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​Ernst Jünger

Vocali maiuscole per alfabeto latino

Alla interessante teoria del Meinert mancano ancora le consonanti, o forse Jünger si è voluto limitare solo alle vocali nella pagina del diario...

di Piccolo da Chioggia

Vocali maiuscole per alfabeto latino

Ernst Jünger annota nel suo diario degli anni di guerra poi apparso come “Strahlungen” , Irradiazioni, di aver ricevuto una lettera datata al 14 ottobre 1943 da un soldato, Klaus Meinert. Questi, nelle ore passate di guardia o di attesa, traendo lo spunto da una delle opere dello Jünger aveva ideato una interpretazione potremmo dire ideografica delle vocali scritte in carattere maiuscolo romano. Questo il brevissimo sommario della teoria riportata su ” Strahlungen”: nella A, le due linee che convergono ad una sommità verticale, manifestano vastità e altezza. La E è il segno di ciò che non si estende in senso spaziale, come dire del pensiero astratto o del mondo matematico. Per la I si ravvisa un segno del connubio, e per deduzione dei rapporti del sangue. La O manifesta luminosità, e, deducendo, l’occhio.  La U, che nel segno romano però è indistinta dalla maiuscola V, è segno del suolo, inversione simmetrica della A. Procediamo allora, come si suol dire, a vista e proviamo un qualche esperimento onde accertarci se la teoria abbia del senno. Su A , vocale che apre parole quali alpe, altezza, apertura o ala è facile concordare data la forma a vetta di monte del segno. E si affaccia in effetti in questi vocaboli nominati l’immagine di vastità o di altezze anticipate dal segno ideografico. Se studiamo il segno E possiamo vedere nei tre segmenti paralleli una sorta di disposizione a piani successivi che si elevano o, prospetticamente, si allontanano. Parole colla E a capo siano eco, evocazione, ex, per le quali un filo che ne unisce il senso può essere l’idea d’un qualcosa che essendo lontano, ora nello spazio, ora nel tempo, è quindi divenuto astratto e si è distaccato dalle condizioni che lo avevano delimitato. La E come astrazione appare dunque una fine interpretazione del Meinert, che si può integrare su vari livelli, ben rappresentati in effige dai tre segmenti, senza però procedere esclusivamente nel senso del non spaziale o del pensiero matematico i quali non è detto che esauriscano da soli l’idea dell’astrazione stessa. Sulla I come segno del connubio o dei rapporti del sangue, l’idea del Meinert è plausibile pure se a suo modo univoca e limitata: è il simbolo assiale come quello di una colonna o del fusto arboreo che qui si manifesta evidente e si accorda bene con il senso della particella “in” latina o con vocaboli quali idi o imitazione e non è troppo in contrasto con l’idea dell’Autore della teoria. Casomai la ravviva. Su O è facile concordare: oculus e orior latini rendono perfettamente il senso della luminosità ingenerato dal segno a capo della parola. La U quale segno del suolo è comprensibile e lo si può affiancare al senso che Evola dà della forma grafica della vocale nella sua dura “ballata in rosso”, un poemetto degli anni fra il 1916 e il 1918/9. In questo componimento la U viene detta il segno della “irrigidita invocazione” per la similitudine d’un gesto effettuato con le braccia ancora nella grande U delle braccia bianche distese legate nella crocifissa invocazione immagine dove la suggestione ci fa apparire l’invocazione quale un attrarre un qualcosa di ausilio o superiore protezione alla nostra modesta ed imperfetta natura. Che parole ci aiutano a percepire con maggior chiarezza questo senso ideografico della U? Udire, urla, uno, uovo? È complesso qui dare delle immagini univoche. Forse studiando anche delle parole che siano accentate su di una sillaba interna che poggi sulla u?  Una ulteriore suggestione sulla concordanza possibile di forma pittorica della U, o anche V, quale segno del suolo (o delle profondità, quale inverso della A) con il suono che essa U traspone su carta può darsi nell’immagine d’una valle stretta fra due erte montagne oscure. La fantasia per questo quadretto non può che lasciarci immaginare come unico suono un ululato del vento che pare salire in vortici dall’abisso di questa paurosa valle.

Per procedere nell’esperimento, coscienti dell’ingegnosità della teoria e pure di qualche suo traballare, associamo E ad A, nella sigla EA e osserviamo la tavola astratta, messa in guisa di copertina al famoso poemetto “la parole oscure du paysage interieur”, e disegnata da Evola nel tempo ruggente dell’avanguardia dei primi anni venti. Si vede che detta enigmatica sigla compare in basso, in una selva di segni macchie e fiamme, disegnata in bei caratteri quasi bodoniani.  Ea compare ancora in un altro acquerello dell’Autore del poemetto in una lunga teoria: eaeaeaeaeaea. Ora, con l’interpretazione tentata dal nostro soldato abbiamo una possibilità di togliere, in via intuitiva, un primo velo che cela un senso da attribuire a questo dittongo: EA, è una sigla la quale esprime che per il tramite dell’astrazione, E, sia essa pure artistica e poetica e non solo logica o matematica, è cercata un’ascesa, A, verso le altezze di quel che non è contingente ed è trascendente.

Alla interessante teoria del Meinert  mancano ancora le consonanti, o forse Jünger si è voluto limitare solo alle vocali nella pagina del diario; notevole è in ogni caso questo tentativo per capire il senso pittorico ovvero ideografico di segni che usiamo fin dall’epoca romana e che sono sempre stati per noi circoscritti al loro solo trascrivere dei suoni. Soprattutto se ricordiamo le circostanze tragiche entro le quali un oscuro gefreiter della Wehrmacht ha esercitato la sua non banale e, per quanto possibile, coerente riflessione. 

Poscritto

La teoria del gefreiter Klaus Meinert plausibilmente è stata ideata avendo in vista dei testi stampati in tedesco e, avanzo pure tale ipotesi, con l’uso di caratteri del tipo romano chiamati anche antiqua, ad esempio i tipi del Garamond o quelli insuperati del Bodoni, e, meno i caratteri della Frakturschrift, vero assillo nella lettura per gli occhi d’un non tedesco abituato ai savi caratteri classici. La Frakturschrift vien detta pure scrittura gotica ma essa nulla ha a che fare con i documenti del tempo dei Goti, siano questi Ostro- o Visigoti essendo di origine ben più tarda . Se nelle parole lungo le epoche variano più le vocali che non le consonanti, pure la teoria qui presentata non dovrebbe perder valore ed anzi può aiutarci a vedere come sia variata al lento e lieve mutare dei suoni la percezione intera del vocabolo. Esemplifico un caso: ovo, latineggiante, e uovo. Nella prima grafia e nel corrispondente suono d’inizio accentuo il carattere evidente, visibile, della forma dell’uovo, nella seconda, accentuo col suono della U il carattere d’essere l’uovo non solo forma esterna ma origine e principio. Altro esempio può trovarsi nelle due parole tedesche di radice affine Stamm, tronco, ceppo, e stumm, muto o, come sostantivo, il muto. In Stamm la A accentua con il suono l’idea d’un salire e ramificarsi, classico d’un albero. In stumm la U rende l’idea d’una parola che resta inespressa, dunque celata in profondità. 




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