compito che Dario Iubatti svolge con molto aplomb, anche quando al protagonista sfugge un cazzo che nell’originale proprio non c’era.

Ma l’elemento più innovativo …e più pirandelliano, è quando Cecchi fa della recita del “grande mascherato” non la conseguenza di una commozione cerebrale,  ma una decisione dettata da una sorta di “vocazione teatrale”.  Dichiara infatti il regista: “Non per nulla, il teatro, il teatro nel teatro e il teatro del teatro sono il vero fulcro di questo spettacolo.”  Un elemento questo che sarebbe sicuramente piaciuto a Pirandello è che si trova già nel testo, anche se Cecchi ne fa per così dire il movente assoluto di tutta la messinscena. Ma del resto, il protagonista si comporta in modo così ambiguo che chi può escludere che anche nella stesura originale Pirandello non voglia sottintendere una cosa del genere?

Può certo dare fastidio una sorta di “abbassamento” del testo, non solo e non tanto per le  parolacce, ma anche per alcuni passaggi recitati forse in modo un po’ troppo “farsesco”. Ma a parte il fatto che per Pirandello tragedia e farsa sono due facce della stessa medaglia, si potrebbe persino cogliere, nell’interpretazione di Cecchi, una allusione alla incapacità del pubblico contemporaneo di comprendere in pieno un dramma: ci si limita alla farsa, senza scorgere o comprendere, per l’appunto, il suo “cono d’ombra”. Questo potrebbe spiegare anche il modo particolare di recitare dell’attore, ora quasi svagato, ora invece sin troppo “marcato”, come se facesse il verso ai grandi interpreti del passato; inaltri momenti invece, come nel celebre discorso sulla pazzia, rimane una carica drammatica con forti venature di sarcasmo. Una interpretazione davvero singolare e di grandissimo spessore, da maestro, che non è stata forse apprezzata come meritava.

Buona la recitazione anche del resto del cast: i personaggi di Tito  Belcredi ( Roberto Trifirò), del dottore (Gigio Morra), della Marchesa Spina (Angelica Ippolito) e di sua figlia (Chiara Mancuso) obbedivano perfettamente alla logica delle “maschere” pirandelliane,  dando vita a personaggi “normali” eppure straniati, perfetti emblemi di vizi e ipocrisie sociali. Efficaci e divertenti anche i finti consiglieri (Federico Brugnone, Matteo Lai, Dario Iubatti, Davide Giordano. )

Decisamente da vedere e da meditare. Prossime recite da oggi a domenica (feriali ore 20,45, domenica 15,45).

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