Lo straniero: domani ore 16,45 ultima replica

Vivere l’esistenzialismo di Camus

Al teatro Niccolini di Firenze Fabrizio Gifuni interpreta Lo Straniero.

di Niccolò Andreotti

Vivere l’esistenzialismo di Camus

Un vero one-man-show quello di Fabrizio Gifuni al Teatro Niccolini a Firenze: un attore, un musicista/dj, uno spazio neutro e un’unica, forte, sorgente di luce.

 

Ottanta minuti intensi. Lo straniero di Camus, romanzo cardine dell’esistenzialismo pubblicato nel 1942, non viene semplicemente letto, ma interpretato, vissuto e trasmesso, quasi lanciato, con tutta la sua potenza agli spettatori. La voce di Gifuni è profonda e il suo tono distaccato; l’attore – reduce da numerosi successi in tv e al cinema (tra cui Romanzo di una strage di Giordana e Il capitale umano di Virzì) – esprime tutta l’incredibile apatia dell’assurdo eroe Meursault, protagonista del romanzo, acuto osservatore della vita eppure indifferente a tutto ciò che lo circonda. Indifferente all’amore, alla violenza, alla religione e perfino alla morte.

 

La veglia e il funerale della madre di Meursault, il suo omicidio di un arabo su una spiaggia, il processo, il carcere in attesa dell’esecuzione: sono queste le quattro grandi sequenze raccontate, intervallate dalla sonorità e dalle parole di brani ispirati a Lo straniero, come Killing an Arab dei Cure e The Stranger dei Tuxedomoon, mixati in scena dal vivo dall’ottimo musicista/dj G.U.P. Alcaro. Una potente luce fissa sottolinea l’atmosfera di totale sospensione dalla realtà.

 

"Si parla di un’intervista impossibile -spiega Gifuni - perché a me e al regista Roberta Lena è sembrato di assecondare il testo immaginando Meursault che torna per raccontare la sua storia davanti a una selva di microfoni e riflettori” . L’idea, che nasce su proposta del Circolo dei Lettori di Torino nel 2013 in occasione del centenario della nascita di Camus, è vincente. Perché? Lo spiega l’attore stesso: “Lo straniero ha due caratteristiche che lo rendono materia perfetta per un attore: il racconto è in soggettiva, uno sprofondamento progressivo nell’anima del protagonista, poi c’è la sua abbagliante dimensione fisica e sensoriale”.

 

I tratti raffinati, il timbro inconfondibile ma non solo. La voce di Gifuni è anche straordinariamente variabile, capace di rappresentare numerosi personaggi, ognuno caratterizzato alla perfezione: dal titolare dell’ospizio della madre al vicino di casa, dal pubblico ministero al prete. La potenza espressiva di Gifuni e la sua classe ricordano per molti versi quel Marcello Mastroianni che Luchino Visconti scelse come protagonista del film del 1967 tratto dall’opera di Albert Camus.

 

Camus non si considerò mai un esistenzialista eppure questo testo rappresenta a pieno tutta l’insofferenza per la vita, l’impossibilità di realizzarsi in una dimensione di autenticità e la consapevolezza della condizione di escluso, di straniero di se stesso. Ciascun uomo è solo, impossibilitato di stabilire un rapporto di adesione col mondo che lo circonda. Forse solo Franz Kafka proietta il lettore in una dimensione paragonabile a questa.

 

L spettacolo del Niccolini è forte, è vero e il successo è garantito: al termine Gifuni è stremato, affanna, ha dato tutto al suo pubblico, che lo ripaga con un lungo e scrosciante applauso.

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