I Racconti di Halloween

La porta nel suolo

di Il Raccontafavole

La porta nel suolo

La guardò di nuovo. Era stata sempre lì. Da quando si vide obbligato a cavalcare il più grande terrore della sua vita da solo, essa diventò l'epicentro della sua esistenza.

Indubbiamente col passare del tempo, i suoi sensi l'oltrepassavano e sorgevano più in là delle altre ombre e suoni.

Per esempio quando Leopold aveva circa cinque anni, sentì dietro quella porta dei topi enormi che affilavano le loro unghie nelle foglie metalliche delle guarnizioni, accompagnando il loro frenetico squittio con i cigolii della porta stessa, e ciò li rendeva rabbiosi e, spesso, per tal motivo si azzuffavano tra loro.

Leopoldo sapeva che avevano un manto bruno e sempre umidiccio. E, poi, un altro strano, inquietante rumore…quasi di graffi prolungati.

Quando dominato dalla paura, tentava di raccontarlo ai suoi genitori, quest’ultimi supponevano che il racconto fosse prodotto dell'immaginazione infantile. Allora tornava a starsene da solo temendo l'arrivo della notte e la solitudine della sua stanza, dove il suo cuore si dilaniava, la pelle s’ispessiva e a causa del panico dimenticava di respirare.

Con il sordo raschiare di quei giganteschi ratti, di quel rumore straziante, come se già non fosse sufficiente, Leopold dovette apprendere anche la storia di una certa signora Loreen , che una notte aprì la porta per scoprire quel segreto, e lui dallo spavento rimase senza voce e di lì a poco gli s’imbiancarono i capelli. Non rivide mai più l’anziana Loreen.

Dopo, intorno ai 13anni, il rumore diventò più sordo e quella presenza imprecisa, uno strisciare silenzioso. Questo, sommato al fatto di non potere darle un nome, divenne una situazione sempre più minacciosa; Leopoldo dovette continuare a stare sempre sul chi va là.

Più tardi, e senza la scusa di una fantasia triviale, quella porta continuò ad esistere nello stesso posto del suolo, proseguiva ad essere proibita, ed indelebile nella sua memoria. Senza dare riposo al suo terrore, manteneva intatta la sua curiosità, senza interessarsi al trascorrere del tempo. Ma il rumore attenuato del mostro tentava di avvicinarsi di tanto in tanto. Episodicamente, contro la parete dove si appoggiava la testata del letto di Leopold. A pochi passi dalla porta nel suolo.

Un giorno, al ragazzo, venne in mente una cosa: “E se quella schifosa creatura altro non fosse che il rumore della vecchia tubatura? Nonostante tutti questi anni di soffocante trepidazione, potrei averla vinta io, ma no, l'incognito ferma ancora la mia mano”.

Si guardò allora allo specchio e si vide. Potrà far fronte a quell'embrione sordo e al suo orrore?
Decise che era arrivato il momento. Sfilò il lucchetto, un tanfo di rinchiuso quasi lo stordì. I suoi sensi si accavallarono mentre cominciò a scendere le scale. Ormai questo era ciò che doveva fare, sopra ogni altra cosa. Abbattere certe leggi rispettate fino ad oggi, creare le proprie e sentirsi libero per sempre da quei rumori, da quelle lugubri percezioni. E da quella porta.

Leopold non risalì mai più quelle scale, dopo che la porta si chiuse alle sue spalle. 

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