La cosiddetta sinistra

Quando la cronaca si fa storia

Il libro di Armillotta è un'immersione lustrale in ciò che è stato il liberalismo progressista nel dopoguerra

di Alessandro  Bedini

Quando la cronaca si fa storia

"La cosiddetta sinistra" Giovanni Armillotta,Jouvence(Roma 20119,pp.164, € 12,00


“La cosiddetta sinistra", ovvero quando la cronaca si fa storia e contribuisce a gettare luce nuova su un tratto di strada che molti di noi, generazione degli anni ’50, in un modo o nell’altro, hanno percorso. Il libro di Giovanni Armillotta, cultore di Storia e istituzioni dei Paesi afro-asiatici all’Università di Pisa nonché brillante giornalista, è un’immersione lustrale in ciò che è stata la sinistra italiana nel dopoguerra: dai conati rivoluzionari del “primo” Partito Comunista, alla nuova sinistra, all’imborghesimento liberal di quelli che furono i nipotini di Stalin. Un po’ autobiografia un po’ radiocronaca ragionata, il pamphlet di Armillotta risulta prezioso soprattutto per quelli e sono tanti, che faticano a ricordare il loro passato prossimo e che, volendo essere malevoli preferirebbero occultarlo, ripulire insomma il salotto buono  dalla polvere nascondendola sotto il tappeto. L’autore fu un giovane socialista profondamente convinto che la via craxiana alla modernizzazione dello stato fosse quella giusta e che il leader socialista avesse intuito con lustri d’anticipo, che una seria ed equilibrata politica estera mediterraneocentrica avrebbe portato buoni frutti all’Italia. Un’Italia liberata dal conservatorismo del piccì e dunque proiettata verso un socialismo di stampo proudhoniano, che, più di altri, Riccardo Lombardi, vecchio storico leader del PSI, pareva perseguire. Uno degli snodi significativi dello scontro a sinistra fu rappresentato dal caso Moro. Osserva l’autore raccontando di se stesso e dei suoi compagni di cordata: “ desideravamo inaugurare un dialogo con l’area più innovativa del Movimento. Sottolineavamo il garantismo socialista di fronte alla “fermezza” comunista contro il terrorismo che si trasformava troppo spesso in caccia alle streghe, come avveniva in alcune fabbriche del paese, dove il partito eliminava gli operai e i sindacalisti che non si allineavano tacciandoli di brigatisti, oppure lasciando che Moro fosse assassinato”. Il Movimento del 1977 rappresentò una boccata d’ossigeno per chi, da sinistra, si sentiva tradito e schiacciato dal compromesso storico tra DC e PCI, ossia da un’alleanza che finì per avere la più ampia maggioranza parlamentare e il più basso consenso sociale. Creatività, ricerca di nuove vie che portassero verso una vera democrazia, rifondazione della scuola pubblica e delle Università, erano le parole d’ordine dei settantasettini, di contro agli imborghesiti uomini d’apparato che avevano “fatto” il ’68. Furono il  radicalismo, il pacifismo, l’affermarsi della gauche caviar, che – secondo Armillotta –  finirono per destrutturare in modo definitivo ogni autentico afflato politico di sinistra. L’analisi impietosa, contenuta ne La cosiddetta sinistra, che Franco Cardini nella sua prefazione definisce un pugno nello stomaco, non è altro che il fedele ritratto di un album di famiglia (quello della sinistra italiana) entro cui si muovono nani e ballerine, spesso antesignani di ben altri balli e di danzatrici che talvolta, da un paese alla periferia di Monza, approdano sugli scranni di Montecitorio.

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