Tintoretto

Marietta, il destino di una figlia di talento nella Venezia del '700

Un rapporto strettissimo con il padre, fu una pittrice di valore nel secolo sbagliato, morì a soli 30 anni

di Francesca Allegri

Marietta, il destino di una figlia di talento nella Venezia del '700

Marietta Robusti detta la Tintoretta Autoritratto

Visse dunque in Venetia Marietta Tintoretta, figliuola del famoso Tintoretto, e delitie più care del genio suo, da lui allevata nel disegno e nel colorire, onde poscia fece opere tali, che n’hebbero gli huomini à meravigliarsi del vivace suo ingegno : ed essendo piccioletta vestiva da fanciullo, e conducevala seco il Padre dovunque andava, onde era tenuta da tutti per maschio”.

Così scriveva nel 1648 Carlo Ridolfi ne Le meraviglie dell’arte ovvero le vite de gl’illustri pittori veneti, un’opera sulla scia di quella assai più famosa del Vasari, e che, come quella, si propone di illustrare la biografia di grandi pittori, in questo caso veneti.

Stava nascendo il mito della Tintoretta, la figlia prediletta di Jacopo Robusti, l’unica forse in grado di uguagliarne le glorie; su Marietta Tintoretta si è scritto molto e, soprattutto, si è favoleggiato, particolarmente in età romantica, quando la sua sfuggente figura  stimolò la fantasia di molti artisti; da George Sand che la fa personaggio nel romanzo I maestri mosaicisti, al pittore  Lèon Cogniet (1794-1880), che allora godeva di una certa fama, nella sua opera più celebre: Tintoretto che dipinge la morte della figlia, e alcuni altri.

In realtà solo in studi recentissimi, come quelli di Melania Mazzucco, si è giunti a una definizione più precisa della figura di questa artista, inquadrando la sua persona nella storia privata e familiare del grande Tintoretto.

Marietta nasce quando il padre ha circa trentasei anni e incerta rimane la madre; probabilmente una prostituta tedesca. Certo è che, dopo un primo periodo, il pittore decide di prenderla e tenerla con sé, anche se aveva in animo di sposarsi, cosa che in seguito fece. Jacopo sposò la figlia di un suo carissimo amico e protettore: Faustina Episcopi, di ben ventisei anni minore di lui e Marietta viene allevata dalla matrigna. Bisogna dire che né la notevole differenza di età fra gli sposi, né il fatto che un figlio illegittimo fosse allevato in casa, insieme ai legittimi, destavano all’epoca particolare stupore. La bambina nasce, dunque, a Venezia nel 1554 e fin dai primi anni diviene l’ombra del padre, questo sì, atteggiamento inusitato! Jacopo la porta ovunque e soprattutto la tiene con sé a bottega e, particolare non ininfluente, secondo il Ridolfi, la veste da maschietto.  A Venezia esistevano diverse pittrici donne, ma in genere erano le vedove di pittori che, trovandosi in difficoltà economiche, tiravano avanti la bottega del marito. Anche riguardo all’uso di vestirsi da maschio vi sono diverse cose da dire, poteva succedere che le donne si vestissero da uomini, ma accadeva soprattutto alle prostitute che così potevano circolare più liberamente e recarsi anche in luoghi che generalmente erano a loro preclusi. Nel documentatissimo volume di Melania Mazzucco Tintoretto e i suoi figli, l’autrice, esaminata una mole di documenti autentici, ci informa approfonditamente sull’esistenza di queste donne di piacere in città all’epoca; sembra che fossero numerosissime e in ogni gradino della scala sociale, da quelle di alto bordo alle più povere e disgraziate. Pochi gli uomini che non le frequentavano e avere figli da loro non era assolutamente inconsueto.

