Editoriale

La tristezza di un paese triste: pavidi, avidi affondatori

Seppure inutile non possiamo non dichiarare la nostra malinconica disperazione

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

n tempo l’Italia fu un paese di condottieri, esploratori, avventurieri, oltre che ovviamente di pittori, poeti e musicisti.

Oggi lo vedo ogni giorno di più come un luogo di mediocri, di personcine modeste, in ogni campo intente sempre ad erigere monumenti al loro Ego. Vedo soltanto timorosi – ma non timorati, anzi la vergogna non esiste più – tremebondi, impauriti quando non codardi, che se sapessero di poterla far franca non esiterebbero ad uccidere – da lontano e ben nascosti – ma non potendo s’accontentano della calunnia e della diceria mossa dall’invidia.

Sì, siamo un paese d’invidiosi, ma non di quell’invidia sana che ci spinge ad emulare i migliori o a competere con i grandi; no, l’invidia attuale è quella dell’incapace che odia tutto e tutti e forse se stesso in primo luogo.

Siamo diventati una nazione morente, pigra, accidiosa e acidamente malmostosa; un parco di ruminanti che non osa alzare la testa, un gregge contento di andare al macello con il nuovo smartphone.

I ruderi e le rovine non sono quelle dell’Appia Antica o dei Fori, sono le anime degli italiani divenuti pavidi e rassegnati, sono le scuole, le università, spesso le chiese e i palazzi del potere.

Abitiamo un paese di spettri, di ombre senza più ricordo della passata grandezza, intente soltanto a riperpetuare il più possibile il proprio miserando potere e a “sopravvivere”. Non c’è più quella “santa ira” che fece scacciare i mercanti dal tempio da uno venuto a morire per noi tutti.

I nostri giovani sono vuoti, amorfi, dispersi e chi è genitore è colpevole mille volte perché li hanno allevati “a fottere” non a conquistare. Li hanno “educati” a cercare la strada più comoda, la porta larga, il “tutto dovuto e subito”, ma poi li chiamano “choosy”. Le famiglie non sono più “allargate” sono “diffuse”, estese, espanse. Siamo un paese “moderno”, da noi si è affermato il poliamorismo, il transessualismo, l’ermafrocismo… tutto ismo quando si tratta di divertirsi e chi se ne impippa degli altri!

Onore, dignità, amore, amicizia, fedeltà, rispetto… tutte parole ormai prive di significato, annichilite da spread e wifi e social network.

Non sognamo più, tanto presto ci tasseranno anche i sogni.

Mi ha stancato la politica, mi dà il disgusto quella che si ostinano a chiamare “destra” e la sua versione più morbida con il prefisso di “centro”. Provo fastidio al “politically correct” di certi cattocompagni in odore di riciclo, rimpiangendo sempre un bel Giuseppe Bottazzi ovvero Peppone.

Sono stanco, ogni giorno di più, lo devo dire, di leggere suppliche e pietismi, proclami e dichiarazioni d’ogni parte e poi… infine, come oggi, ti svegli tra la pioggia – prevista – su una città ingovernabile, ma governata da uno che sembra piovuto da un altro pianeta, invece è soltanto di Genova e vedi che Maurizio Cattelan , il grande “artista” provocatore, ha prodotto un’altra delle sue solite porcherie e allora capisci, facendoti il caffè, che questo paese è morto affogato e non riposa neppure in pace.

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