La vulcanica Maggie

Firenze: una gatta di razza con Vittoria Puccini

La gatta sul tetto che scotta ha veramente sedotto il pubblico fiorentino, e senza bisogno di scabrosità o effettacci plateali

di Domenico Del Nero

Firenze: una gatta di razza con Vittoria Puccini

Locandina de La Gatta sul Tetto che Scotta

E’ una gatta decisamente seducente quella che ha esordito ieri sera al teatro della Pergola; grazie prima di tutto a una bravissima Vittoria Puccini, decisamente felina sia nella grazia che nell’aggressività. Del resto, lo aveva preannunciato in una intervista sullo spettacolo: “abbiamo lavorato molto sul corpo: il rapporto con la fisicità e davvero esplicito, non viene celato, soprattutto Margareth utilizza la sua sensualità  perché è consapevole che può essere anche un’arma da utilizzare nel suo rapporto con gli altri  (…) Non è assolutamente una donna borghese o convenzionale, a volte appare addirittura sfacciata: è in tutte queste sfaccettature della femminilità che risiede il suo fascino”.

Tutto questo è stato puntualmente tradotto sulla scena.  La gatta sul tetto che scotta ha veramente sedotto il pubblico fiorentino, e senza bisogno di scabrosità o effettacci  plateali.  Vittoria ha dato vita a un personaggio inquietante e conturbante, ma soprattutto vivo e sanguigno, deciso a combattere a qualsiasi costo per ciò che ama senza trascurare il suo “particulare”, e soprattutto senza arrendersi mai.

Ma non era solo la protagonista, tutta la compagnia è stata nel complesso più che all’altezza mentre lo spettacolo scorreva ben calibrato, senza intoppi o pesantezze nonostante sia durato quasi due ore senza intervallo; ma in effetti è stato molto meglio così, perché spezzarlo gli avrebbe tolto la verve, ora comica, ora grottesca, ora lirica, che Tennessee Williams ha impresso a questo lavoro davvero notevole. La famiglia come “trappola”, la condanna dell’ipocrisia, la difficoltà di comunicare sono tematiche che possono ricordare anche Pirandello; ma nel drammaturgo americano appaiono molto più calate nella realtà, e soprattutto in un preciso contesto storico e sociale, quello dell’America degli anni ’50 del secolo scorso.   Uno dei meriti della sapiente regia di Arturo Cirillo è stato proprio quello di aver perfettamente evocato e conservato questo sfondo, che poi ha tanti punti di contatto con quello in cui viviamo oggi: una famiglia “bene” di un vecchio self made man che giunto alla fine della vita si accorge di essere circondato, all’interno della sua stessa cerchia familiare, da una cortina di interesse e di ipocrisia: e i migliori – o più propriamente quelli meno indecenti, perché in Williams non esistono personaggi interamente positivi – sono coloro che in teoria dovrebbero essere i reietti, ovvero il figlio ubriacone Brick  e sua moglie Maggie, ragazza venuta dai bassifondi e decisa a non ritornarvi, malgrado la crisi di una vita che di matrimoniale ha ormai solo l’etichetta.

E per l’appunto il Brick di Vinicio Marchioni è stato un degno contraltare della vulcanica Maggie:  abulico e disincantato, in apparenza preda dell’alcol e di rimorsi più o meno inconfessabili (ma che alla fine verranno pienamente alla luce), capace però anche di accensioni soprattutto nella durissima discussione con il padre, da cui  è in fondo meno lontano di quanto non creda. Perfetta la coppia di “bravi ragazzi” ipocriti,   Gooper  ( Francesco Petruzzelli) e Mae (Clio Cipolletta), fratello e cognata di Brick, le cui premure sono esclusivamente interessate a ingoiarsi la proprietà del vecchio patriarca a cui si cerca di nascondere, almeno per il suo compleanno, la malattia mortale;  a lui ha dato voce un Paolo Musio in perfetto equilibrio tra spavalderia, disgusto e rabbia: un personaggio “antipatico” ma decisamente umano, alla disperata ricerca di una autenticità soffocata da decenni di mielosa domestica ipocrisia a cui non sfugge nemmeno l’adorante e bolsa moglie interpretata da una Franca Penone a volte forse un po’ sopra le righe (e le urla) ma nel complesso efficace.

Un “gioco di squadra” condotto con abilità e un vero e proprio crescendo di tensione, grazie anche a una scenografia sobria ma più che decorosa e rispettosa del testo: una camera da letto con alcune “aperture ” verso un giardino esterno, costumi coerenti con il periodo storico, un commento musicale discreto e non invasivo, buon gioco di luci.  Molto efficace anche la resa del finale, apparentemente “lieto” ma come giustamente  sottolinea il regista, è difficile dire se sia veramente tale: il riavvicinamento di Brick e Maggie avviene in fondo proprio nel segno di quella “ipocrisia” che era stata ferocemente condannata.   Uno spettacolo decisamente da vedere e da gustare,  sperando tra l’altro in un comportamento più corretto di certi settori del pubblico che sembrano scambiare la platea per una salotto da pettegolezzo e per una sputacchiera.  Il successo è stato comunque unanime e più che meritato, anzi dovuto.

Repliche sino a domenica, feriali ore20,45,  domenica ore 15,45. 

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