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Spaventacchi in scala minima

Asticelle di carta con lari e aquile. Antichità precipitate a passatempo.

Lo stormo aveva null’altra utilità se non quella di far da passatempo nel costruirlo

di Piccolo da Chioggia

Asticelle di carta con lari e aquile. Antichità precipitate a passatempo.

In un precedente capitolo che aveva per argomento l’arte di scrivere con una piuma faceva capolino una immagine nella quale campeggiava un grazioso stormo di lari ad ali spiegate. La piccola composizione la si può facilmente ricostruire con un minimo di sforzo ritagliando con le cesoie delle sagome di gabbiani disegnate su carta innervata da un poco di fibra e di poi lavorando di flessioni e colla fino a terminare la minuscola fantasticheria. L’ apertura alare dei candidi e maestosi lari non va oltre i dodici centimetri.

Lo stormo aveva null’altra utilità se non quella di far da passatempo nel costruirlo e, una volta completato, di essere un ausilio per diluire la corrente delle associazioni mentali con ricordi marinari.


Ci si può sorprendere ma lo stormo dei sette gabbiani raffigurati nell’immagine lo si è ricostruito allorquando si è scoperto albergare nel Deutsches Buchmuseum, in quel di Lipsia, un curioso volumetto di formato e spessore minimi a titolo Möwen im Fluge, e lo si è dipoi richiesto in copia. Dalle pagine del quale appunto, una volta scorse le istruzioni illustrate con meticolosità teutonica da disegni, si ritagliano i lari stilizzati, le asticelle da flettere sulla mezzerìa e i rettangoli a far da base.


Non poteva mancare una variazione sul tema finita per far bella mostra di sé sul tavolo della mia stamberga. Con il procedimento appreso sul volumetto lipsiense ho ritagliato un rapace, atteggiate le ali nel suo maestoso volteggiare a grandi circoli sospesi nel cielo e lo ho incollato sull’asticella eretta su di una base. Ma qui alla corrente delle associazioni mentali era necessario un ausilio ulteriore. Da una scultura futurista degli anni trenta traevo l’idea di ricostruirla per trasformarla con qualche modifica in un simulacro di picco montano. Ecco un’altra possibilità di vagare colla fantasia contemplando lo scarno quadretto. 


Ricorrono come spaventacchi in scala minima, quasi a interrogare muti il loro costruttore sul motivo della costruzione, questi “pali” resi in modello da aste di carta flesse sulla mezzerìa al cui culmine è la sagoma del veleggiatore dei mari o quella del rapace in volteggio.  

Non è inutile rammentare che la Irminsul, la “universalis columna quasi sustinens omnia”, venerata dagli antichi Sassoni in quel di Eresburg come trasmesso nella cronaca di Rodolfo di Fulda, esibisce una siluetta, riportata da un disegnatore sul manoscritto medievale, alquanto prossima a quella di un palo disadorno che sostenga una coppia di ali estese e non dissimile da questi spaventacchi piumati ed in carta. E vale pure di aggiungere qui che l’ uso di pali nudi e conficcati al suolo per un fine cultuale risale remotissimo nel tempo.


Nelle colonne romane sormontate dalle aquile trionfali è la traduzione in possenti architetture dell’intuizione antica che la creatura alata sul culmine del palo adombri una raffigurazione dell’albero della vita ovvero della fecondità inesauribile (dall’India alla Scandinavia) su di un ramo del quale, come sul frassino nordico Yggdrasill, veglia l’aquila, uno dei travestimenti del tenebroso Odhinn, che è riuscita, (tal quale il rapace Garuda col ratto del soma nel Mahabharata) a sottrarre ai suoi gelosi custodi la bevanda dell’ immortalità e della visione. Ma, sempre presso i Germani di Scandinavia, l’albero della vita si fonde pure con l’albero cosmico ovvero l’albero che assume le funzioni tanto di segnare la totalità cosmica quanto di essere esso stesso la “colonna che sostiene il cosmo”. Naturale che l’albero detto si presti ad essere raffigurato in forma semplificata, ovvero con un processo di stilizzazione, quale un “palo”. E le ali sul culmine di esso non sono altro che il segno ideale della sovranità cosmica, che è infine concessa a chi abbia realmente attinto alla fonte la bevanda dell’immortalità e della visione assoluta. 

Nel Rg-Veda il “palo” è la forma del pilastro cosmico, lo “Skambha”.


E nella Scandinavia rurale si usano ancora i Majstänger, le “pertiche di maggio”: pini spogliati di rami e ornati di fiori artificiali o giocattoli intorno ai quali, di maggio appunto, si danza o si celebrano divertimenti collettivi dove le parti principali sono affidate a bambini o giovani. È la celebrazione della primavera e della rigenerazione dell’anno, ben riconducibile all’albero della vita qui inteso come fonte della fecondità perenne.

Il lettore senza esagerate attese di rigore archeologico ed erudito, che volesse costruire queste piccole selve di pali alati al culmine, può a questo punto immaginare di aver piantato dei minuscoli Majstänger dove in guisa di giocattolo vi è il lare che distende le sue ali in un volo augurale. Ma soprattutto può rammentare questi versi tratti da un inno del Rg-Veda (IV, 51), i quali volto in italiano per quanto posso da una versione tedesca del vedico:


Laggiù ad oriente ecco risale, 

ancora una volta, 

questa luce che dona il tempo di contro all’oscuro.


Ecco preparano a noi,

le Aurore, le figlie del cielo, 

col loro brillare il nostro cammino.


Stanno laggiù ad oriente,

Aurore d’ogni colore, 

come i pali eretti per i sacrifici


e sfavillando hanno,

le pure e sempre splendenti, 

aperte le porte dello stallo di tenebra. 


È magnifico il parallelo fra i pali eretti e le radianti Aurore. 


Poscritto 

Il testo tedesco del passo Rigvedico tradotto è il seguente:

Dort vorne im Osten ist dies Licht zum vielten Male der Finsternis entstiegen, die Zeiten

machend. Nun sollen des Himmels Töchter, die Usas, durch ihr Erstrahlen dem Menschen

den Weg bereiten.


Die Usas stehen buntfarbig vorne im Osten da wie die aufgerichteten Pfosten bei den Opfern.

Sie haben aufleuchtend die Tore des Pferchs der Finsternis aufgeschlossen, die Reinen, Hellen.


Detto testo volta dall’originale vedico i primi due versi del cinquantunesimo inno, dedicato ad Ushas, l’Aurora, entro il quarto libro. 




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