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...scritti in onore di Carlo Diano

Una diade antica

Mi resta impresso nella memoria da quella visita il nome dell’Autore del quale non ho mai letto un opera, ma del quale trovo bella l’armonia di suoni del nome unito al cognome

di Piccolo da Chioggia

Una diade antica

Scritti in onore di Carlo DIano

Quand’è che le semplici associazioni di idee trasmutano in ricordi effettivi? E segue il nostro rammentare un senso storico o si affida semplicemente alle suddette associazioni di idee che attraggono poi dei ricordi affini? In effetti il lavorìo della mente produce continui dilemmi che non è facile dipanare. Se poi interviene anche quella strana forma di trasmissione dell’esperienza che è la lettura, una trasmissione di ricordi non nostri ma altrui, il nodo si complica e si intrica e l’Alessandro che lo può tagliare con il colpo di spada dell’intuizione siamo solo noi stessi. Do qui un esempio di questo continuo interscambio fra idee che si associano, ricordi e lettura. Leggevo di sfuggita un titolo: scritti in onore di Carlo Diano. Ornava un volume dalla copertina color panna, a caratteri neri e rossi del tipo di Bodoni.  Un’opera che già nella veste comune, pur se non priva di eleganza, si faceva riconoscere come accademica. Non avevo sentito la minima spinta ad aprirlo e sfogliarlo. Era in uno scomparto di legno nel corridoio che si apre sul lato destro del bel salone d’ingresso del Liviano in Padova.

Quali sono qui le immagini associate nel rammentare? La bellissima architettura dell’esterno della costruzione che Giò Ponti aveva elevato in una piazza alberata, in grazia d’una università il cui rettore del tempo, Carlo Anti, era un lungimirante archeologo veronese. Erano i tardi anni 30 quando il culto della romanità, pur con i continui naufragi nella retorica, aveva serbato una parte di sincerità. L’intonaco bruno ramato della parte superiore della facciata si accompagna benissimo al verde chiaro delle fronde degli annosi platani sulla piazza. All’interno il salone d’ingresso è elegante e luminoso.  È affrescato con composizioni figurative e porta sulla sinistra una bella scala che sale, mentre la statua del lettore accoccolato sulla destra ispira simpatia e semplicità. Nel  piccolo corridoio in legno che porta a delle aule, sulla parete si aprono le bacheche e in una di queste era il volume. 


Mi resta impresso nella memoria da quella visita il nome dell’Autore del quale non ho mai letto un opera, ma del quale trovo bella l’armonia di suoni del nome unito al cognome. Carlo grato a rammentarsi dopo la lettura d’un riassunto delle saghe dell’Edda, in quella di Rig è Karl, l’agricoltore indipendente, il coltivatore signorile e non suddito ad alcuno. E Diano, ovvero il ricordo di una cittadina ligure, Diano marina, sulla riviera di ponente, con gli olivi e l’olio e la poesia per i piccoli di Angiolo Silvio Novaro. I cui poemetti dell’”Angelo risvegliato” mandavo a memoria nella scuola elementare. Quella il cui ricordo resta indelebile. A Diano marina avevo una volta passeggiato quando, in un giardinetto appena arretrato rispetto al lungomare e volto verso l’interno dell’abitato, mi imbattevo fra gli alberi in un’erma di pietra al cui sommo stava un busto. Vi era scritto il nome del poeta, grazioso nel ritmo dei suoni, messi quasi a bella posta per esser rammentati. Solo poco tempo addietro ho scoperto che anche il fratello del Novaro, Mario, era un poeta che con Angiolo Silvio aveva fondato un sodalizio di poeti e filosofi del Ponente. Fra questi vi era come individualità pure assai svettante, un ammiratore degli arcani del luogo, e attento auditore dei murmuri ed echi del tempo passato ovvero della civiltà remota dei Liguri: Angelo Saglietto detto Sofo. Sempre in Diano, e lo ricordo bene, avevo visto un fregio su pietra. Se fosse nello stesso giardinetto del busto non riesco a rammentare con precisione ma rappresentava la figura slanciata d’una donna in atto di scoccare il dardo con l’arco. Perché mi sia rimasto impresso questo fregio viene dalla puerile soddisfazione di avere, allora, collegato il nome della cittadina alla dea venatrice senza averlo letto da alcuna parte. La Diana romana che dà il nome al centro ligure ed al cognome letto sul tomo depositato nella  bacheca a vetri in Padova. Ma anche mi resta impresso, il fregio, per la bellezza delle colline retrostanti a quel giardino, appena visibili oltre i tetti delle case o forse solo immaginate, e popolate dalle selve degli olivi. Che, quando la luce meridiana non era più quella accecante del mattino assumevano un colore verde celeste argentato luccicante sul verde e sul bruno delle creste collinari. Spoglie o popolate di alberi di altra specie.

Per questo Carlo Diano, premessi questi ricordi e le connesse associazioni di idee, mi risulta nome assai grato e semplice da ritenere.


