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La storia di Anna abbandonata dalla madre, adottata da una famiglia di orchi e adesso al servizio dei bambini abbandonati

Si intitola Perché il libro di Anna Agostiniani che racconta una storia edificante che fa bene al cuore

di Giuseppe del Ninno

La storia di Anna abbandonata dalla madre, adottata da una famiglia di orchi e adesso al servizio dei bambini abbandonati

I nostri tempi hanno ancora bisogno di storie edificanti? Esistono ancora – e quanti sono? – i lettori che da un libro pretendono di più di una vuota eleganza formale? Dalla risposta a questi semplici interrogativi dipende la fortuna di libri come quello che Anna Agostiniani, scrittrice non professionista, ha sentito il dovere di scrivere, per rendere testimonianza di una storia – la sua storia – che merita di uscire dal ristretto ambito del passaparola e delle amicizie.

Anna appartiene a quella categoria di persone che ebbero una nascita sfortunata, un’infanzia e un’adolescenza travagliate. Abbandonata dalla madre al momento di vedere la luce in ospedale, deve il suo stesso nome e cognome ai medici del nosocomio di Ancona, che la fecero battezzare e la consegnarono ad un brefotrofio.

Cominciava così una parabola esistenziale che è anche uno spaccato della società nella quale abbiamo vissuto, dal secondo dopoguerra in poi; una società inizialmente frugale e operosa, decisa a risollevarsi dopo le tragedie e le miserie belliche; una società generosa e volitiva, ma anche, a volte, cinica e spietata, desiderosa di crescenti affermazioni materiali.

In questa cornice, Anna conosce le privazioni del suo stato – figlia di NN, scrive, con una schiettezza brutale e inusitata – ma a queste aggiunge le prove di una sorte davvero matrigna: con uno stile spontaneo ed essenziale, superando il comprensibile pudore, Anna racconta la sua terribile esperienza di bambina data in adozione, in maniera sconsiderata, ad una coppia di orchi: lui assente ed insensibile, lei corrotta e crudele, sono in diverso modo responsabili del calvario della piccola, avviata ad abietti rapporti carnali con adulti altrettanto abietti.

Queste storie si assomigliano tutte, in ogni tempo: la fragilità della vittima; lo schifo e la paura delle minacce; il disagio manifestato a scuola; il desiderio di rimuovere prima, di fuggire poi, appena possibile; l’incontro con una maestra che la comprende affettuosamente; lo scandalo soffocato; il rancore degli immondi genitori adottivi; i primi lavoretti, che si traducono in evasioni dalla galera familiare; l’affettuosa complicità con un fratello, adottivo anche lui e che la precederà nella fuga dalla casa degli orchi.

La vita di Anna, insomma, è un romanzo, e mai come in questo caso il luogo comune ha una sua ragion d’essere: raggiunta la maggiore età, abbandona la casa-prigione, per affrontare la vita e mettersi alla prova, da sola. Il mercimonio del suo corpo non l’ha minimamente corrotta: la sua energia, la sua vitalità, la sua intelligenza le forniscono tutte le risorse per affermarsi e coinvolgono il lettore, che ne segue partecipe le evoluzioni.

Siamo in una fase della nostra storia in cui la gente ha la forza e la capacità di migliorarsi, di sacrificarsi, di valorizzare persone ed ambienti. Su questa linea di progresso, Anna passa da un lavoro all’altro, da un incontro all’altro, finalmente imbattendosi in uomini e donne in grado di apprezzarne le doti. Anche sul piano delle acquisizioni materiali, il cammino di Anna ricalca quello del paese: si guadagna da vivere cambiando lavoro a seconda delle opportunità che le capitano, si sacrifica fino all’inverosimile, risparmia per il suo primo appartamentino da affittare, e poi gli elettrodomestici, l’utilitaria e infine la casa, insomma la trafila di tante famiglie italiane di quegli anni.

Tutto questo, senza mai rinunciare all’idea di ritrovare la madre naturale e di chiederle “Perché?”.  Ma di domande Anna se ne fa tante: “Perché mi hai abbandonato, mamma? Perché tanti abusi su di me? Perché Dio non mi ha protetta? Perché noi figli abbandonati siamo invisibili al mondo? Perché neanche le Istituzioni mi hanno protetta?”.

Eppure, la solitudine di Anna era destinata a finire: dapprima la maestra che intuì il suo dramma – e che rimase una presenza benefica nella sua vita, anche da adulta – poi svariate amiche e, soprattutto, un marito che seppe amarla con pazienza e dedizione, aspettando che lentamente svanissero le sue comprensibili riluttanze, date le precedenti, negative esperienze con gli uomini. Un marito che l’affiancò anche nelle prime prove della sua esperienza di volontaria al servizio dei meno fortunati e che, molto più anziano di lei, la lasciò dopo una malattia inesorabile, in preda a un dolore difficile da rimarginare.

Ma ormai Anna non era più sola: animata da quella energia vitale che l’aveva salvata fin dalla terribile infanzia, nel corso delle ricerche della madre, mai accantonate, si era imbattuta in una famiglia che l’aveva accolta e che ancora le regala affetto e calore; non solo: con la sua nuova famiglia, Anna ha ritrovato la fede, compromessa dalle sciagurate esperienze fatte perfino con sacerdoti. Quella famiglia le ha fatto capire che i disegni divini sono imperscrutabili e che spesso dal male nasce il bene: così Anna, raggiunta un’agiatezza economica grazie alle sue capacità e alla sua forza d’animo, ha intrapreso un cammino che, dalla fede ritrovata, l’ha condotta sulla strada degli aiuti a chi ne ha più bisogno.

Ormai da anni, insieme ad altre persone amiche – prima fra tutti, una suora Redentorista – Anna organizza adozioni a distanza per i bambini di una sperduta contrada tra le foreste del Paraguay, dove per di più ha fatto sorgere un villaggio di case destinate ai nativi, fino ad allora ospitati in capanne di fortuna e in preda alla più disperata indigenza. Per loro e per il loro futuro raccoglie fondi, anche organizzando serate di beneficenza, e proprio a questa causa sono destinati i proventi della vendita del libro.

Questo è il lieto fine di una storia italiana, commovente e appassionante come possono essere soltanto quelle dove il dramma si intreccia con il sorriso, la caduta è interpretata come un’occasione per rialzarsi, ma soprattutto l’amore sano e pulito finisce col gratificare ogni sacrificio. Se troppo spesso ci siamo dovuti confrontare con la banalità del male, la parabola di Anna ci dimostra che il bene esiste e non è mai banale, e ne abbiamo tutti un gran bisogno.

Anna Agostiniani
Perché? 
Book Sprint Edizioni, pag. 292, Euro 17,90

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