La giornata politica vista da Vincenzo Pacifici

La sconfortante messa in scena del voto di fiducia sul jobs act. Tutti sconfitti (italiani per primi) tranne Renzi

di Vincenzo Pacifici

La sconfortante messa in scena del voto di fiducia sul jobs act. Tutti sconfitti (italiani per primi) tranne Renzi

Nella giornata presentata come storica e poi finita, al solito, “ a tarallucci e vino”  “Il Giornale” ha titolato “Così non cambierà il lavoro. Tanto rumore per nulla. La solita sceneggiata di sinistra: i senatori si scannano in Parlamento [non esiste un edificio del Parlamento ma le sedi distinte di  Camera e di Senato] per una riforma che non esiste. Il governo annuncia sfracelli, poi fa retromarcia. Nel testo l’abolizione dell’art. 18 non è mai citata” e poi la riforma è valutata “una scatola vuota”. Contemporaneamente il bambino ha presentato al vertice europeo di Milano il compito preparatogli a casa, che non prevedeva di  potesse  essere  sintetizzabile nella frase “Parturient montes, nascetur ridiculus mus”. Ha ottenuto l’assenso della maestrina tedesca, che non conosce evidentemente la lunghezza non tranquilla del percorso ancora da compiere e lungo il quale è stato mosso un misero passo.

 Il Pierino della Cascine non poteva lasciarsi sfuggire dal palco esibizionistico, fortemente voluto dai curatori della sua immagine, l’occasione per ostentare il suo irritante, parolaio carattere provocatore, come se dovesse attaccare il concorrente nei banchi del mercato di qualche piccolo Comune della sua Toscana.

“Del Jobs Act – ha osservato – si sta parlando al Senato, parlando si fa per dire visto che le reazioni di una parte dell’opposizione [non certo dell’educatissima FI] sono più sceneggiate che politica”. Evidentemente il boy scout ignora – e non avevamo il minimo dubbio – il significato del sostantivo ‘politica’. Perché è politica democratica quella di soffocare i dibattiti con l’arma del voto di fiducia? Perché è segno di educazione politica irridere chi è di contrario avviso? Perché dimostra senso di responsabilità il bambino con la sua prosopopea, ostentata nei confronti dei suoi compagni (?) di partito(?), che, pur dissenzienti, tranne due, si sono adeguati, quasi certamente per il noto gioco pirandelliano? Intanto continui ad assumere atteggiamenti da piacione, come ha fatto con le belle pallavoliste a Milano.   

Sintomi indiscutibili dello sconforto e della delusione di Berlusconi e dei suoi fedeli si ricavano dalle voci sintetizzate nel giudizio “Matteo non ha avuto coraggio” e nel ‘fondo’ di Sallusti. Il direttore del foglio di famiglia confessa di essere stato “quasi convinto” sulla riforma del lavoro ma è poi emerso il solito nodo del pifferaio, che, nel momento decisivo, “svicola, divaga e si fa risucchiare dal suo mondo, che tra l’altro lui detesta (ben ricambiato)”. Infine la prova palmare della delusione dell’illuso “La verità è che ieri, in un gioco della parti concordato in ogni dettaglio, la sinistra ha superato senza gravi danni uno scoglio non da poco. Si salvano il premier,  il governo, il partito, la legislatura e, scommetto, alla fine anche i sindacati, perché ognuno può sostenere di averle cantate agli altri. Il problema è che, al momento, gli unici a non salvarsi sono il mondo del lavoro e  quello dell’impresa, che restano ben inchiodati a riti e regole del secolo scorso”.

La lettura della nota è stata miracolosamente quasi convincente, salvo nelle righe finali, in cui Sallusti si è lasciato andare ad una immeritata tirata contro i leghisti per la loro opposizione autentica e non perbenista e svogliata, come quella di FI, fatta “contro l’interesse degli elettori”.

Il richiamo sarebbe necessario partisse dai sostenitori di FI, che si sono sentiti professare soddisfazione da certa Serracchiani per il mancato apporto di Berlusconi, considerato, secondo i maestri dei maestri dei  sedicenti “rottamatori” , impossessatisi del potere, con la formula “non richiesti e non graditi”, non valida nel momento in cui sarà possibile strumentalizzarlo nelle leggi elettorale e della soppressione del Senato.

La pagina di apertura de “il Giornale” fa gustare un “cucù” di straordinaria efficacia di Marcello Veneziani, dal titolo pregnante, fotografia di una realtà più volte e più volte denunziata “la resa dell’intelligenza”, dimostrata dall’estinzione della dialettica, della critica e della volontà di capire. “L’intelligenza – sostiene Veneziani – si atrofizza o finisce ai margini, nel pensiero laterale, confinata agli estremi della semiclandestinità” . E’ in questa area ristretta ma coraggiosa, povera di mezzi ma non certo di idee si possono nettamente individuare i responsabili per l’ambito politico il vetusto Berlusconi ed il rampante boy scout, affetti da incommensurabile autolatria.

Una osservazione sintetica ma eloquente: nel 1991 la Fininvest ha acquistato il 53,06% della casa editrice “Mondadori”, che nel 2002, nel 2011 e nel 2014 ha pubblicato opere firmate da Massimo D’Alema, Roberto Saviano e …. dal “sola”.

Ogni altra considerazione  sulla crisi della cultura e la “resa dell’intelligenza” è racchiusa in queste tre notizie.

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