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Alexander Rodchenko

Favola di samozveri, quadretti di auto-animali

Con semplice cartoncino bianco, tagliato e sagomato in figurine mai banali o rudimentali, innestate su scene dello stesso materiale con i giochi di luce e ombra nascono delle foto che sono veri

di Piccolo da Chioggia

Favola di samozveri, quadretti di auto-animali

I samozveri

Alexander Rodchenko, russo e bolscevico, e mirabolante fotografo del sempre simpatico Majakovski, fu grafico, pittore, modellista, architetto, scultore polimaterico, distinto scrittore di ricordi e di manifesti programmatici. Un costruttivista sopra ogni cosa e quindi legato di parentela ai futuristi italiani; dotato però della perseveranza ostinata, tenace, vigorosa di russi e ucraini, che lo distingue immediatamente e definitivamente da molti suoi confratelli d’avanguardia nella nostra penisola. In virtù anche del clima gelido che forza detta ostinazione a diventare un carattere innato. Sono sue le figurine dei samozveri per la favola incompiuta degli auto-animali. Questa è una favola scritta da un sodale della compagnia che aveva in Majakovski e Rodchenko i propagandisti principali, le cui illustrazioni sono gli splendidi quadretti di auto-animali, i samozveri appunto, e fanciulli dalle forme magistralmente stilizzate, costruiti in carta e cartoncino e fotografati da Rodchenko con una maestrìa tale da creare l’effetto della poesia più ingenua possibile. Bastano e avanzano due foto, visibili sulla rete come molte altre creazioni del Russo, la prima dove un gatto, con la schiena inarcata, vuole spaventare e allontanare un piccolo goffo importuno e una col fanciullo in groppa da glorioso conquistatore su di un elefante, per essere proiettati nel mondo della più delicata e viva fantasia. Con semplice cartoncino bianco, tagliato e sagomato in figurine mai banali o rudimentali, innestate su scene dello stesso materiale con i giochi di luce e ombra nascono delle foto che sono veri "tableaux vivant" di nuove creature. Le quali sembrano quasi divenire, nella loro livrea candida,

                    

                            i frammenti caduti di lontani mondi, di lontani lontani mondi

d'un poemetto astratto italiano degli anni dell'avanguardia. Il cui autore è Julius Evola, tanto per destar scandalo fra i nostalgici inconsolabili del classicismo tradizionalista e gli illusi che credono sempre che l’avanguardia stia sotto la cappa progressista. E' un divertente paradosso il fatto che queste piccole sculture "polimateriche" in carta, cartoncino e colla di amido, non siano molto ricordate, mentre editori di libri per fanciulli consegnano ai piccoli lettori opere di fattura banale quando non rudimentale per psicologia e realizzazione. Non sono tutti ciechi per fortuna. Anche nell'odierno trionfo editoriale della banalità, si possono qua e là spigolare ristampe di opere ingenue e destinate al fanciullo e al lettore modesto e non colto, ma che non per questo deve per forza essere trattato in modo grossolano e rudimentale. Cosa che, viceversa, si può fare, a volte con gustosissimi risultati, con certo pubblico "colto" che frequenta le mostre di arte moderna. Ciò detto, lanciamo a qualche editore in vena di novità l'idea: a Mosca vi è l'archivio Rodchenko, perché non vedere se sia possibile di stampare l'intera collezione di foto dei quadretti di samozveri con i loro fanciulli unita alla favola incompiuta? Unendo eventualmente istruzioni per costruire anche qui, sotto il nostro sole, questi auto-animali ed inventarci qualche nuova favola.

Poscritto

Non sia che sotto il nostro dolce sole e all’ombra acquietante dei nostri picchi alpini, latini samozveri di carta mai abbiano calcato i loro passi sui tavoli irti di matite e fogli. Svogliatamente ritagliati nelle pause dello studio. Il nostro magnifico Giò Ponti ha disegnato e fatto costruire in ceramica e in acciaio satinato bellissime figurine di animali che, guarda caso, erano perfettamente ritagliabili e modellabili con due dita da un foglio di carta. Disegnare per mani abili era uno dei suoi motti più che rinascimentali. Sono, questi samozveri lombardi, un’ aquila vanitosa che sventaglia le ali, un toro infuriato pure senza torero e drappo vermiglio, un cigno solitario. Plausibilmente in attesa di cantare degli exultet agli Iperborei. Li ho ricostruiti in carta e sono assai belli. Ma ancora non mi è balenata una favola da raccontare con questi esigenti attori. Aspiranti favolieri inviino allora i loro elaborati a Totalità. Non deve essere assente la poesia e gli scenari ideati devono essere facili a ricostruirsi in carta.

