Editoriale

Verso le elezioni. Questa volta il centrodestra capirà che ha bisogno della cultura?

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

ia delle vittorie inutili è lastricata di presunzione inoperosa”: questa la chiosa dell’editoriale di Alessandro Giuli, sull’ultimo numero di “Tempi” (“Segnali di vita ed errori da non ripetere – Come acculturare il centrodestra che verrà”). Quello di Giuli più che un editoriale è – nella sostanza – un vero e proprio “manifesto metodologico”, dedicato ad un centrodestra in forte crescita, grazie anche ai demeriti degli avversari, “scivolati a precipizio”, a cui giustamente si richiede di non ripetere gli errori del passato, a cominciare dal rapporto con il mondo della cultura, retrovia indispensabile per qualsiasi progetto politico.

Nessuna ripetitiva elencazione di buoni principi a cui fare riferimento (quanti ne abbiamo letti nel passato?), ma una vera e propria “tabella di marcia”, molto concreta ed operativa.

Il direttore di “Tempi” pone l’accento sui sei punti essenziali, corrispondenti ad altri errori da non ripetere: presumere di poter fare a meno di una cultura alta e condivisa; presumere di poter fare a meno di adeguati investimenti economici in campo culturale; presumere che basti circondarsi di qualche accademico per risolvere la questione; presumere che il mondo della comunicazione e dell’intrattenimento (dalla televisione al cinema) non debba essere utilizzato quale campo d’azione per le “migliori riserve intellettuali”; “presumere che gli intellettuali di riferimento qui vagheggiati esistano e si stiano ponendo i nostri stessi interrogativi”; smetterla di presumere e mettersi al lavoro per fissare una strategia culturale comune.

Come ha ribadito lo stesso Giuli in un’efficace nota pubblicata sulla pagina “Off” de “il Giornale”: “Nel mio sogno, pochi ma pesanti e volenterosi soggetti culturali d’area si predispongono ad affiancare coralmente un ceto politico altrimenti indifferente o impigrito, conquistando spazi d’espressione qualificati, promuovendo idee e forme editoriali, artistiche, televisive e cinematografiche”.

Quella del direttore di “Tempi” è una provocazione che va raccolta. A cominciare dal mondo culturale. Non è infatti esclusiva responsabilità degli apparati politici di centrodestra se azione politica e cultura hanno faticato, nel passato, ad essere declinati insieme. Spesso gli intellettuali d’area hanno preferito innalzare, tra di loro, i muri dell’incomunicabilità piuttosto che creare occasioni d’incontro; hanno preferito coltivare l’autoreferenzialità piuttosto che misurarsi sulla fattibilità delle proposte; hanno preferito l’estraniamento al confronto. Poi certamente i “politici” ci hanno messo del loro, non comprendendo che qualsiasi progetto di governo, per durare e per consolidare il consenso, ha bisogno di una strategia di lunga durata più che qualche spot elettorale.

I risultati sul versante del centrodestra li abbiamo visti. Ora si tratta di voltare pagina.

Le energie intellettuali non mancano. Bisogna cominciare a collegarle tra loro, superando la logica perdente della conventicola, che ha sempre caratterizzato l’area vasta e composita del centrodestra. Gli avversari culturali e politici sono altrove, certamente non sul versante del centrodestra. Un modello di egemonia culturale (da destra) è possibile. Incontrarsi per pianificare una strategia in tal senso non solo è auspicabile, ma doveroso.

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