Il concetto di flessibilità del lavoro

Sarà la soluzione giusta il precariato?

La nuova organizzazione capitalista si caratterizza sempre più verso la «sregolamentazione»...

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Sarà la soluzione giusta il precariato?

È possibile risolvere il problema della disoccupazione attraverso l'introduzione di queste forme di lavoro chiamate flessibili o precarie, ma nella fattispecie anomale? È possibile risolvere i problemi di sussistenza e di qualità di vita di tutti quelli che vivono in povertà per mancanza di salario attraverso lavori temporanei, precari, atipici in generale o con molto poche o quasi inesistenti garanzie salariali o regolamentari?

Il concetto di flessibilità del lavoro, l'idea della necessità di abbandonare il modello del "lavoro con contratto indeterminato", sono elementi che appartengono già da diversi anni alla nostra attuale forma di pensare e molti economisti e studiosi tentano di dichiarare che solo attraverso un rapido scambio di piazze e posti di lavoro sarà possibile adattarsi alle nuove regole imposte per la globalizzazione e per il nuovo paradigma socio economico produttivo.

Risolvere allora un problema sociale tanto grande implica difficoltà complesse per le quali non è sufficiente la sola dimensione sociale.

Si tenta anche di capire ed analizzare profondamente le caratteristiche del lavoro precario nel nostro paese, le tendenze che agiscono nello stesso e che determinano le sue prospettive;  si studia il problema di come affrontare concretamente questa nuova condizione occupazionale;  cioè, bisogna capire come organizzare il lavoro precario, anche nelle sue forme falsamente indipendenti, per contrastare una società che distrugge ogni diritto ad incominciare da quelli dei lavoratori di ogni livello e classe sociale.

La comunicazione, il linguaggio sono già parte della sfera di produzione. L'entrata della divulgazione nei processi di produzione è dovuto al fatto che l'impresa deve aumentare il profitto senza aumentare la quantità.

I guadagni di produttività non si realizzano più attraverso le economie su scala, bensì attraverso la produzione di piccole quantità -di molti modelli- di prodotto con la possibilità di raggiungere una risposta rapida alle continue variazioni e sollecitazioni del mercato.

La direzione dei processi di globalizzazione delle reti informatiche comunicative deciderà la nuova divisione internazionale del potere e della ricchezza.

L'informazione permette di assicurare meglio una tempestiva trasmissione di connessioni:  è il fondamento delle nuove tecnologie produttive.

L'economia postfordistaha come fondamenti della produzione la connessione, l'integrazione e la simultaneità, contro la separazione, la segmentazione e le fasi sequenziali. In questa forma, nel modello postfordista, la produzione non incomincia né finisce nell'impresa, bensì incomincia e finisce fuori della stessa.

Flessibilità e malessere del lavoro.

La nuova organizzazione capitalista si caratterizza sempre più verso la precarietà, la flessibilità, la sregolamentazione, sotto forme senza precedenti per i salariati in attività.

È il malessere del lavoro, la paura di perdere il proprio posto, di non ritornare più ad una vita sociale soddisfacente, o almeno vivibile, e di impegnare solamente la stessa nel lavoro e per il lavoro, con l'angoscia vincolata alla coscienza di un'evoluzione tecnologica che non risolve le necessità sociali.

La flessibilità è considerata come una delle alternative per combattere la disoccupazione.

Che cosa si intende per flessibilità?

Quante volte sentiamo, giornalmente, persone di qualsiasi livello sociale imbrattarsi le labbra con questo termine il più delle volte oscuro anche a loro.

Le definizioni sono molte. Bisogna distinguere tra flessibilità salariale, flessibilità di orario e flessibilità numerica, o esterna; esiste anche la flessibilità funzionale, od organizzativa.

Flessibilità è per esempio:

-       Libertà per l'impresa di licenziare una parte dei dipendenti, senza penalità, quando la produzione e le vendite diminuiscano.

-       Libertà per l'impresa, quando la produzione lo necessiti, di ridurre l'orario di lavoro o di ricorrere a più ore lavorative, ripetutamente e con poco tempo di preavviso.

-       Facoltà dell'impresa di pagare salari reali più bassi a parità di lavoro, sia per risolvere possibili perdite di commesse che per partecipare alla competizione commerciale internazionale.

-       Opportunità per l'impresa di suddividere il lavoro nel giorno e nella settimana a sua convenienza, cambiando gli orari e le caratteristiche (turni, scaglionamenti, orari parziali e flessibili, etc…)

-       Libertà per un'impresa di appoggiare parte della sua attività ad imprese esterne.

