Una finestra sulla storia

Trame rosse in casa Dc. Quando i cattolici erano popolari

L’avida sete di socialismo di buona parte dell’establishment Dc degli anni Quaranta e Cinquanta non è certo la stessa di chi oggi...

di Ivan Buttignon

Trame rosse in casa Dc. Quando i cattolici erano popolari

Il programma della Dc, pronto il 25 luglio 1943, viene incontro al prevedibile movimento dal basso. Prevede, tanto per fare un esempio, l’“immissione progressiva, con titolo giuridico, dei lavoratori nel processo produttivo delle imprese a tipo capitalistico, mediante compartecipazione agli utili, al capitale e alla gestione”[1].

I cattolici, esattamente come il proletariato, sono stati tenuti ai margini dello Stato liberale, e contro di esso nutrono propositi di rivalsa. Non fanno mistero di volerlo acquisire allo “spirito cristiano”. La Dc si rivolge a un mondo contadino, piccolo-borghese e in certa parte anche operaio, tutte categorie che chiedono un po’ di giustizia, e che credono di soddisfare i loro desiderata nei nobili principi del solidarismo cristiano, che certo esclude il sovvertimento globale della società borghese, ma ne condanna le deformazioni.

D’altra parte, il Togliatti nella versione del tempo, quello della “democrazia progressiva” tanto per intenderci, s’ispira, almeno a parole, a un riformismo che ricorda proprio quello cattolico[2], per ammissione dello stesso leader comunista. Sul programma democristiano affermerà che secondo lui rappresentava “un programma molto avanzato nella stessa direzione che era la nostra”.

Togliatti guarda a una nuova società frutto dell’alleanza tra cattolici e comunisti, le autentiche forze nuove del Paese. Ecco allora che il capo comunista rispetta la religione cattolica e lancia a De Gasperi un “accordo politico concreto [...] allo scopo di creare la base di un programma di lotta contro le forze reazionarie che già una volta hanno portato l'Italia alla rovina e sulla base di un programma di un profondo rinnovamento politico e sociale”[3].

Da parte democristiana l’asse cattocomunista non dispiace affatto[4], tanto che il leader democristiano nel suo discorso alla prima assemblea dei cattolici romani dopo la liberazione della capitale, tenuta al teatro Brancaccio il 24 luglio 1944, sancisce le convergenze[5]. È in questa occasione che De Gasperi parla della sua formazione come di “partito di riforme, meglio di rivoluzione”[6], indicando Stalin come “genio” ed glorificando le politiche della Russia sovietica, quel “paese ove nessuno vive senza lavorare”, e definendo “simpatica” e “suggestiva” la “tendenza universalistica del comunismo russo”.

Il leader cattolico è convinto, e lo spiega chiaramente, che Togliatti sappia evitare le controindicazioni del sistema in Italia, come l’eccesso di statalismo e polizia, auspicando quindi alla convergenza, in Italia, dei discepoli di Cristo e di Marx, i due “proletari”. Ecco il discorso di De Gasperi: “Se comunismo si intende nel senso generico che i beni della terra devono essere comunicati a tutti [...] o che a tutti, secondo la formula americana, sia dato eguale accesso alla proprietà, questo comunismo è anche nostro. In quanto alle applicazioni pratiche ci sarebbe da sperare che la presenza di Togliatti in Italia potrebbe in ogni caso servire a evitare gli esperimenti negativi e gli errori del sistema russo [...]. Collega Togliatti, abbiamo apprezzato, come meritava, la tua dichiarazione di rispetto per la fede cattolica della maggioranza degli italiani [...]. La tolleranza mutua nelle forme della civile convivenza che voi proponete e che noi volentieri accettiamo, costituisce in confronto al passato un notevole progresso che potrà farci incontrare più spesso lungo l'aspro cammino che dovremo percorrere per il riscatto del popolo italiano [...]. Un altro proletario, anch'Egli israelita come Marx, duemila anni fa [...] fondò l'internazionale basata sulla eguaglianza, sulla fraternità universale, sulla paternità di Dio [...].”[7]

