Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un Viaggio nella Restaurazione?
Il capolavoro ritrovato di Rossini inaugura la stagione 2012 del Maggio Musicale Fiorentino
Sembra quasi che tutti – o quasi – parlando del Viaggio a Reims di Gioacchino Rossini, cantata scenica in un atto rappresentata in occasione della solenne incoronazione di Carlo X a re di Francia, (29 maggio 1825) si sentano in dovere di sottolineare che, in definitiva, si tratta di una parodia. Sì insomma, state tranquilli, non è poi una cosa seria; altrimenti, qualcuno potrebbe addebitare al Maggio Musicale una sorta di “gaffe”, di avere cioè proposto un’opera che in definitiva celebra l’Europa del Trono e dell’Altare, proprio appena si sono placati (almeno così si spera) i pifferi, i tamburi e le grancasse di quell’orgia di retorica che ha celebrato il 150° anniversario dell’Unità d’Italia: proprio quel sistema uscito dal Congresso di Vienna auspice il cancelliere austriaco Klemens von Metternich, a cui la Francia stanca della sanguinosa grandeur imperiale si era di buon grado accodata . Luigi XVIII, il grasso e astuto primo re della Restaurazione, aveva tralasciato la fastosa cerimonia di incoronazione che da secoli accompagnava l’ascesa di un sovrano al trono francese; ma suo fratello e successore il conte d’ Artois, re col nome di Carlo X, innamorato (forse sin troppo, per certi aspetti) del passato e della tradizione non avrebbe potuto né voluto rinunciarvi. E così, per l’ultima volta, sotto le volte della splendida cattedrale di Reims, si tenne una cerimonia simile a quella che, nel 987, aveva consacrato l’ascesa al trono di Ugo Capeto: l’Europa medievale e cristiana ebbe forse uno dei suoi ultimi sussulti, per poi dissolversi di lì a poco meno di un secolo e lasciare il posto a quella civilissima dei mercanti e dei mercati … e soprattutto dei finanzieri. Senza un Rossini – e neppure qualcosa di molto meno – che la celebri ….
Ma cosa c’entra il cigno di Pesaro con tutto ciò? Rossini, dopo aver raccolto sulla scena italiana tutti i trionfi che poteva ottenere, si sposta decisamente su un palcoscenico europeo. Del resto, anche da un punto di vista musicale la sua formazione aveva da sempre valicato i confini della penisola: non per nulla era stato da giovanissimo(non senza una punta di sarcasmo) chiamato “il tedeschino”, grazie alla sua conoscenza di autori come Haydn e Mozart. E nel corso della sua carriera si era sempre tenuto aggiornato sui progressi della sua musa: nel 1822, in occasione della rappresentazione della sua Zelmira a Vienna, volle incontrare Beethoven, con cui ebbe un colloquio rimasto famoso negli annali della storia della musica. Sempre nel dicembre dello stesso anno il grande pesarese era tornato nella capitale dell’impero asburgico invitato da Metternich in persona, in occasione del Congresso delle Nazioni, per comporvi quattro cantate, una delle quali dal significativo titolo La Santa Alleanza. Non che questo sia necessariamente indicativo delle preferenze politiche di un artista; del resto, non tutta sanno che l’opera patriottica italiana per eccellenza, il Nabucco, era graziosamente dedicato a una arciduchessa austriaca ….
Ma per tornare a Rossini, dopo una abortita avventura londinese il compositore italiano si vede offrire nel 1824 la direzione del prestigioso Theatre Italien, nientemeno che dal ministro della Real Casa in persona. Iniziava così l’ultimo periodo della produzione operistica rossiniana, che culminerà nel 1829 in quello straordinario capolavoro che è il Guillaume Tell (1829). Ma anche l’opera che lo inaugura, per l’appunto il Viaggio a Reims, può ben definirsi tale, con in più il fascino della riscoperta: scritta infatti in occasione dell’evento regale, ebbe in tutto quattro rappresentazioni: tre nel giugno 1825 e una, su richiesta del governo, in settembre. Fu un evento straordinario anche sul piano artistico, in quanto Rossini ebbe a disposizione le migliori voci del tempo, tra cui la celebre soprano Giuditta pasta e il tenore Domenico Donzelli; il libretto di Luigi Balocchi, poeta e direttore di scena del Theatre Italien, riuscì a inventare una vicenda esile (del resto, di cantata scenica e non di melodramma si tratta) ma a suo modo divertente e intrigata e soprattutto riuscì a inventare situazioni in cui il compositore potesse esprimere tutta la sua genialità creativa e gli interpreti la loro bravura (qualcuno, in modo forse un po’ azzardato ma in fondo efficace, ha paragonato il Viaggio a una “rivista”). Come racconta Giovanni Vitali nell’ottimo programma di sala, al trionfo di pubblico non fece riscontro il plauso personale del sovrano: “Sua Maestà partecipa con pazienza e, come Didone, sul rogo, alza gli occhi al cielo a cercare la luce delle lampade a gas; una pantomina che esprimeva molto bene la noia regale che egli provava” riporta infatti una cronaca dell’epoca. In seguito la partitura fu ritirata e, a parte un sua curiosa riedizione (non a opera dell’autore) in salsa quarantottarda, scomparve di circolazione; secondo una prassi abituale del tempo, Rossini ne riutilizzò parte delle musiche per la sua opera comica Le Comte Ory (1828). La partitura fu faticosamente rintracciata, anzi ricostruita a partire dal 1976 grazie a vari … viaggi tra Parigi, Roma, New York e Vienna, come racconta sempre nel programma di sala Philiph Gasset, che di quella avventura è stato uno dei protagonisti; nel 1984 Il viaggio a Reims è ritornato trionfalmente sulle scene e questa volta nessuno ha pensato di ritirarlo, anzi si è giustamente acclamato il ritorno di un capolavoro perduto e non il solito vecchio arnese ripescato per gusto antiquario.