-       Possibilità per un'azienda di utilizzare lavoratori “da affittare”, dipendenti con contratto a tempo ridotto, tecnici con contratti di lavoro a tempo determinato, tirocinanti, apprendisti, subordinati ed altre figure emergenti del lavoro "atipico", organizzando il personale assunto con contratto ad orario completo e a tempo indeterminato.

La flessibilità, se ne evince, non è una soluzione per aumentare l'occupazione, bensì  un'imposizione richiesta dalla forza-lavoro affinché si accettino salari più bassi e peggiori condizioni di lavoro.

È in questo contesto che si è andato rinforzando, man mano, un nuovo segmento di offerta di lavoro attraverso la chiamata del mercato illegale entro il quale si diffonde a macchia d’olio il lavoro illegittimo, provvisorio e senza le normali garanzie a livello assicurativo e sanitario.

Col postfordismoe la mondializzazione economico-produttiva, il lavoro illegale ha assunto dimensioni molto più grandi, anche perché i paesi industrializzati hanno spostato le loro sedi produttive oltre i confini nazionali e soprattutto hanno investito in paesi dove le garanzie sono minime e più alta la specializzazione del lavoro, producendo così costi fondamentalmente meno elevati ed aumentando la competitività.

Continua la tendenza, dell’ organismo produttivo italiano, a puntellarsi al settore terziario, dovuta non solo a un'evidente diminuzione di importanza dell'agricoltura, ma anche per evidenti processi di non industrializzazione.

La trasformazione della geografia dello sviluppo, in Italia, avvenuta negli ultimi vent’anni, è dovuta non solo per un intenso processo che promuove il settore terziario, ma anche per una diversa connotazione sia quantitativa che –soprattutto- qualitativa delle attività produttive di un'impresa sociale generalizzata che determina forti processi di ridefinizione, specializzazione e diversificazione attraverso la flessibilità imprenditoriale, attuando così un'imposizione ad un adattamento attivo dei nuovi soggetti del lavoro, e del non lavoro, alle sue caratteristiche e cultura organizzativa.

Da questa mia analisi emerge che ancora ci troviamo in una fase di transizione che presenta, tuttavia, connotazioni ben chiare dentro la competizione globale. Si crea un aumento della produzione dei servizi a svantaggio dei beni materiali, ma tutto questo succede principalmente con certi processi di esteriorizzazione di servizi e di fasi del processo produttivo a basso costo annesso, basati in un super sfruttamento del lavoro. Un lavoro spesso concepito grazie all’inclinazione dei processi internazionali di dislocazione alla ricerca di forme occupazionali a scarso contenuto di diritti e con salari molto bassi;  a tutto questo si accompagna una forte presenza di lavori intellettuali e tecnici professionali precari, come quelli manuali e ripetitivi.

Tuttavia, le tendenze attuali, con l'aumento del numero dei dipendenti salariati impegnati fuori dalla produzione materiale, l’aumento del numero degli impiegati, dei precari, dei flessibili, di quelli a tempo, degli atipici in generale, l’incremento del tasso del lavoro intellettuale, nella composizione dell’operaio collettivo, sono ben lontane dal testimoniare la deproletarizzazione della classe operaia, o della classe dei lavoratori in generale.

Nonostante ci siano stati vari cambiamenti nei metodi di produzione, la crescita del lavoro autonomo, il precariato, la mal retribuzione, e una sempre più ampia diffusione dell'azienda nel territorio, il lavoro ha continuato ad essere al centro del sistema produttivo e quindi deve essere ancora affrontato attraverso la figura del lavoratore, indispensabile ben oltre i meriti della tecnologia. 

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    3 commenti per questo articolo

  • Inserito da Domizioagaturu il 29/03/2012 14:52:15

    A cosa serve allora questo art. 18, a niente o a pochissimo. Me lo spiega per favore?

  • Inserito da v.pettinella il 29/03/2012 13:31:01

    a soluzione giusta è mandali tutti a casa in quarantena ...,e citati per risacimento danni..!!!!!!!!! il Garofano forestiero Rosso ...Viva la Rivoluzione...!!!!!!!

  • Inserito da Loredana il 29/03/2012 12:57:53

    Un articolo molto profondo e ampio sulla flessibilità e sulla nuova dimensione del lavoro e del lavoratore come questo non l'avevo ancora letto. Io ho provato sulla pelle l'applicazione della flessibilità e del lavoro atipico, e ne sto curando le ferite. Temo che, come ho già avuto modo di dire, questi concetti nuovi debbano essere applicati mediante un cambio di mentalità deciso e aperto che in questo paese non c'è ancora. Ma siamo fiduciosi per il futuro...

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