Franz Joseph Haydn e Pietro Mascagni

Opera di Firenze: un dittico tra l’ Etna e il Danubio

Cavalleria Rusticana, opera prima e per certa parte della critica, con ottusa miopia, anche unica creazione artistica valida di Mascagni...

di Domenico Del Nero

Opera di Firenze: un dittico tra l’ Etna e il Danubio

 Franz Joseph Haydn e Pietro Mascagni: compositori lontani nel tempo e nello stile, uniti all’Opera di Firenze in un singolare dittico che prende il via giovedì 23 ottobre sino a  domenica 2 novembre, per un totale di cinque recite. Sulle musiche del raffinato ed elegante musicista Viennese, autore tra l’altro del bellissimo inno imperiale asburgico, Francesco Nappa ha creato la coreografia, la scena e i costumi di Luce nel tempo, una nuova creazione eseguita dagli artisti di MaggioDanza  nella prima parte della serata.  Luce nel tempo muove i suoi passi sulle note della Sinfonia in fa minore Hob. 1:49 La Passione ( Adagio / Allegro di molto /Menuet / ) e della  Sinfonia in sol maggiore Hob. 1:94  ( mit dem Paukenschlag: Andante); l’orchestra del maggio musicale fiorentino è diretta da Giampaolo Bisanti.

“La luce occupa da sempre uno spazio importante nelle mie coreografie. Che sia naturale o artificiale, si tratta di un universo che mi affascina, dichiara Nappa che aggiunge: “L’oscurità e la cupidigia di alcuni brani sinfonici di Franz Joseph Haydn affiancano e abbracciano appieno questa visione, infondono sentimenti contrastanti. Quello che vorrei dipingere è la luce in quanto splendore,  piuttosto che intesa come visibile oscurità. Ogni movimento ha un sentimento  da trasmettere: gioia, malinconia, passione, turbamento, eccitazione, sono messe in scena e ognuna di esse è una crepa attraverso la quale far trasparire la luce. Attraverso i corpi e l’arte dei danzatori in fusione con l’armonia delle note di Haydn ho tessuto la mia opera, che e come uno spiraglio attraverso il quale far filtrare la luce.”

 Cavalleria Rusticana, opera prima e per certa parte della critica, con ottusa miopia, anche unica creazione artistica valida di  Mascagni (per quanto non sia mancato chi abbia messo in discussione anche questa) è sicuramente un titolo di grande richiamo e popolarità. Considerata, a torto o a ragione, l’opera che ha dato il via al  “verismo Musicale” e alla cosiddetta “Giovane scuola”, si può dire che molto di più delle pur straordinarie opere narrative del grande Giovanni Verga ha dato un contributo decisivo alla diffusione del “verismo italiano” nel mondo, pur con quanto di aleatorio e discutibile c’è in questa come in tante altre “etichette”. Opera di grande fascino, robusta ispirazione, ricca vena melodica, pur con alcuni limiti e difetti è sicuramente uno dei grandi capolavori di fine ‘800 e un duro banco di prova  per i cantanti.  E’spesso abbinata all’opera di Ruggero Leoncavallo I Pagliacci  (1892) anche se tale “accoppiata vincente” non è particolarmente di casa a Firenze.

 “Ha rasato il viso come un seminarista e la statura alta e dinoccolata dà l’immagine di un ragazzo che non abbia ancora finito di crescere”. Così Eugenio Cecchi descriveva  Mascagni alla vigilia della prima di Cavalleria,  (1890) evento destinato a creare un mito intorno al giovane compositore che sembrava trionfalmente aprire la strada al dopo Verdi e, secondo alcuni critici tedeschi, proporsi addirittura come l’anti-Wagner.

 Nel 1889 infatti la Casa Musicale Sonzogno, uno dei grandi editori di musica italiani, bandì  un concorso per un’opera in un atto il cui  vincitore avrebbe tra l’altro avuto l’onore di una rappresentazione in un grande teatro italiano. A vincere il concorso fu un giovane e sconosciuto musicista toscano, Pietro Mascagni  ( 1863-1945) che presentò appunto un’opera dal titolo Cavalleria Rusticana, tratta dal dramma di Verga adattato da due librettisti amici del compositore. Fu un trionfo che scosse l’intero mondo musicale non solo italiano, ma addirittura europeo: Mascagni conquistò un consenso incredibile, sia tra il pubblico che tra la critica: alcuni critici videro addirittura in lui l’anti Wagner, colui che aveva trovato il modo di rilanciare la solare e mediterranea “ricetta” del melodramma italiano da contrapporre a quello tedesco.

