Editoriale

Come la moglie di Cesare, la politica non deve solo essere onesta ma anche sembrarlo

La lezione antica dimenticata a favore di una superficialità che ignora il valore dell'apparenza (a meno che non sia quella estetica)

Claudio Tedeschi

di Claudio Tedeschi

Direttore de «il Borghese»

span lang="EN-US">Oggi la storia non si insegna più. La rete, in particolare Wikipedia, ha sostituito libri e sapere. Per questo, se parliamo della «moglie di Cesare», a molti verrebbe da pensare a Cesare Cremonini, leader di un gruppo musicale, oppure a Cesare Prandelli, allenatore di calcio assai famoso.

Gaio Giulio Cesare, generale, scrittore, avvocato, è colui il quale rappresenta nella storia di Roma il punto più alto del periodo repubblicano. Formato al mos maiorum, seguì il cursus honorum fino in fondo, ottenendo in anno le nomine politiche necessarie ad assurgere al consolato.

Una delle cariche fu quella di Pontefice Massimo. L’elezione comportava l’utilizzo della domus pubblica, come residenza. In quell’epoca era sposato con Pompea Silla, la quale, durante la festa della Dea Bona, riservata esclusivamente alle donne, rimase coinvolta in uno scandalo dovuto alla presenza di Publio Clodio, suo presunto amante, all’interno delle mura della casa.

Cesare ripudiò Pompea. Nel corso del processo, tuttavia, non testimoniò contro Clodio e si dichiarò certo dell’innocenza di Pompea. Giustificò il divorzio con la famosa frase, riportata da Plutarco: «La moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta».

Questo preambolo, oltre a denunciare la nostra età, si inserisce nella tragedia, se non farsa, che sta squassando il mondo politico e cooperativo, sia romano sia nazionale.

«Mafia capitale». Con questa definizione Procura e Carabinieri hanno reso ufficiale quello che tutti sapevano da decenni. A Roma, tutto si compra. Ogni cosa e ogni persona ha un prezzo. Specialmente in politica.

Il costo della politica esiste da sempre, il voto di scambio, pure. Se torniamo a Cesare, egli si indebitò a livello straordinario, proprio perché la politica costava. Comprare senatori, tribuni, i voti della plebe: tutto aveva un prezzo.

Dalle indagini, almeno da quanto uscito sui giornali e sulla rete, risulta che i politici coinvolti fossero trasversali agli schieramenti, una specie di «grande coalizione» della corruzione.

Appalti concessi in cambio di «stecche» all’assessore, al consigliere, al funzionario. A dimostrazione che, quando si tratta di soldi, sono tutti uguali; lo stesso mondo cattolico, attivo nel sociale, è stato travolto.

Il sindaco Marino, come in precedenza D’Alema e De Benedetti, ha dichiarato di essere all’oscuro di quanto si svolgeva intorno a lui. Perciò, o è scemo o un gran bugiardo. Quando si trattò di Berlusconi o di Andreotti, tuttavia, il coro delle vestali «democratiche» scrisse che «non potevano non sapere» di quanto avveniva attorno a loro.

Ai tempi di Andreotti, Gaetano Caltagirone, grande finanziatore della corrente andreottiana, quando lo chiamava Franco Evangelisti, segretario del «divo Giulio», soleva rispondere: «A Fra’, che tte serve?» Lo stesso Berlusconi, in questi ultimi vent’anni ha «pompato» denaro per tenere in vita la sua creatura politica, ma fino a un certo punto. L’uomo che si vantava di non licenziare mai nessuno, ha chiuso i cordoni della borsa, lasciato i palazzi e messo in cassa integrazione il personale romano di Forza Italia.

Che occorrono i soldi per fare politica, lo hanno scoperto anche i «duri e puri» della Fiom. La felpa, in vari colori, con la scritta «FIOM» sul davanti, prodotta in 5mila pezzi, si vende sulla rete a 20/25 euro.

La stessa sinistra romana, con un dato che si riflette sul nazionale, è uscita con le ossa rotte dall’ultimo sondaggio IPSO PA: «Non sorprende quindi che tre italiani su quattro (e il 73 per cento tra gli elettori del Pd) siano convinti che tutte le amministrazioni che si sono succedute a Roma negli ultimi anni abbiano le stesse responsabilità rispetto a quanto avvenuto, mentre il 14 per cento attribuisce la colpa all’amministrazione di centrodestra guidata da Alemanno e il 3 per cento a quelle di centrosinistra» (Corriere della Sera, 15/12/2014).

La realtà romana è che esisteva una organizzazione criminale, basata sulla corruzione per avere appalti. In questo modo, i soldi pubblici venivano erogati agli «amici» che provvedevano a pagare il «pizzo» al politico di turno. Secondo Buzzi, padrone della «29 Giugno», i soldi per gli extracomunitari rendevano più della droga. La crisi, infatti, ha colpito anche lì: non «tira» più. Quello stesso Buzzi, che, condannato per aver ucciso con 34 coltellate il suo socio, in seguito fu graziato da Scalfaro. Berlusconi, senza mai aver ucciso nessuno, è stato lapidato e costretto ai domiciliari fra le braccia della Pascale.

Tutto questo cosa c’entra con la moglie di Cesare? C’entra alla luce della candidatura della Meloni alla carica di sindaco di Roma. C’entra alla luce della «campagna acquisti» che Augello (Ncd) sta portando avanti per allearsi con Alfio Marchini.

«Mani pulite», questa la frase che da Tangentopoli in poi per la Destra ha sempre indicato la propria onestà. Ma oltre ad esserla, deve anche sembrarla. E Montecarlo ha dimostrato che «il bel sogno era finito». Anche perché tutti quelli che oggi rivendicano la loro onestà, dovrebbero spiegare dove prendevano i soldi per le campagne elettorali.

Tutti i politici della destra coinvolti o meno, devono fare un passo indietro. Lasciare il posto a volti nuovi, non coinvolti nella «grande corruzione».

Il popolo non vuole più essere rappresentato da chi ruba, o dà l’impressione di aver rubato. Vuole gestire in prima persona il Paese, non pagare tasse che finiscono in mano alle banche o alla delinquenza.

Il popolo ha divorziato da questa politica disonesta.

 

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