È di un tempo successivo l’aver estratto una rivista datata dalla mensola dedicata all’architettura di un antiquario del corso elegante della città. Non sono per nulla un lettore rigoroso e ho, se si vuole, assimilato un’abitudine di scorrere le pagine di volumi il cui titolo sia attraente o la cui copertina mostri disegni, colori e fattura non banali. 

Scorrendo le pagine mi soffermo a leggere qualche cosa della prefazione e dell’indice compreso, se vi è, quello di nomi, dipoi qualche linea sparsa qua e là dell’opera, e a volte le righe finali. Pare che Céline agisse colla medesima nonchalance. Pur essendo, in virtù del suo genio, addentro a letture di vaglia come La Bruyère e Vauvenargues, o la filosofia medica dell’Hahnemann conosciuta attraverso la lettura d’uno scrittore di teatro, il Legouvé. Forse il Francese agiva nel modo indicato perché aveva il dono di accorgersi immediatamente chi vale nello scrivere e chi arranca sull’argomento. Oltre a possedere da buon bevitore d’acqua una memoria formidabile che sapeva agitare in qualche linea di minaccia contro i suoi detrattori. Di Vauvenargues, il soldato, “je ne balance pas, je veux être peuple” è una massima che ricordo per l’oltraggio impartito ai presuntuosi. Così, sfogliando volumi e riviste, se incontro una figura interessante leggo la didascalia o cerco la parte scritta che la allude nel racconto dell’Autore. Non smarrisco il senso della fretta perché la lettura affatica e la si deve ricondurre solo a ciò che realmente può arricchire.  Dunque completamente distaccata sia dal tempo dall’incontro nel corridoio del Liviano con il nome veduto scritto di Carlo Diano e sia dalla passeggiata nel giardino ligure è l’occasione d’aver sfogliato la rivista d’architettura e disegno industriale che mi porta a sapere di un’opera di Diano dal titolo alquanto evocativo: “Forma ed evento”


Se il nome dell’ellenista nel suo perfetto equilibrio di vocali, le quali sono la carne nel tesoro dei termini d’una lingua, e delle consonanti, che a lor volta ne costituiscono l’ossatura, pare quasi idealmente nato per rammentarsi, per il vago transitare del detto nomen omen dal nome dell’Autore alla sua opera scritta, il titolo “Forma ed evento” diviene per me un altro stadio dell’indagare i fenomeni di connessione fra la parola, nel suono e nel senno, e la memoria. Come per i germanici Sturm und Drang, o Art und Weise, forma ed evento mi sembrano costituire una bellissima endiadi per il nostro latino, pura nel suono e cristallina nel senso. Non ho letto ancora quest’opera di cui ammiro il titolo. Ho visto il ridotto volume una volta solo, in casa d’una scrittrice, e per chi creda nel valore delle coincidenze ciò è avvenuto proprio in quel di Padova, ma dimenticavo addirittura di sfogliarlo. La scrittrice, una filologa classica d’istinto, al mio quesito su come fosse quell’opera mi diceva trattarsi d’un testo magistrale, dallo spirito quasi nietzschiano, e le devo credere, lei essendo stata traduttrice di alcuni poemi del filosofo tedesco.


Nell’attesa di un delfino apollineo che mi transiti, entro il mare magno degli scritti ora dispersi nelle polverose biblioteche, ad un volume di “Forma ed evento”, mi diletto per il momento a distendere il tenue filo di seta che si svolge da questa bellissima endiadi. Uso, è chiaro, della mia fantasia e ne do l’avviso esplicito. Un qualcosa, lo si può ricordare, avevo anticipato in un capitolo dedicato al quadrato nero di Malevič. Estendo ora i paralleli possibili. “Forma ed evento” che, in diade, avevo interpretato lì anche come “evento formante” o “evento della forma” sono, rispettivamente, l’”eidòs”ellenico e lo’“id quod cuique evenit hic et nunc”. Forma come equivalente del “péras”, di ciò che ha contorni nitidi ed è delimitato, ed evento equivalente ad “apeiron”, l’illimitato o l’indistinto se usiamo di una classificazione che pare essere del Nietzsche. E forma come rappresentazione ovvero parvenza: ciò che si manifesta ai nostri occhi sulla scena del tutto. Evento come agguato, intrusione, trappola che diviene manifesta della volontà, del Wille cosmico ed elementare. Forma ed evento, e quindi pure i loro più o meno completi equivalenti li avevo associati rispettivamente al quadrato nero ed alla spigolosa corona candida d’intorno del notissimo dipinto del Malevič per una intuizione della quale ancora non riesco a ricostruire come sia balenata. Poiché l’intuizione è essa stessa una freccia che si incide in un rapidissimo istante su di un bersaglio ed è in effetti un “evento”, ciò devo precisare: non riesco ancora a ricostruire il momento e le associazioni di idee che possano averla cagionata. Ogni intuizione in sé resta un indistinto: sono solo alcune circostanze d’intorno che noi possiamo ricostruire. Simbolicamente rappresentabili da quella piramide in pietra in riva al lago alpino di Sils Maria a lato della quale il Nietzsche ebbe l’intuizione dell’eterno ritorno. Le circostanze svolgendo l’ufficio della forma e l’intuizione essendo l’evento. Si potrebbe quasi trasporre il tutto in una sorta di allegoria filosofica mantellata d’un che di pittoresco: con la piramide eletta a simbolo della forma e il lago, le cui acque lambiscono per pochi centimetri il piede del solido, e i monti circostanti essendo eleggibili a simbolo del “volere” cosmico. Nelle ondicine che bagnano i pochi tratti della piramide si può intuire una immagine dell’evento, quell’agguato “hic et nunc” avvenuto un tempo al filosofo germanico. 