Poscritto secondo

I russi pronunciano il plurale che in lor favella indica gli auto-animali così: samosvieri. La seconda esse è quella di rosa. Il suono di questo termine non ci risulta complicato. Esso è facilmente assimilabile anche da noi. Se si rammenta la traballante isvoscia dell’articolo precedente su Pietroburgo, abbiamo allora una simpatica coppia di possibili neologismi tratti dal russo, quello del tempo zarista e quello della tempesta rivoluzionaria, da aggiungere alla nostra lingua. E ogni termine aggiunto indica in effetti una nuova idea, una precisa immagine. Una nuova parola non entra tuttavia nell’uso comune se prima non viene nobilitata da una poesia o da una favola. Forme di espressione che non restino confinate nel ristretto salottino dei bibliofili e dei professori ma che si diffondano ovunque. Ricordiamo ad esempio il famoso “trinariciuto” inventato da Guareschi e figurato nemmeno in prose ma semplicemente in gustosissime vignette dove l’affumicamento cerebrale causato dall’ideologia comunista prendeva i contorni del pupazzo a tre narici ben allargate. Forse nella disperata impresa di dar aria ad un cervello soffocato. Non è facile dunque diffondere isvoscia e samosviero. Una curiosità devo qui far notare: a Chioggia i vieri sono dei piccoli vivai, in pratica delle gabbie a rete dalla base quadrata o esagonale e appesi a pali. Entro di essi si mettono gli spiantani, una sorta di granchi che colà si allevano fino a che non mutano nelle tenere moleche che son i granchi stessi che nella crescita si spogliarono della corazza per terminare la loro parabola in una bella padella impanati e fritti. Un’arte di allevare che pare essere unica al mondo. Gaia la circostanza che gli autoanimali di Rodchenko si appoggino musicalmente ad un termine che da noi indica le gabbie della pesca chioggiotta. Ma ecco l’adagio riflessivo: auto-animali senza più autonomia, scagliati sulle spiagge desolate e le rocce taglienti dalle onde della storia, delle sue tempeste,  dai vortici del nostro fato individuale non abbiamo anche noi da indossare nella grande recita (ora divenuta un gran disegno animato) il costume dei samosvieri? È un costume simpatico calcato però come una gabbia sulle nostre spalle dolenti.

Un esempio mi viene in mente di possibile chiacchera dove fa capolino il primo dei due simpatici neologismi. Scenetta fiorentina, un omaggio ad Alessandro Pavolini che ci ha donato una nuova parola. Nell’aria dell’Aprile ancora fresco e sotto quel miracoloso alto cielo spirituale che mandava in visibilio il poeta Campana, un buontempone dice ad un suo compagno di bevute: …arrivò iersera coll’isvoscia, veniva dalla ‘chiesina russa, lo sa’ anche the, chella colle su ‘cupoline ‘colorathe vicin’a piazza ‘ndipendenza. Tu l’avessi vista che bellina ch’ era… ne parlan tutti qui alle ’Cure… e poero ‘chavallino a tira’n salita anche la su’zia che un la molla mai… alludevano ad una bella fanciulla russa, perdutamente romantica e perciò sorvegliata a vista dalla zia. Quest’ultima, pare, golosa del bortsch la zuppa di rape tipica della cucina russa… scenetta da ambientare fra il 1890 e il 1910, ma pure oggi immaginando la bella come una delle numerose turiste russe che girano per la penisola, basta adattare un po’ le circostanze… qualche brava lettrice o volonteroso lettore si inventi allora un uso per samosviero, in favola, vignetta, poesia, filastrocca. In Totalità tutto può esserci, anche una piccola dilettevole officina della lingua…

 

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