Nella cittadina termale di Plombieres, nella locanda Il giglio d’oro (nome chiaramente allusivo allo stemma dei Borbone Francia) si ritrova custodita e assistita dalla locandiera Madama Cortese un gruppo di nobili e eccentrici viaggiatori che vorrebbe assistere all’incoronazione a Reims di Carlo X. Tutto è pronto per il “gran viaggio” (per la circostanza, non certo per la distanza!) ma quando l’eterogeneo gruppo di nobili europei che inganna l’attesa intessendo litigi intrighi e amorazzi è finalmente pronto arriva fulminea la disillusione: non ci sono più ne carrozze né cavalli disponibili, è giocoforza rinunciare; ma la nobile e delusa brigata si consola con un invito ai grandi festeggiamenti che si terranno a Parigi e nel frattempo, con una parte dei fondi raccolti dal “cassiere” della compagnia, Don Profondo, organizza un fastoso banchetto condito da brindisi e acclamazioni festose al nuovo sovrano. Tra i personaggi spicca una affascinante poetessa italiana, Corinna (ispirata al celebre personaggio di Madame de Stael) che improvvisa lieti auspici (che saranno purtroppo di lì a pochi anni smentiti) per il regno del nuovo sovrano, a cui si aggiungono quelli degli altri personaggi che concludono la scena.
Ironia, dunque? O addirittura parodia? Certo, Rossini anche nelle celebrazioni non è tipo da servo encomio e omaggia a modo suo. Ironia si può senz’altro vederla in alcuni dei personaggi , eloquente sin nel nome, come il tedesco barone di Trombonok (fanatico perla musica, specifica la didascalia) o anche nella contessa di Folleville; e capolavoro di arguzia e ironia è sicuramente l’aria di Don Profondo Medaglie incomparabili, in cui viene schizzato uno spiritoso e veloce profilo dei personaggi più importanti della brigata. La musica di Rossini, ora appassionata ora brillante soprattutto nei pezzi d’insieme (tra cui ne spicca il Gran Pezzo concertato a 14 voci ) rende sicuramente tutta una serie di situazioni e sfumature, ma l’insieme dell’opera presenta sicuramente un carattere celebrativo. Del resto, si può benissimo celebrare anche con arguzia e ironia: ne è una prova la pagina degli “inni Nazionali” dove ciascuno dei personaggi rende omaggio non solo al nuovo re di Francia ma anche alla “placida armonia che or regna tra le genti”; una scena dove alla commozione sincera si alternano guizzi ironici e anche (come nel caso dell’Inglese che annaspa su God save the king ) una leggera e bonaria presa di giro). Un insieme che può portare forse a un pizzico di nostalgia per una stagione dell’Europa che, comunque la si voglia giudicare, segnò comunque un momento di pace e per certi aspetti di indubbio progresso (come riconobbe tra l’altro uno storico e un politico d’eccezione, non certo “legittimista”, quale Henry Kissinger).
Sicuramente dunque il teatro del Maggio Musicale non potrebbe inaugurare il 2012 in modo migliore. L’edizione fiorentina, partita mercoledì 18 gennaio, viene replicata venerdì, sabato e domenica; ultima replica martedì 24.
La bacchetta è affidata a un giovanissimo direttore emergente: Daniele Rustioni, cui si affiancano il regista Marco Gandini, lo scenografo Italo Grassi e il costumista Maurizio Millenotti, per un allestimento ambientato in uno stabilimento termale, perfettamente ricostruito, fra vasche, bagni e accappatoi in una mescolanza di realismo e fantasia in un trionfo finale dell’ideale europeo (ma quale, però?). Promette bene anche il cast, con Bruno de Simone nella parte di Don Profondo (in alternativa con Marco Camastra, che recita il 21 e il 24), Auxiliadora Toledano nei panni della musa Corinne ( Ruth Rosique , 21, 24) ed Eva Mei Madama Cortese ( Donata d’Annunzio Lombardi, 21, 24).
Inserito da NewBalance547 il 15/11/2014 10:38:18
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