Dunque Jacopo si sposa con Faustina che è di solo un anno maggiore della figliastra. Secondo le fonti, che riproducono quello che era divenuto un topos letterario, Faustina era una vera piaga: non comprendeva l’arte del marito, era assetata di denaro, lo vessava in ogni modo. Probabilmente le cose andarono in modo diverso, da quanto risulta Jacopo sembra aver sempre nutrito vero affetto nei confronti della moglie che, del testo, fece tutto quello che allora era ritenuto il dovere di una brava moglie, mettendo al mondo una grande quantità di figli, quasi tutti ben riusciti. Il fatto che fosse lei, poi, a tenere il timone della vita familiare probabilmente è vero, ma va inteso in maniera del tutto diversa da quanto la tradizione riporta. Tintoretto fu ben felice di lasciare alla moglie tutte le incombenze familiari, dalla cura dei figli a quella del danaro, riservandosi il ruolo  di padrone all’ambito ristretto del suo studio. Si dice che gli artisti non siano, spesso, dotati di senso pratico, ma è piuttosto il fatto che la loro dedizione all’arte è onnivora al punto tale da allontanarli volutamente dalle beghe e mene della vita quotidiana, dimostrando così non tanto un carattere accomodante quanto un profondo egoismo, del resto necessario a chi stia creando dei capolavori. Il fatto che Tintoretto avesse la più completa fiducia nella moglie è dimostrato dal suo stesso testamento in cui la lascia fiduciaria di tutti i suoi beni, spetterà a lei poi decidere come comportarsi nei confronti dei vari figli.

Marietta cresce così in una famiglia che si fa sempre più larga con una grande quantità di fratellastri: femmine e maschi. I suoi rapporti con loro furono buoni? Non è dato saperlo, sappiamo solamente che eseguì il ritratto del padre e del fratello di Faustina, il che ci dice due cose: prima di tutto che ebbe grande fama nella ritrattistica, fatto che è confermato anche da altre fonti e  del resto era opinione comune che le donne fossero particolarmente versate in questo ramo della pittura forse perché ritenute maggiormente capaci di cogliere espressività e stati d’animo e d’altro canto che i rapporti con la famiglia acquisita dovevano essere almeno civili, altrimenti gli Episcopi non si sarebbero certo fatti ritrarre da quella quasi nipote di incertissima origine.

Inoltre, a differenza di molte ragazze del suo stesso stato, le viene impartita un’ottima educazione, soprattutto musicale, in un  autoritratto che le viene attribuito e che adesso si trova nel corridoio vasariano della galleria degli Uffizi a Firenze, è dipinta con un foglio da musica in una mano davanti ad una spinetta, sappiamo infatti che prese lezioni da maestri non spregevoli sia di spinetta sia di clavicembalo e le fonti attestano che aveva anche buone doti nel canto; anzi si dice qualcosa di più: pare che fosse una attrattiva notevole per i suoi  committenti il fatto che durante le pose Marietta cantasse con voce melodiosa.

 Poi sposa, certamente per volontà del padre, Marco Augusta, un gioielliere o orefice, senza dubbio scelto dal padre, come allora accadeva per tutte le fanciulle. Marco era di origine tedesca e Augusta non è tanto un cognome, quanto, invece, designa la città sua di provenienza e del resto Augusta era rinomata proprio per i suoi orefici. Secondo la leggenda il padre mai non se ne volle separare e i due andarono a vivere nella sua stessa casa, ma non è la verità, in realtà abitavano in una zona piuttosto modesta, in contrada Santo Stefano vicino a San Polo e ai Frari,  quartiere del resto frequentato da persone che facevano lo stesso mestiere del marito. I familiari raccontarono poi nel tempo che era stata chiamata in diverse corti d’Europa e il padre la fece sposare proprio per non separarsi da lei, in realtà questo fatto, soprattutto la richiesta da parte del sovrano spagnolo, non è del tutto acclarato, anche se rimane piuttosto strana l’età in cui Marietta convolò a nozze, aveva, infatti, venticinque anni e all’epoca era già ritenuta anziana per il matrimonio.

