La memoria giocosa

Roma dai tempi di Veltroni paga un mutuo per l'acquisto di una collezione mai esposta, per fortuna c'è un piccolo museo del giocattolo che...

Sarebbe stata la più importante al mondo ma giace ancora presso il precedente proprietario, si può però rimediare visitando il museo di un privato che ha fatto con i propri mezzi uno straordinario lavoro di recupero museale

di Riccardo Rosati

Roma dai tempi di Veltroni paga un mutuo per l'acquisto di una collezione mai esposta, per fortuna c'è un piccolo museo del giocattolo che...

Un sabato, andando oltre la ormai improponibile via del Pigneto, siamo tornati in un luogo poco conosciuto di Roma: Il Museo – La Memoria Giocosa, per fare una chiacchierata con il suo Direttore, Franco Palmieri, nel corso della quale abbiamo scoperto involontariamente un altro degli scandali romani che hanno contribuito a devastare il bilancio della Capitale con i risultati che tutti sappiamo, infatti gli abbiamo chiesto notizie a proposito della collezione di giocattoli – si dice la più importante al mondo, con 30 mila pezzi – facente parte della raccolta dello svedese P. Pluntky, poi acquistata dal Comune di Roma da Leonardo Servadio:

Nel 2005, l'ex-Sindaco Walter Veltroni –ci racconta Palmieri– la volle comprare per farne un museo a Villa Ada. Il prezzo pagato fu esorbitante: cinque milioni e quattrocentomila euro! Il progetto non andò in porto e con l'avvento di Alemanno questi giocattoli sparirono. Si è successivamente scoperto che il Comune sborsa da allora le rate del mutuo per l’acquisto della collezione, nonché le spese mensili per la custodia dei giochi, che dal magazzino del venditore non si sono mai mossi.

Ma la Collezione valeva veramente il prezzo pagato o è uno dei tanti scandali italiani?

Sembrerebbe. Una delle tante trovate di Veltroni, il quale ha avuto la fortuna di avere al suo fianco un uomo della competenza di Gianni Borgna, che è stato un amico del mio museo. Non posso però dire molto su questo fatto, se non che si tratta sì di una raccolta davvero imponente, con numerosi pezzi antichi; tuttavia, anche questa è incompleta, non coprendo tutte le epoche. È fondamentale chiarire che per garantire la funzione didattica dei musei dei giocattoli avere 1 o 1000 pezzi non fa la differenza: mettere assieme decine di oggetti tutti uguali è una mania. È sufficiente un giocattolo per raccontare quello che è utile spiegare

Un personaggio abbastanza atipico Palmieri, apparentemente un anarchico, e come tutti quelli veri, con alcune simpatie a Destra. Egli ci ha proposto una lettura del mondo attraverso i giocattoli; un qualcosa che non avevamo mai sentito prima. Dopo uno smarrimento iniziale, siamo entrati nella dimensione dei balocchi, accompagnati dalla interpretazione di una persona che si è anche rivelata preparata ben oltre l'argomento “giocattoli”. Palmieri è, infatti, pure un fine americanista, con alle spalle due borse di studio alla Columbia University, una delle università facenti parte della “Ivy League”: gli unici atenei che contino davvero in America.

La sua personale teoria museologica è totalmente strutturata. Non c'è da stupirsi di ciò. In due ore, il termine “studiare” è ricorso spesso. Prima di porgli qualche domanda, raccontiamo sinteticamente di questo prezioso, benché piccolo museo.

La Memoria Giocosa nasce nel 2000, seguendo una indicazione museale didattica che ha la sua origine nel Museum of the City of New York. Esso ha sede in un loft di circa 300 mq, nell'area dei villini del Pigneto, fiorita nell'epoca futurista e sviluppatasi poi nel Barocchetto Romano ad opera degli architetti del Ventennio. Il museo propone il giocattolo inteso come veicolo di comunicazione culturale e di conoscenza della realtà. È il primo museo in Italia ispirato alla filosofia dell'educatore tedesco Friedrich Fröbel (1782 – 1852), ideatore dei giardini d’infanzia. Lungo un itinerario museale composto di oltre duecento piani espositivi, i giocattoli e i giochi costituiscono una sorta di percorso parallelo alla evoluzione storica e sociale delle epoche che i medesimi riproducono.

Caro Palmieri quello da lei diretto è un museo non certo grande, però che ha una sua importanza, è così?

Lo può ben dire! Non tanto per la vastità della collezione, ma per completezza, La Memoria Giocosa racchiude una testimonianza assai rara. L'Italia è piena di importanti collezioni di bambole e di giocattoli, ma solo noi non abbiamo “buchi” storici o tematici in quello che esponiamo. Tanto per intenderci, il famoso Museo del Giocattolo di Zagarolo, ospitato nella bella sede di Palazzo Rospigliosi, l'ho inizialmente allestito io, e il primo nucleo della raccolta nasce con dei pezzi che gli vendetti a suo tempo, poiché quelli erano dei doppioni che avevamo. Comunque, il mio museo possiede dei pezzi unici. È il caso dei pupazzi di latta presi dai protagonisti dei comics americani; oltre che da noi, li si trovano solo nelle collezioni statunitensi.

