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Mercedes Benz e Volkswagen

Sulle automobili a gassogeno -Terza parte-

Sempre presso un costruttore germanico, qui di Sassonia, il gassogeno è collocato al meglio in coda con tutti i suoi apparati e, chiuso entro il baule, scompare alla vista

di Piccolo da Chioggia

Sulle automobili a gassogeno -Terza parte-

Per il suo ottimo modello di piccola cilindrata in produzione a partire dagli ultimi anni trenta, la 170 V, la Mercedes Benz disegna nel proprio ufficio progetti un voluminoso e affastellato gassogeno a legna. L’apparato, per quanto il suo aspetto in quest’immagine della casa costruttrice, ce lo mostri come una complicata sovrastruttura, non pesa tantissimo, esso è contenuto infatti in soli 70 chilogrammi, meno di un moderno impianto di trasformazione a gas metano per automobili che, come si sa, risente molto del peso delle bombole ricavate da un acciaio spesso un centimetro onde possano sopportare lo stivamento del gas a circa duecento atmosfere di pressione. In coda alla razionale macchina di Stoccarda vi è il caldaio, di qui le condutture veicolano il gas ai filtri e radiatori locati anteriormente per poi giungere al carburatore. Dato che il caldaio si àncora con una robusta staffa al perno sul quale si poggiava la ruota di scorta, questa si sposta sul tetto del padiglione.  


Sempre presso un costruttore germanico, qui di Sassonia, il gassogeno è collocato al meglio in coda con tutti i suoi apparati e, chiuso entro il baule, scompare alla vista. La ruota di scorta non perde il suo posto schermato dalla corrente d’aria e faticosamente raggiunto dopo che generazioni di automobili l’avevano disposta, pure con un certo talento estetico, con una gemella sul fianco della copertura del motore, poggiata sui lunghi e ondulati parafanghi. Solo indizio che ci rammenta che la Wanderer in questione è alimentata da un gassogeno, è il cassetto dal quale si estraggono le ceneri della combustione dei trucioli che si vede sotto la ruota di scorta e che non viene schermato dal cofano posteriore chiuso.


 

Disegno di progetto dell’impianto a gassogeno ideato specificatamente per l’eccezionale macchina concepita dal professor Porsche. La tipo 11, chiamata KdF Wagen, monta il caldaio nella parte anteriore dove, nella versione a benzina, stava la ruota di scorta, completamente invisibile dal di fuori. Per questa trasformazione il cofano anteriore deve essere risagomato ex-novo e assumere una forma a prora di nave che rammenta il musone di certe automobili americane del periodo. Trovato che si è il compromesso più razionale ed estetico fra disposizione del gassogeno e forma della carrozzeria, il resto procede per semplici deduzioni e senza troppo studio di arzigogoli costruttivi. Il corpo cilindrico anteriore B posto quasi a ridosso dell’asse di sterzo costituisce la ventola di aspirazione, un primo filtro è la piattaforma C sotto la carrozzeria, un secondo filtro è ospitato in un vano a lato del passaruota della ruota posteriore motrice sinistra, ad un dipresso del gruppo cambio differenziale, un terzo filtro finale ha forma di cilindro posto in obliquo direttamente nel vano passaruota. Da quest’ultimo filtro si diparte la conduttura che veicola il gas verso il propulsore. Come leggesi in margine al bel disegno, questo è datato al 29 di ottobre dell’anno bellico 1943, ma una barretta di cancellazione riaggiorna il tutto al 4 di febbraio o di marzo dell’anno successivo. Quel che vi è di assolutamente inatteso in questo progetto, poi effettivamente, realizzato è che la macchina non alberga più il serbatoio della benzina e di conseguenza il carburatore sparisce ed è sostituito da un semplicissimo Mischer, ovvero mischiatore, con valvola ad apertura variabile che svolge l’ufficio di miscelare il gas con l’aria necessaria alla combustione e inviare il composto in volumi più o meno estesi al motore onde accelerarne o decelerarne la rotazione. Come avviene con il carburatore a benzina quando con il pedale se ne comanda l’apertura o chiusura della valvola a farfalla. Il disegno è purtroppo non così facilmente leggibile in tutti i particolari più minuti, tuttavia ciò che colpisce è lo strano corpo cilindrico B che alberga la ventola da aspirazione del gas formatosi nel caldaio. Detto corpo sembrerebbe, e qui il condizionale è d’obbligo a veder il percorso delle condutture, che svolgesse l’ufficio d’un serbatoio di gas leggermente in pressione dal quale il gas stesso è spinto attraverso i filtri verso il mischiatore. In questo modo, pare venirsi a disporre d’una piccola riserva di combustibile in pressione, e dovrebbe esser possibile, dopo delle brevi soste nel viaggio, ripartire senza dover attendere i fastidiosi tempi di riavvio completo del caldaio. Purtroppo non mi è ancora riuscito di trovare delle testimonianze di guidatori del tempo che mi spiegassero la procedura esatta per la conduzione del veicolo e mi dessero, sulla base della loro acquisita esperienza, un riassunto preciso dei tempi, delle autonomie, dei consumi. 


