Il libro

L'essenza della romanità di Casalino la via eroica della Capitale che fu grande e non è più

Roma quale Evento-Avvento del Mito nella Storia, simbolizzato dalla Statua equestre di Marco Aurelio, sulla piazza del Campidoglio

di Giovanni Sessa

L'essenza della romanità di Casalino la via eroica della Capitale che fu grande e non è più

Giandomenico Casalino, studioso di cose tradizionali, si è occupato più volte della Tradizione Romana. La sua ultima fatica è stata da poco pubblicata dalla casa editrice Arya. Si tratta deL’Essenza della Romanità (per ordini: arya@oicli.it; 010/6442695, euro 18,00). Il volume raccoglie il testo di una conferenza tenuta dall’autore in occasione del Natale di Roma, il 21/04/2011, su invito del Movimento Tradizionale Romano, e una serie di saggi di approfondimento.   L’introduzione la si deve a Paolo Casolari.

   Per entrare nel vivo delle questioni qui presentate, sarà bene muovere dalla precisazione di Casalino, inerente il senso del termine Natale. Esso si riferisce a nascita, a ciò che nasce ed è destinato a perire. Al contrario, nel caso di Roma, bisognerebbe dire della sua epifania, del suo manifestarsi nella storia. Tale puntualizzazione trova specificazione nella prospettiva ermeneutica   di Kerény: questi ha rintracciato nella storia romana tre momenti costitutivi, il Premonadico, il Monadico e quello ulteriore ad esso. Il primo testimonia la fase in cui la Romanità è solo in potenza,    il secondo coglie la sua irruzione nel tempo, il suo trasfigurarsi da Amor in Roma.Il Premonadico non si realizza, a dire dello studioso ungherese, nel Monadico, ma in ciò che lo segue, nella decadenza, con Augusto che rinnovando l’Amor Quirino, fa ricominciare il ciclo. Tale processualità triadica richiama altri numi tutelari, con i quali Casalino legge la Tradizione romana: il neoplatonismo e l’hegelismo. Ciò non basta ancora per avere proficuo accesso al testo. E’ necessario cennare al tratto eminentemente apollineo, attraverso il quale viene esperita l’essenza di Roma. L’autore, nell’incipit, distingue in modo netto l’esperienza misterica, fondata sul pàthos, dalla conoscenza noetica, di origine indoeuropea, centrata sul màthema. In tal senso, il misterico, precede la dimensione secca dell’ascesi a cui è necessario pervenire individualmente, e a cui Roma è giunta comunitariamente: “…noi dobbiamo avvicinarci a questa realtà Sacra in termini e con uno stato d’animo che è esperienza emotiva…per poi, dopo l’esperienza emotiva, conoscere” (p. 15). Nel concetto di Roma quadrata tutto ciò è esplicitato: il cerchio simbolizza la Forza femminile, il quadrato la fissazione, la formalizzazione del volatile (per una diversa lettura, cfr. A. Schuler, Dell’essenza della città eterna, Ar, Padova 2007).

    Quella di Roma è via eroica, del vir animato da fides: “…la forza cosmica, manifestazione del Numen Jovis …la convinzione originaria, di cui è intriso tutto il Popolo Romano, di essere soggetto attivo del patto di amicizia stipulato dai primordi con gli dei” (p. 17). Ciò ha concesso ai Romani l’incrollabile certezza del loro destino di grandezza, perfino nei momenti più drammatici della storia, finanche dopo la sconfitta di Canne. Il patto si realizza nella Res Publica, in essa si manifesta l’obligatio, il doppio legame che lega gli uomini tra loro e agli dei (legame simbolizzato dal gruppo scultoreo dei Tetrarchi a Venezia). La Religione in origine è tutta la Romanità, con politica e diritto configura i tre aspetti della norma, della legge cosmica, alla quale gli umani devono corrispondere. La comunità non è statuita da vincoli naturalistici, è munus, vincolo spirituale che consente, per dirla con Evola, di: “dare del Tu al proprio dio”. I Romani, creatori del diritto pubblico, non conoscevano l’astrazione della persona giuridica, ma uomini vivi. Il latino arcaico, il Nomen  del vir, era latore d’ordine come testimoniano i precetti cantati delle XII Tavole o le Res gestae, pensate perché: “…tutto il mondo conoscesse la fonte giuridico-religiosa della auctoritas augustea” (p. 25). La Res Publica è trilogia di politica, leggi e riti, condotta per mano dal linguaggio. Cicerone ha chiarito questo aspetto in modo magistrale: “…il concetto di popolo presuppone la comunità dei riti, poiché il jus dei Romani è rito come lo è anche il mos, la comunione dei riti e delle tradizioni effettuali al Fas, base mistica del jus”. (p. 26).

   Roma, quindi, quale Evento-Avvento del Mito nella Storia, simbolizzato dalla Statua equestre di Marco Aurelio, sulla piazza del Campidoglio, nel momento in cui questi tende la mano verso il basso a significare l’Avvento della Pax deorum, che coinvolge la comunità divina e quella dei morti e dei viventi. Fin dalla sua origine, il destino della Città è stato augescens, aggregante, in crescita continua, fino a coincidere con l’universalità del mondo. Roma città votata alla Primavera, sempre iniziale e rigogliosa, unione perenne tutelata da Venere e simbolizzata da Juppiter che: “…esprime la stessa elargizione, la stessa cordialità che è l’anima medesima della romanità” (p. 31). L’elezione divina di Roma è antitetica a quella ebraica. In Roma si realizza il si alla vita, alla sua pluralità sinfonica, all’eterno cosmo increato; nel monoteismo ebraico trionfa l’acosmismo asiatico, foriero della desertificazione moderna della natura e del mondo. L’architettura di Roma, il tempio in particolare, testimoniano il tratto affermativo, ed al contempo aperto, di questa civiltà. Gli dei agenti semplicemente acconsentono a che il Popolo Romano, attraverso le Istituzioni, agisca.     Casalino presenta L’Ascesi dell’Azione romana, fondandola su tale collegamento con il Sacro. L’aruspicina romana, divergente da quella degli Etruschi, è funzionale all’azione sintonizzata sul volere divino. L’ordine mondano si fa, così, immagine visibile di quello celeste, e va esteso nel tempo e nello spazio (Aeternitas Romae). La pietas, il prestare attenzione al divino, è la qualità essenziale del vir.

    La sovranità romana appartiene al Popolo: “…ordinato gerarchicamente…fonte e legittimazione di tutte le susseguenti ed effettuali facultas, potestas e imperium” (p. 41). La morale non è questione di scelta individuale è eticità, mos maiorum, adesione incondizionata al precedente autorevole, agli exempla. Ma la grandezza di Roma non è da ravvisarsi nella riproposizione della Sapienza indoeuropea: per Casalino Roma ha interpretato un’autentica rivoluzione conservatrice, innovando la Tradizione originaria. La Città affronta il duplice volto della decadenza antica: quello della democrazia oclocratica ateniese, e quello del dominio mercantile Cartaginese. Lo supera non solo guardando alla Tradizione, ma inglobando, nel processo ascensionale, il “nemico” interno, l’Ordine della plebe, e quelli esterni. La sua propensione magica le consentì di realizzare la condivisione dei valori spirituali e politici, con tutti i popoli dell’ecumene.

   Pertanto, Roma resta eterno paradigma spirituale e politico.

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