Come è stato pensato il Museo?

Abbiamo voluto raccontare il periodo che va sotto il nome di “modernariato”. Dunque, la raccolta abbraccia un lasso temporale che va dal 1835, periodo di sviluppo del motore a vapore a opera di George Stephenson, fino al 1963, anno in cui il Premio Nobel Giulio Natta sintetizza il Moplen, con l'inizio della diffusione della plastica.

Il suo museo è chiaramente visitato dalle scolaresche, che ci può dire in merito?

Io farei una piccola accusa al sistema scolastico italiano, con docenti che vogliono soltanto gli oggetti esposti, privi di un racconto. Se vai ai Vaticani e non hai studiato prima, cosa impari? Tutti parlano di “didattica museale”, ma quasi nessuno ci capisce qualcosa. È fondamentale contestualizzare. Il Museo deve essere una “narrazione universale”, e quello dei giocattoli è il museo didattico per antonomasia, diverso da  quello che io chiamo: “museo espositivo”. Con il primo, apprendi al momento della visita. Nel caso del secondo, se non hai cultura, serve a poco.

Come sempre la scuola ha dei problemi?

Mi limito a ciò che mi riguarda, i musei. Ritengo che la scuola abbia “subito” il Museo, non dandogli suggerimenti utili, né lo ha mai motivato. Si portano gli studenti in giro come dei branchi. Non ci si sofferma a guardare, così da capire cosa si stia osservando. Un giocattolo racconta la vita autentica della sua epoca, non la imita, né scimmiotta, sia chiaro. Esso è una testimonianza di mode e culture. Parliamo di un mondo che racconta un mondo. Fondamentale è, inoltre, il discorso sui materiali con cui sono fatti i giocattoli. In sintesi, io questo spiego ai visitatori, grandi e piccoli, che ci vengono a trovare

Il giocattolo è un fatto nostalgico o una realtà educativa?

Ma che nostalgico, è educazione allo stato puro. La nostalgia riguarda i collezionisti – categoria di cui non faccio parte – che sono dei maniaci monotematici. Un museo del giocattolo è una sorta di iperuranio platonico, un mondo delle idee.

Allora, non è solo “roba per bambini”?

È per tutti. E non si confonda la produzione dei giocattoli, con ciò che essi testimoniano. Purtroppo, oggi i “modelli” si sono esauriti, tutto è stato rappresentato attraverso i giocattoli. Questa è la ragione per la quale l'esposizione qui si ferma al 1963. Alla plastica è stata destinata la serialità degli oggetti, di cose già fatte con altri materiali in precedenza.

Quindi, è stata una scelta “antimoderna” il non continuare a raccogliere pezzi appartenenti a periodi più vicini a noi?

Assolutamente no. Tematica, solo ed esclusivamente tematica. La mia è stata la predilezione per una determinata epoca, il modernariato, e non il rifiuto di un'altra

Quante cose si scoprono attraverso lo studio dei giocattoli. Qualche altra curiosità?

Ce ne sarebbero di infinite. Per quanto concerne l'Italia, abbiamo grandi collezioni sparse sul nostro territorio, ma non una importante storia “produttiva”. Il giocattolo, quasi nessuno lo sa, nasce in Germania. Successivamente, si è diffuso in Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Da noi, l'industria in questo campo è nata durante il fascismo, copiando quello che si faceva proprio in Germania.

A proposito di America? Che ci dice di Barbie, alla quale sono state dedicate varie mostre ultimamente? Icona negativa come pensano taluni?

Per nulla. La Barbie rappresenta la donna liberata, ha una sua vita, la macchina, una casa di proprietà, un lavoro. Chi ha un problema con questa bambola ha una visione del mondo femminile problematica.

Ci viene da pensare che gli insegnanti e i genitori possano rimanere  sorpresi e, di conseguenza, messi in difficoltà dalla sua lettura dei giocattoli, dove tutta la storia umana moderna è presente.

I docenti che accompagnano i ragazzi al Museo vengono “preparati”. Ovvero, si informano prima sulle mie idee e si comportano in modo collaborativo. In generale, le persone poco capiscono del senso di questo luogo. È il giocattolo il vero testimone del passato, altro che le foto! I musei sono in sostanza tutti uguali, la differenza sta nel progetto culturale che ne sta alla base. I giocattoli obbediscono alla realtà. Visitando questo museo non si fugge dal mondo; al contrario, lo si comprende un pochino meglio.

* Un sentito ringraziamento ad Annarita Mavelli per il suo prezioso aiuto nella supervisione di questo scritto.

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