Cultura »

«Gaio vedere»

Diorami dostoevskiani, uno scenario di carta colorata

Come sia potuta affiorare nel genio del grande Russo la figurina del germanico governatore e modellista è, e lo si può credere senza troppa fatica, dato dai lunghi soggiorni nelle piccole e grandi capitali della allora Confederazione germanica...

di Piccolo da Chioggia

Diorami dostoevskiani, uno scenario di carta colorata

Disegni di Fëdor Dostoevskij

Era possibile, scorrendo alcune riviste, tedesche e francesi, dalla seconda metà dell’ottocento in poi, imbattersi in pagine finali dove facevano capolino dei disegni contrassegnati dall’esplicito segno delle forbici: sagome da ritagliare per ampliare il raggio d’interesse del foglio stampato anche agli appassionati del bricolage manuale, allora molto più di oggi diffuso. Si sa, ad esempio, come su riviste marittime germaniche vi fossero i primi cartamodelli da ritagliare per costruire in guisa di grazioso passatempo, senza il (troppo) impegno necessario per un vero veliero di legno in scala, dei vascelli completi con tanto di alberi a vele spiegate e marinaretti di equipaggio. Questi cartamodelli avevano gli elementi già stampati per ridurre il numero delle parti da incollare, ad esempio i tre alberi d’un clipper dalla bella prua affilata erano in realtà fogli a forma d’un curioso e sommario trapezio perché in unico insieme colle vele spiegate, in modo da non far passare troppo tempo al bravo lettore prima che veda il suo veliero di carta campeggiare sul tavolo, perfetto nella sua tridimensionalità come un modello di legno. Dal 1874 addirittura l’editoria tedesca, incoraggiata dal successo dei cartamodelli sulle riviste, proponeva libri in forma a leporello dai quali ritagliare e costruire vascelli sempre più dettagliati: con fumaioli, ruote a pale, eliche, vele spiegate e scialuppe di salvataggio. E, tanto per far notare quale fosse in quell’epoca felice della stampa la fedeltà dei lettori, si ha che un libretto con cartaveliero da costruire veniva ristampato ininterrottamente dal 1874 al 1934!

Il quesito di dove sia potuta nascere l’idea ai fantasiosi editori d’ottocento per questo strano mondo dove coraggiosi ufficiali delle marine civile e militare tedesca o bretone si avventurano nel montaggio di questi cartavelieri, plausibilmente di fronte agli occhi attentissimi dei figli che aspettano il momento di poter giocare col piccolo vascello, non trova facile risposta. Non trascuro nemmeno l’ipotesi, che per me è un fatto certo, che sicuramente vi è stato pure qualche lettore che ha incerato con i resti candela in un qualche modo lo scafo per renderlo impermeabile al fine di far navigare il cartaveliero, come si fa colle navicella di carta e però senza condividerne l’effimero destino d’una sola breve discesa lungo una canaletta d’acqua prima di afflosciarsi nel foglietto bagnato che scende la corrente. Da dove dunque può esser venuta l’idea? Arrischio una delle mie solite nebulose deduzioni e questa mi viene dalla lettura delle belle pagine di un grande scrittore quale è Mario Praz: nella sua “casa della vita” a Roma, l’Autore aveva, in una striscia di parete un po’ in penombra fra due porte, trovato del posto per appendere delle pagine incorniciate con raffigurati i soldati delle guerre napoleoniche nelle sgargianti livree di colori delle loro divise. Le pagine davano, scrive Praz, un “gaio vedere” grazie ai colori e al clima di epopea che esse ricordavano. Erano tratte da un libro ottocentesco stampato in cromolitografia, o forse già acquerellate dall’editore se di epoca immediatamente precedente. Si sa dalla selva fitta dei mondi dei collezionisti e aspiranti storici che un pittore berlinese, Richard Knoetel, si prese la briga lungo la seconda metà dell’ottocento prussiano di documentare con le sue tavole ad acquarello tutte le uniformi delle guerre napoleoniche, fridericiane e bismarckiane. Ne venne fuori un’opera documentaria ancora insuperata, un riuscito connubio di rigore storico e bellezza di immagini. Ora se le pagine con le figurine di soldati si possono facilmente immaginare a brillare dalle pagine di libri polverosi aperti sul tavolo, trovo in un rilievo estetico assai maggiore la grata circostanza di finire incorniciate in una piccola parete d’una casa divenuta museo per le splendide collezioni antiquarie di mobili ceramiche, quadri e libri del neoclassico! In quel grazioso “gaio vedere” è la causa, per quei soldatini, d’aver trovato una collocazione fra opere d’arte, e nelle pagine d’una bella letteratura, che nobilita per estensione anche i cartavelieri tedeschi di cui è tema in queste linee.