Sulla KdF il solerte pilota carica il caldaio con i trucioli attraverso un oblò di apertura posto sul cofano anteriore risagomato come detto nel capitolo precedente. Pure se le differenze con la macchina di serie all’esterno non paiono essere enormi queste ci sono e divengono notevoli all’occhio attento. Il caldaio causa la crescita d’un rigonfiamento, quasi un bernoccolo meccanico, sul cofano. La macchina deve avere la sospensioni regolate in modo da aumentare la sua altezza dal suolo onde albergare senza pericoli la piattaforma inferiore di filtraggio, visibile sotto il predellino della portiera destra. Si osservi il cassetto di estrazione delle ceneri della combustione dei trucioli sotto il paraurti anteriore e leggermente al di sopra di questo il canale per accensione del caldaio e l’ingresso dell’aria di combustione in esso. La macchina alberga poi le frecce di direzione, che sono a braccetto mobile come d’uso in quel periodo, direttamente sulle fiancate a ridosso della cerniera d’apertura delle portiere. Questo particolare fa supporre che la macchina sia d’una serie particolare, semplificata forse per usi militari, dato che la gloriosa tipo 11, fin dalle prime vetture del 1938, aveva le frecce di direzione affogate, e non visibili da fuori, nel montante centrale del padiglione, a ridosso della parte superiore delle portiere. Una soluzione elegante durata fino quasi agli anni sessanta. Alcune Volkswagen importate in Italia negli ultimi anni 50 avevano ancora i braccetti delle frecce laterali e coesistevano con i più moderni indicatori lampeggianti disposti sui parafanghi. Infine, la ruota di scorta avendo perso il suo rifugio ora occupato dal caldaio si è spostata sul tetto ove, nell’intelaiatura metallica, si dispongono i teli di canapa con le riserve di trucioli. Da alcune cronache del tempo si è venuto a sapere che la Volkswagen a gassogeno, in grazia della sua prima marcia rapportata molto ridotta non aveva l’affannoso problema delle altre vetture alimentate allo stesso modo, ovvero l’impossibilità di effettuare salite a pieno carico causa la scarsa forza del gas di legna. Questo fatto era stato per tutto il tempo dell’uso l’incubo delle società di autocorriere che avevano, in tempo di guerra, adattato vetuste macchine all’alimentazione con gassogeno. In certi casi, e questo mi è stato raccontato, i viaggiatori, e con loro gli scolaretti e le massaie che tornavano dalla città al paese in collina, prima di un’erta salita che la corriera non poteva affrontare a pieno carico dovevano scendere dal veicolo, camminare per il tratto troppo ripido a piedi e, superatolo, risalire sulla corriera che solo vuota riusciva ad arrancare lungo il tratto in questione. 


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