Appare paradossale che qui si ragioni d’un volume mai aperto. Non ho letto, come ho già avvertito, l’opera di Diano. Ma anche i filosofi i quali ragionano dell’universo dubito che ne abbiano potuto aprire se non che poche pagine dell’immenso testo. Credo di poter dedurre che su certi quesiti si può solo procedere per tentativi e di qui resta plausibilmente giustificato il mio ragionare se esso si contiene con la dovuta modestia entro poche parole. Di Eraclito che, vale sempre di rammentare, è stato voltato nella nostra lingua da Carlo Diano ricordo a memoria due delle sue sentenze, quali ho letto nel tedesco del Nietzsche: “Alles hat jederzeit das Entgegengesetzte in sich” e “Mich selbst suchte und erforschte ich”, ovvero “ogni cosa reca in sé, e sempre, l’opposita” e “è il me stesso che cercai e studiai”. Come traduco dal tedesco. Se queste due sentenze sono inesauribili pure a lunghe riflessioni, non è ingiustificato l’argomentare sulla brillante diade di Diano: la Forma e l’Evento pur attenendosi al nudo significato dei termini e immaginando che il testo, che consta peraltro di poche pagine, si sia occultato come ciò è avvenuto per molte opere dell’antichità classica. E la diade brillante di Diano mi appare trarre solo da sé stessa un inusitato vigore poetico. 


È strano il vuoto fattosi intorno a Carlo Diano. Il suo dottissimo indagare le facce riposte della immensa eredità lasciataci dagli Elleni, la capacità di istituire quelle relazioni fra aspetti lontani che è un segno distintivo del genio lo hanno reso ostico. E non credo ai suoi allievi o lettori ma soprattutto ai colleghi d’università. Rimpiccioliti plausibilmente da una individualità d’eccezione che ha avuto la ventura non solo di compattare interminabili testi grondanti glosse ma di ricreare, rendere vivo e presente un tempo immemorabile e lontano del quale l’eredità fiorisce sempre nelle espressioni più alte della nostra civiltà europea. Forma ed Evento disvelano una delle coppie di antagonisti e complementari dello spirito ellenico, come da altra prospettiva lo sono il pèras e l’apeiron in Nietzsche o volontà e rappresentazione in Schopenhauer. Carlo Diano non è facilmente avvicinabile da una cultura che pare sempre più rimpiattarsi nello studio erudito di testi e perde il coraggio di cimentarsi in quelle proiezioni conoscitive ed etiche che ammiriamo nei due Tedeschi. Proiezioni coraggiose perché, coscienti dell’”irriducibilità a filologia” dei sensi più riposti d’un testo ellenico, vogliono che questi non solo si traspongano nella bella lettera che, foglio dopo figlio, comporrà un altro eccelso volume, ma che siano vivi e questo con tutti gli affronti di un Fato che opera a proprio assoluto arbitrio.

  

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Francesca Diano il 03/02/2015 15:41:34

    Leggo con grandissima commozione e grande ammirazione per l'autore, di cui non conosco il nome, questo testo che mi appare abbagliante per nitore e profondità. E' davvero incredibile che, non avendo letto nulla delle opere di mio padre, lei riesca a cogliere gli aspetti essenziali tanto del suo carattere che del suo pensiero. Voglio poi confermarle la sua intuizione sul quadrato nero di Malevič. Nei quaderni preparatori per "Forma ed evento" e per le "Linee per una fenomenologia dell'arte", che ne è l'ideale prosecuzione e che sono certa le interesserebbe moltissimo, mio padre riprodusse a matita delle immagini, tratte La psicologia della forma di Katz, fra cui figure plurivoche di un cerchio bianco all'interno di un cerchio nero e un cerchio nero. A riprova che, già nel 1948-50, periodo a cui risale la stesura dei due testi, era forse uno dei pochi che in Italia si occupasse di queste cose, per non parlare del fatto che nessun filologo o filosofo italiano dell'epoca ne sapesse qualcosa. Quanto all'assenza delle opere di mio padre nei titoli degli editori italiani, ne ho scritto in un mio articolo di cui segnalo qui il link. Non è colpa solo dei suoi colleghi d'università. Non solo. Devo dire però che qualcosa si sta muovendo e che io mi sto adoperando molto e da tempo perché le cose cambino e sia ancora possibile trovare dei testi tutt'ora rivoluzionari e tutti da studiare. Grazie ancora e le sarei grata se volesse mettersi in contatto con me scrivendomi al mio indirizzo email. https://emiliashop.wordpress.com/2010/12/30/carlo-diano-e-la-cattiva-memoria-della-cultura-italiana/ Francesca Diano

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