Probabilmente rimase sposata per circa cinque anni finché morì a circa trenta. Sono anni oscuri, che i biografi tendono a sorvolare, una giovane donna pittrice di ritratti, sposata, non costituiva niente di particolare nella Venezia dell’epoca; erano finite le stranezze della sua prima infanzia quando il padre, questa sì cosa inusitata, la portava sempre con sé e, per far questo, la vestiva da maschietto. Adesso, questa giovane donna vive come molte sue coetanee nella più completa normalità. Rimane solo il rimpianto del fatto che le sono state attribuite alcune opere sulla cui autenticità però non vi è concordanza fra i critici: l’autoritratto degli Uffizi, un autoritratto con filo di perle, un altro autoritratto con petalo rosso e, in tutti presunti autoritratti, Marietta ci appare come una giovane bionda, con il viso dal bell’ovale e le guance un po’ arrosate. Invece di sicura attribuzione uno schizzo scolastico che rappresenta Vitellio, imperatore romano, soggetto che molti all’epoca usavano come esercitazione di scuola. Così nasce il suo mito e il suo mistero, menzionata da biografi contemporanei come l’unica della famiglia degna di proseguire lo splendido lavoro del padre, figlia illegittima morta giovane  non ci ha lasciato quasi nulla e di lei quasi nulla rimane, resta dunque proprio per questo aperto lo spazio alla fantasia.

Anche la sua morte si ammanta di mistero perché, secondo la vulgata, morì di parto, che all’età di trenta anni per una donna sposata era il rischio più vicino e concreto, ma non è detto che sia stato proprio così. Inoltre alcuni le attribuiscono un unico figlio maschio morto a undici mesi e allo sconforto per la sua morte la fine anche di Marietta. In realtà Marietta ebbe una sola figlia femmina a cui fu imposto il nome di Orsola, tipicamente di ascendenza tedesca. E di questa Orsola, che mai non è nominata nelle carte di nessuno dei suoi familiari nemmeno del padre, rimangono invece documenti di archivio che mostrano come abbia avuto vita disgraziata; processata per blasfemia, accusa assai infamante all’epoca, forse prostituta, poi proprietaria di una locanda con un marito manesco dal quale riesce a divorziare, ma quando ormai la sua vita è rovinata, tanto che muore probabilmente alcolizzata. Anche lei rimasta per noi un mistero perché viene da domandarsi come mai nessuno dei suoi numerosi zii, se non il padre, anche se si era risposato, di lei si curò.

Così finiva nella polvere la prosapia di uno dei più grandi artisti del Cinquecento e di sua figlia, per unanime ammissione la più amata e la più compianta.

E gli altri figli? Il primo Dominico ereditò la bottega del padre e la condusse con dignitosi risultati se pure non paragonabili a quelli di Jacopo. Un altro, Marco, fu, come si conviene in ogni famiglia numerosa, la pecora nera, pittore meno che mediocre, forse attore, poi baro e bevitore, visse sempre all’ombra e, soprattutto col denaro, dei fratelli. Due furono suore nel convento di Santa Anna, una delle due Gierolima,  suor Perina, fu badessa per un certo periodo e poi visse fino a tardissima età, l’altra, Lucrezia, monacatasi col nome di Ottavia da non confondere con l’omonima sorella sposata,  nel medesimo convento fu rinomata ai suoi tempi come di donna di alta cultura. Le due insieme dipinsero, ma non con il pennello, piuttosto con l’ago; è opera loro, infatti, un celeberrimo parapetto d’altare, disperso immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, al quale lavorarono per molti anni e che riproduce la Crocifissone di Jacopo che si trova nella sala dell’Albergo della Scuola di San Rocco. Ci furono poi altre due sorelle, le minori che Jacopo non nomina nemmeno nel suo testamento, ma che Dominico fece sposare più che dignitosamente con dei borghesi ben provvisti di danaro. Una, Ottavia, dette scandalo per essersi risposata in tardissima età con un uomo molto più giovane, forse nella speranza, disattesa, che questi, pittore scadente, potesse dare nuovo lustro alla bottega paterna.

Come, purtroppo, spesso succede nessuno dei numerosissimi figli fu all’altezza del padre, qualcuna delle figlie, forse Marietta o forse la monaca Ottavia, avrebbe  potuto esserlo; la vita, le circostanze, i costumi lo impedirono. Peccato!

 

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