 Un po’ di attenzione alle date  aiuta a capire tanto entusiasmo. Cavalleria Rusticana (il melodramma) viene rappresentata nel 1890; esattamente dieci anni prima era morto Wagner; nel 1887, era stato rappresentato l’Otello di Verdi; Puccini aveva già esordito, ma per il suo primo trionfo, Manon Lescaut, bisognerà attendere il 1893. Dei due “numi tutelari” del teatro musicale europeo, uno era morto (Wagner) e comunque ancora molto contestato; l’altro, Verdi, era ormai alla fine della sua lunga parabola creativa, dove peraltro dette probabilmente il meglio di sé. Bisogna considerare che Verdi e Wagner avevano due vere e proprie “tifoserie”, che non coincidevano assolutamente con i propri paesi d’origine: c’erano accaniti wagneriani in Italia e verdiani sfegatati oltralpe. Anzi, proprio in Italia Arrigo Boito aveva cercato con il suo capolavoro Mefistofele (1868/1875) di trovare una sorta di “conciliazione” tra i due stili, anticipando per molti aspetti Mascagni e Puccini: trovare un soggetto che avesse un’alta dignità letteraria e potenziare le funzioni dell’orchestra. Il melodramma italiano infatti era basato soprattutto sul canto, e in particolar modo sul c.d. belcanto  (termine, per la verità, dal significato assai ampio e diverso da periodo a periodo ) a base strofica. Le opere di Wagner invece erano caratterizzate dalla “melodia infinita” ovvero da un flusso musicale continuo in cui l’orchestra era la vera protagonista e il canto, pur rimanendo importante, era però assai meno d’effetto rispetto all’opera italiana. (sintetizzo al massimo questioni assai più complesse).

Ebbene; si può dire che Mascagni  trovò (non per primo, ma nella forma più efficace e popolare) la “quadratura del cerchio”;  un’opera dove la parte strumentale, grazie a un’orchestrazione robusta,  all’uso di motivi conduttori e caratterizzanti e a un forte senso del “colore”, avesse  peso pari alla parte vocale. Il “ canto verista”, caratterizzato da uno stile canoro rovente ed irrequieto, con repentine impennate verso l’acuto, ha cercato di rappresentare, nell’immediatezza, la disperazione e la gioia, i forti sentimenti, attinti dalla vita popolare e dalle passioni quotidiane. Nello stesso tempo però esso fu (ed è in parte lo è ancora)  accusato di avere “rovinato” l’autentica tradizione del canto italiano, per la sua tendenza verso l’urlo.

 Ma cos’è esattamente un’opera verista? Secondo alcuni, in realtà non esiste o al massimo è basata sul soggetto, che ha le stesse caratteristiche del verismo letterario: predilezioni per i drammi di vita “quotidiana”, tinte forti, attrazione verso gli strati più bassi della società. Ma tutto questo è vero sino a un certo punto; se è vero che Verga, per Cavalleria, si basò  su una vicenda realmente accaduta a Vizzini (in provincia di Catania, dove si mostrano ancora i luoghi in cui avvennero i fatti) e se la successiva opera verista, I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (1892) sembra si basasse su un fattaccio di cronaca nera di cui fu giudice il padre del compositore (ma la notizia è dubbia), romanzieri come Capuana e De Roberto non sdegnarono classi alte e soggetti storici; così come l’altro grande compositore verista, Umberto Giordano (1867 – 1948), dette i suoi capolavori su drammi storici e persino fantastici . Non è dunque il soggetto che fa il verismo (o almeno non solo); comunque sia, Cavalleria Rusticana costituisce, a buon diritto, un vero e proprio modello del genere.

 L’edizione di Firenze, nell’allestimento curato dal regista Mario Pontiggia che ha già messo in scena tre edizioni diverse di Cavalleria, è basata su una vera e propria tragedia dell’ossessione:

“ In questa produzione nata per il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino 2008 come parte di un trittico popolare, con Francesco Zito abbiamo cercato di focalizzare l’attenzione sui personaggi e non tanto sul contesto folk siciliano, sebbene l’opera faccia parte d’una forte corrente naturalistico-nazionale che cercò il recupero di temi popolari e di personaggi allora dimenticati dalla scena lirica europea “ dichiara Pontiggia, per il quale la vera tragedia, vera e intensa, è soprattutto quella di Santuzza:  “Sebbene il triangolo Santuzza, Lola, Lucia sia un triangolo matriarcale, i loro pregiudizi sono quelli propri di una società maschilista. E sebbene l’azione si svolga in una domenica di Pasqua, non ci sarà una resurrezione sociale per nessuno dei personaggi. Solo il sangue finale laverà la macchia del peccato, lasciando vuota la vita delle tre donne. E a questo punto, sia Verga che Mascagni, sembrano ritornare a quell’atavico universo greco presente in Sicilia.”

Per quanto riguarda il cast, dirige l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino il  maestro Giampaolo Bisanti, regia di Mario Pontiggia, scene e costumi di Francesco Zito, luci di Gianni Paolo Mirenda. Di grande importanza in quest’opera le parti corali, affidate al collaudato e formidabile coro del Maggio diretto da Lorenzo Fratini. Per gli interpreti, nel ruolo di Santuzza si alternano  Luciana D’Intino (23, 26, 30)   e Giovanna Casolla (28, 2); in quello di Turiddu Sergio Escobar (23, 26, 30, 2)  e Sung Kyu Park (28); a compar Alfio daranno voce Lucio Gallo (23, 26, 28) e Alberto Mastromarino (30, 2); a Mamma Lucia Cristina Melis (23, 26, 30, 2) e Tina D’Alessandro (28), a Lola Martina Belli (23, 26)  e Elena Traversi (28, 30, 2).

 

Firenze, teatro dell’Opera.  Date spettacoli:

 

Giovedì 23 ottobre, ore 20:30

Domenica 26 ottobre, ore 15:30

Martedì 28 ottobre, ore 20:30

Giovedì 30 ottobre, ore 20:30

Domenica 2 novembre, ore 20:30



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