Più tardi, nel 1950, le correnti di sinistra si fanno sentire. I dossettiani non applaudono il presidente del Consiglio quando presenta il governo alla Camera. La Pira prima e a catena Fanfani, Costa e Malvestiti aprono un acceso dibattito criticando con toni aspri e accesi il governo. Gronchi, già noto per le sue posizioni di diffidenza nei confronti dell’atlantismo più serrato[8], pubblica sul suo giornale “La libertà” nientemeno che un’intervista con Togliatti. La direzione della Dc definisce il giornale gronchiano un “giornale di opposizione”[9]. De Gasperi sarà quindi costretto a trattare con “Cronache sociali”; l’accordo maggioranza-sinistra viene raggiunto al Consiglio nazionale tra il 16 e il 20 aprile 1950[10].

Nel ’53 la sinistra democristiana torna all’attacco. Franco Maria Malfatti, alla giuda del movimento giovanile democristiano, nel Comitato nazionale riunito ad Arezzo il 3-4 ottobre analizza il voto giovanile come un voto di sinistra. Così si esprime: “I giovani si sono espressi in modo autonomo rispetto agli anziani, manifestando l’esistenza nel paese di una dimensione giovanile; questa si è poi espressa nella sua grande maggioranza a sinistra, sia per i voti andati alla sinistra […] sia per quelli di cui ha usufruito il Msi in particolare nelle regioni settentrionali dove questo partito ha una spiccata caratterizzazione di sinistra, di socialismo nazionale. Il voto dei giovani è stato essenzialmente spontaneo: […] dai risultati elettorali risulta che nelle zone dove la Federazione giovanile comunista è particolarmente efficiente, come per esempio in Piemonte, in Lombarda, in Liguria, i giovani hanno votato proporzionalmente meno per il Pci degli anziani; in zone dove la Fgci ha una efficienza molto scarsa e praticamente non esiste, come per esempio nel Friuli Venezia Giulia, Puglie, Lucania, accade esattamente il contrario”[11].

L’avida sete di socialismo di buona parte dell’establishment Dc degli anni Quaranta e Cinquanta non è certo la stessa di chi oggi, agitando lo spauracchio socialista della coalizione renziana, vira a destra.

E neppure il seguito elettorale è il medesimo. L’erede del glorioso partitone che nel 1948 raggiunse il 48,5 percento dei suffragi è stimato dai sondaggi tra l’1,1 e l’1,6%.

Auguri Pierferdy.



[1] F. Magri,La Democrazia cristiana in Italia, vol. I, Milano, 1954-55, p. 224.

[2] P. Togliatti, Il Partito comunista e il nuovo Stato, in Fascismo e antifascismo. Lezioni e testimonianze, Feltrinelli, Milano, 1963, vol. II, p. 642.

[3] Lettera a De Gasperi del settembre 1944, in M. De Maggi, Cronache senza regime. Vicende italiane dal 1944 al 1952, Cappelli, Rocca San Casciano, 1953, pp. 41-42.

[4] P. Togliatti, Il Partito comunista e il nuovo Stato, in Fascismo e antifascismo. Lezioni e testimonianze, cit., p. 642.

[5] “Il Popolo”, 25 luglio 1944.

[6] R. Colapietra, La lotta politica in Italia dalla liberazione di Roma alla Costituente, Patron, Bologna, 1969, p. 79.

[7] Ivi.

[8] G. Galli,Storia della Dc, Laterza, Roma-Bari, 1978, p. 134.

[9] “Il Popolo”, 26 febbraio 1950.

[10] G. Galli, Storia della Dc, cit., p. 131.

[11] F. Boiardi, Storia delle dottrine politiche, CEI, Milano, 1974, pp. 200-201.

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