Che qualcuno abbia ritagliato i soldatini dalle loro tavole e ne abbia flesso la base in modo da farli stare eretti su di un tavolo è un passo quasi obbligato anche a chi proprio non è abituato ad usare la fantasia, ma il passo successivo e importante per la nostra storia deve averlo compiuto chi ha voluto immergere la figurina nel suo paesaggio di tempesta eroica, assemblando i ritagli di carta in casette diroccate, alberi, cannoni e, animando lo sfondo con un veliero in fuga con i suoi eroi sconfitti verso lande lontane. Da questi scenari di immaginazione plastica ai vascelli di carta delle riviste tedesche il passo si fa da sé, soprattutto avendo una rivista marittima dal numero di abbonati abbastanza cospicuo, in Amburgo o Stettino o Kiel, i quali abbonati possiamo figurarci in parte intenti a spiegare ai figli quali sono gli elementi della nave che solca i mari. Quanto alla possibile filosofia dei diorami in carta, con architetture, figurine, cavalli e bastimenti non vi è qui la necessità di approfondirla, un buon sunto di essa, è dato, ancorchè in forma implicita, dal Dostoevskij in alcune pagine del romanzo “I dèmoni” con il bonario Andrei von Lembke che per estraniarsi dagli intrighi rivoluzionari della moglie non più adolescente eppure scapestrata e dall’impossibilità di guarire i malanni atavici della burocrazia d’un impero, quello zarista, avviato al suo inesorabile tramonto si rifugia nella costruzione d’uno scenario di carta colorata dove lì, almeno, nulla lo affligga nel suo metodico compimento dei doveri e tutto possa procedere in ordine. È uno scenario da fanciulli ma composto con una cura davvero geniale: una stazione con treno e viaggiatori, un teatrino con la sua orchestra di musicanti, una chiesa riformata con i pii fedeli nel cortile esterno. Dello scenario non si riesce a intuirne tutta l’architettura se non ricorrendo a delle superficiali supposizioni: per quale motivo la stazione? Per fuggire almeno in sogno dall’ingrato ufficio di governatore? L’orchestra con i suoi dolci accordi deve forse coprire la musica distorta della lacerata condotta coniugale? Vi è rifugio nella pietà mistica fuori da nuove altre costrizioni? A quest’ultima supposizione il cortile esterno può in effetti dar qualche spunto. Sembra come un mondo che la fantasia del paziente modellista, che lo ha costruito in miniatura, immagini di riportare, in una sorta di puerile ma sincero atto di rigenerazione, alla sua età dell’oro. Dove tutto, anche la locomotiva, è di nuovo ingenuo e come riapprossimato alla propria benaugurale nascita.

Come sia potuta affiorare nel genio del grande Russo la figurina del germanico governatore e modellista è, e lo si può credere senza troppa fatica, dato dai lunghi soggiorni nelle piccole e grandi capitali della allora Confederazione germanica dove è più che possibile che Dostoevskij già allievo dell’Accademia di architettura in Pietroburgo, e per questo attento alle “costruzioni”, sia stato incuriosito e divertito proprio dalle riviste con i cartamodelli più vari ai quali avrà associato con studi in loco la psicologia adeguata dei modellisti. Ritratta poi in quella del povero von Lembke che non viene a capo del dramma e finisce in una casa di cura svizzera dalla quale non torna più in Russia. Del passato di aspirante architetto dello scrittore se ne hanno continue prove se si ha la avventurosa coincidenza di poter ammirare molte delle sue pagine manoscritte, costellate di schizzi e disegni che mostrano una mano felice ed esperta degli ordini e delle proporzioni. Ma, qui, termino e lascio al lettore di immergersi nell’ardua ed eccezionale lettura delle sue opere. 


Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.