Donne e violenza

Violentata sul treno in pieno giorno, la storia di una giovane donna che forse non ha avuto abbastanza paura

Ci hanno riempito la testa di pietà, di solidarietà nei confronti dei poveri immigrati, ci bombardano dicendoci che non si deve avere paura, che sono poveri disgraziati da accogliere con un sorriso e una carezza.

di Simonetta  Bartolini

Violentata sul treno in pieno giorno, la storia di una giovane donna che forse non ha avuto abbastanza paura

Un fotogramma del filmato che documenta la violenza

Stazione di Livorno, il caldo soffocante di questi giorni appena alleggerito dalla brezza del mare, lei è poco più che ventenne, ha un vestito a fiori sui toni dell’azzurro. Leggero, ampio, lungo fino a poco sopra il ginocchio (tanto per evitare ogni malizia che faccia gridare alla provocazione) per permettere al corpo di respirare. Deve andare a Pisa.

Arriva il treno regionale, le carrozze hanno i caratteristici sedili blu dei treni locali toscani, sembra un acquario nel quale lei è un grazioso pesciolino che si accomoda in un vagone solitario. Magari vuole leggere un libro indisturbata, o forse chiamare al cellulare un’amica e chiacchierare senza disturbare gli altri passeggeri, forse vuole solo ascoltare un po’ di musica, o semplicemente le piace la solitudine.

Le telecamere di sicurezza per fortuna sono accese e registrano tutto, altrimenti chissà cosa le sarebbe toccato, magari l’accusa di millantatrice, di razzista che vuole inguaiare il povero nero reo di niente, una mitomane con accenti di vittimismo.

Passano pochi secondi e nel vagone arriva lui, alto, nero, la caratterista sacca di plastica con la merce contraffatta da vendere qua e là. Si guarda intorno con una rapida occhiata, non c’è nessuno, tutti i sedili sono vuoti, si siede proprio di fronte a lei.

Attacca discorso, forse lei non gradisce, lui passa a qualche complimento(?) pesante, forse fa delle avances, forse la insulta, forse la considera una donna bianca troia per definizione, queste occidentali si mostrano in pubblico nelle nudità proibite dall’Islam, capelli, braccia, ginocchia. Non se ne vergognano, lo fanno con la sfacciataggine che dichiara la loro immoralità.

Questo forse pensa lui, l’immigrato di colore come dicono i seguaci del politicamente corretto.

La ragazza non gradisce le attenzioni, si alza e cambia posto, ma non fa in tempo neppure a sedersi o a guadagnare l’uscita dal vagone che lui la segue, sono in piedi entrambi, lei dice di lasciarla in pace, forse minaccia di chiamare aiuto, lui la spinge contro il finestrino, a questo punto forse è eccitato, la preda bianca si sottrae, la caccia è più seducente.

Nessuno intorno, lei grida, ma fra il rumore del treno e l’assenza di controllori (già perché non passano, non controllano, la maggioranza ha paura e i recenti fatti di Milano sconsigliano ogni sortita nei vagoni, i viaggiatori si arrangino) è uno spreco inutile di energie, cerca di difendersi, forse in quel momento, in quei momenti non crede che possa essere vero.

Non può capitare a lei, non così non di giorno non sul treno che la porta a casa. Nella sua mente si affollano pensieri e impressioni contradditori, da una parte la paura dall’altra la speranza che sia tutto un equivoco, che lui smetterà, che… La realtà violenta è difficile da accettare , si spera sempre che finisca così come è cominciata, senza motivo. Si fa fatica ad adattarsi all’idea di essere le vittime, la paura è forte ma l’educazione, la naturale mitezza, non la lasciano sfogare completamente. Non è vero che si liberano forze che non si credeva di avere, o quanto meno non è sempre vero.

Ci hanno riempito la testa di pietà, di solidarietà nei confronti dei poveri immigrati, ci bombardano dicendoci che non si deve avere paura, che sono poveri disgraziati da accogliere con un sorriso e una carezza.

E noi abbiamo abbassato le difese, anche se la prudenza ci dice che ci raccontano balle, la ragione si fa imbrigliare dalla seduzione del buonismo spalmato come la nutella sulla fetta di pane di un bambino goloso. Quella ragione piegata, stordita, rimbecillita dalle chiacchiere dei buonisti un tanto al chilo non permette alla furia dell’istinto di sopravvivenza e di autotutela di liberarsi  completamente, non ti fa fuggire subito a gambe levate. Lo abbiamo visto nel filmato. Lei non crede non vuole credere che lui possa diventare violento.

Lei è educata, perbene, forse ha creduto a tutte le belle chiacchiere sull’accoglienza. Quando lui si fa fastidioso si limita a cercare di cambiare sedile. Non scatta la paura, non si attiva l’istinto di autoconservazione perché le hanno insegnato, che non bisogna avere paura del diverso, del nero, che non deve neppure essere chiamato negro (che pure da noi è parola arcaica e nobile priva di valore spregiativo), lui è un ragazzo di colore come lei, solo più sfortunato.

Forse lei si vergogna anche un po’ di mostrarsi così poco accogliente, di offenderlo con il suo rifiuto a sottomettersi alle offese verbali o alle profferte volgari. Si sente un po’ razzista ad allontanarsi dal giovane di colore.

Il resto lo sapete, lo sappiamo, lei (chiamatela ciascuna con il vostro nome di donna che avrebbe potuto essere al suo posto, chiamatela Luisa, Antonia, Antonella, Simona, Maria…. ) diventa una vittima, subisce violenza percosse, umiliazione. Dolore dentro e fuori di sé.

Riuscirà a raggiungere il capotreno, denuncerà la violenza fra le lacrime ancora incredule e piene di sofferenza. Lui, quello che dobbiamo chiamare “il ragazzo di colore” per non incorrere nelle sanzioni della Carta di Roma che obbliga i giornalisti al politicamente corretto nei confronti dei richiedenti asilo, profughi, migranti ecc, si è nel frattempo rifugiato nel bagno. Non sa che lo stupro è stato documentato da una telecamera, e di fronte agli agenti nega, dice di essere innocente, magari accusa lei di essersi inventata tutto, ma non ce lo diranno mai perché bisogna proteggere lui, come simbolo dei migranti che sbagliano e devo certo essere puniti, ma per l’amore del cielo non facciamo di ogni erba un fascio! 

No, non facciamo di ogni erba un fascio, non facciamo di ogni donna italiana sola su un treno in pieno giorno una potenziale vittima, riallertiamo gli istinti di ciascuna di noi, ricominciamo ad avere paura, l’unica che può difenderci, non stiamo in un vagone solitario in pieno giorno neppure per un tragitto breve come quello da Livorno a Pisa, se entra un uomo di colore, un diverso da noi, per educazione e cultura (vale anche per i bulli bianchi, i rom violenti, ecc) allontaniamoci prudentemente. Meglio sentirsi addosso l’epiteto di razzista che le mani violente di uno stupratore. 

E se questo non ci piace, se questo limita la nostra libertà, se questo è ingiusto, se questo lascia libero campo ai violenti e agli stupratori sappiamo chi ringraziare!

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    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da sunnymeg il 21/07/2015 11:38:02

    gentile direttore, mi domando se lo stesso livore verso lo stupratore lei lo abbia manifestato anche verso i sei italiani che hanno stuprato una ragazza a Firenze....a no non sono immigrati....a già lei è ambigua.....

  • Inserito da contorto il 19/07/2015 13:02:11

    bello, giusto, forte. il politicamente corretto porta a politiche scorrette, sempre

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