L’onda d’urto di Luigi Pirandello

Firenze: la stagione della Pergola decolla con i Sei personaggi

Un successo pieno per lo scrittore siciliano, ma anche per Lavia che ha saputo riproporne lo sconcertante e affascinante messaggio in tutta la sua complessità

di Domenico Del Nero

Firenze: la stagione della Pergola decolla con i Sei personaggi

Gabriele Lavia

Uno scavo profondo ed emozionante all’interno di uno dei testi più difficili e ricchi di fascino del teatro italiano inaugura la stagione del teatro fiorentino della Pergola.    L’onda d’urto dello scrittore siciliano, che scardina come un tornado le residue certezze e le ipocrisie ostinate del borghese del XX secolo, investe anche le strutture stesse di quel teatro che pure lo aveva portato al successo. Grazie al palcoscenico Luigi Pirandello,  il “figlio del Caos”  si era trasformato da  “mediocre umorista” come buona parte della critica lo aveva liquidato con incredibile miopia, compreso il solito Croce che come esegeta della letteratura non ne azzeccava neppure mezza, in fenomeno internazionale. Tuttavia al pubblico che il 10 maggio 1921  ebbe la ventura di assistere alla prima rappresentazione al teatro Valle di Roma dovette piuttosto sembrare un fenomeno da baraccone; e del resto  la commedia naufragò al grido di “manicomio, manicomio” e Pirandello dovette andarsene dalla porta di servizio, che però si tramutò, di lì a poco, in meritatissimo arco di trionfo in tutto il mondo.

Venerdì sera alla Pergola, sempre più indiscutibilmente  palcoscenico d’eccellenza nel panorama italiano e non solo, è sembrato di rivivere le emozioni, le tensioni, lo sconcerto e lo “straniamento” di quella sera lontana; tranne, per fortuna, che nelle reazioni del pubblico, che sono state di tutt’altro tipo.  Sin dalle prime battute, grazie anche all’eccellente idea di far risuonare nel silenzio di scena le dettagliate didascalie di Pirandello che danno istruzione sul modo di allestire lo scenario e dirigere gli attori, si è creato dapprima un clima di attesa, poi di curiosità, di sbigottimento e in alcuni momenti anche di “fastidio” (effetto desiderato e voluto dall’autore) che hanno portato un teatro davvero gremito in ogni ordine di posti a un lungo, caloroso e sincero applauso. Un successo pieno per Pirandello, ma anche per Lavia che ha saputo riproporne lo sconcertante e affascinante messaggio in tutta la sua complessità. Una grande ouverture  che lascia intravedere, ancora una volta, una stagione memorabile ed emozionante.

“Chi sono per lei i sei personaggi?”  - E’ stato chiesto a Lavia, protagonista (nel ruolo del padre )  e regista dello spettacolo  -  “Non lo so. Potrebbero anche essere degli imbroglioni, chissà. Questo è un testo filosofico. Ci si domanda: cos’è la messa in scena? E’ possibile che il teatro, anzi il mondo del teatro possa mettere in scena il testo di un autore? No, non è possibile. L’unico modo, allora, per cui il teatro possa fare il teatro è che si corrompa all’interno del corpo di un attore. La grande contrapposizione che il testo impone è tra la realtà e la verità. Nella realtà può accadere che si metta in scena un personaggio. Nella verità no. La messa in scena rinuncia totalmente a una verità assoluta per entrare in una verità maldestra.”

E’ esattamente la “chiave di lettura” che il grande attore - regista ha seguito per il suo allestimento inaugurato ieri a Firenze, e che non si limita a riprendere, come di solito accade, l’ultima delle quattro edizioni del testo, quella del 1921, ma  esattamente come fece il suo maestro Orazio Costa per lo spettacolo del 1948 con cui il teatro fiorentino alzò il sipario dopo la notte della guerra,  innesta alcune scene della prima contestatissima del 1921, in alcuni punti diversa da quella definitiva.  Il conflitto tra una “realtà” che spesso si rivela un qualcosa di inconsistente perché in continua evoluzione, e una “verità” che ciascuno porta dentro di sé serrata come uno scrigno sono le linee portanti di una interpretazione che va diritto al cuore dell’indagine pirandelliana, sempre sospesa tra un arrovellarsi della ragione che può sembrare sterile e una sofferenza viva e lancinante, che investe il significato stesso dell’esistenza, dell’essere “personaggio” ancor più che persona. Lavia è riuscito non solo a tenere perfettamente in scena i ben 21 interpreti richiesti dal copione, che si sono sempre mossi  in perfetta sintonia senza forzature né sbavature, ma anche a rendere mirabilmente questo duplice aspetto nel personaggio del padre. Un individuo che suscita ora repulsione, quando rivela nelle sue miserie e nel suo egoismo ammantato di nobiltà tutta la sua laida ipocrisia borghese, ora compassione quando sembra sinceramente schiacciato dal peso del rimorso; senza che però si riesca – secondo la migliore “ricetta” pirandelliana – a capire quale sia la vera anima di un personaggio che Lavia riesce a evocare ora come una sorta di spettro, ora invece come sin troppo terreno e “carnale”.  E sua figlia Lucia Lavia (figlia d’arte, davvero!) è stata una figliastra del tutto pirandelliana: è probabile che lo stesso drammaturgo non avrebbe qui trovato nessuna distonia tra personaggio e attore. Ora forza della natura, eccessiva, ribelle e disperata, ora  implacabile accusatrice del “padre” (che poi suo padre non è) che stava per “comprarla” in uno squallido bordello travestito da atelier, Lucia è riuscita a tenere altissima la “tensione” del personaggio senza mai essere sopra le righe.


Rosy Bonfiglio è stata una “madre” dolente e tutta chiusa nel suo ruolo, anche lei come da copione, ma con una grande forza suggestiva, soprattutto in quell’urlo muto che emette quando scopre la figlia che sta per essere sedotta dal “padre”, un grido che nella mimica ricordava straordinariamente il grande quadro di Edvard Munk;  il direttore capocomico di Michele Demaria era bizzoso ed egocentrico come si conviene alla parte, mentre anche il “figlio” di Andrea Macaluso era un’ottima caratterizzazione di un personaggio sofferente e tenebroso, chiuso nella sua ostinato rancore.  Ma tutti gli interpreti  sono stati davvero all’altezza di un grande spettacolo che ha saputo tra l’altro anche alleggerire la notevole “tensione” drammatica con alcuni momenti più leggeri e alcuni spunti comici; anche questo del resto rispettando pienamente la concezione del “grottesco” pirandelliano, in cui anche la tragedia più truce presenta un lato comico e viceversa.   Perfettamente calibrati e intonati anche le scene di Alessandro Camera , i costumi di Andrea Viotti e le musiche di Giordano Corapi.  Spettacolo assolutamente da non perdere e decisamente da ricordare.

 

Repliche fino a domenica 2 novembre (con pausa mercoledì 29 ottobre). Orario ore 20,45; domenica 15,45. 

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