La finestra sulla storia

Compagni che sbagliano: Le brigate rosse erano anche un po' nere

Secondo gli ultimi documenti Feltrinelli prima di morire ebbe contatti con Fumagalli in nome di una comune azione eversiva

di Ivan Buttignon

Compagni che sbagliano: Le brigate rosse erano anche un po' nere

L’establishment comunista lo sapeva. L’ha sempre saputo, fin dall’inizio. Le Brigate Rosse sono rosse e punto. Eppure, il Partito Comunista Italiano parlava di “sedicenti” Brigate Rosse[1], di terroristi neri che fingevano di essere marxisti per due motivi essenziali e complementari: destabilizzare (per stabilizzare?) lo Stato e contestualmente dare la colpa ai comunisti.

Quelle “canaglie nere”, che poi anche la base del Pci farà finta di scoprire essere rosse, “compagni che sbagliano” insomma, non hanno segreti per i vertici comunisti.

Oltre a essere consapevoli che i ritratti delle BR appartengono all’”album di famiglia della sinistra italiana”, come scrive Rossana Rossanda, i capi comunisti conoscono perfettamente le dinamiche del terrorismo di sinistra. Insomma, a Botteghe Oscure è tutto chiaro.

Tipico dell’imponente struttura comunista italiana è definire “oggettivamente fascista” qualsiasi movimento, partitello, gruppuscolo o, più in generale, organizzazione che si staglia a sinistra del partitone rosso. “Gratta gratta il radicale che ci trovi il capitale”, sentenzia, ironizzando, Palmiro Togliatti, che inaugura una linea politica di esclusione categorica e aggressivo ostracismo di tutti i tentativi di competizione politica ai danni del suo partito. Linea politica che sopravvive fino alla consapevolezza berlingueriana dei già citati “compagni che sbagliano”.

Ma precedentemente alla linea di consapevolezza politica proposta e lanciata da Enrico Berlinguer, l’unica tesi ammessa negli ambienti comunisti italiani è che i brigatisti rossi siano una riedizione di quelli neri, quindi “fascisti camuffati”[2]. Ciò sia a garanzia dell’immagine del comunismo italiano, che non può certo essere infangato dall’infamante attività di un gruppo di esaltati che si dicono marxisti, sia per depotenziare la struttura terroristica rossa. In altre parole, tacciandole di fascismo, il Pci cerca di togliere l’acqua di sinistra in cui nuotano le Brigate Rosse.

Non vanno tuttavia sottovalutati i meriti del Pci, che negli anni di piombo evita chirurgicamente di cavalcare le spinte del Sessantotto (se eccettuiamo la minoranza ingraiana, che si autoesclude in questo modo dai giochi di potere interni ed esterni al partito) e che anzi si impone come un “partito dell’ordine, un argine contro la disgregazione del sistema”[3].

Parecchio s’è scritto sulle origini del partito armato in Italia, che pare ricondurre alla celebre formula “guerra rivoluzionaria” ogni sua strategia e ogni sua attività. Il rapporto tra il movimento del Sessantotto e il terrorismo rosso è complicato da definire ma tutto sommato evidente. Il primo affonda le radici nel terreno libertario e nonviolento, contrariamente al secondo[4]. Ma è proprio il Sessantotto a rappresentare il movimento politico che benedice l’inizio di quella lunga fase di radicalizzazione della politica che finisce poi per delineare i connotati del profilo rivoluzionario terroristico degli anni a venire[5].

Richard Drake, che in The Revolutionary Mystique and Terrorism in Contemporary Italy si occupa prevalentemente degli intrecci tra l’operaismo italiano e il terrorismo di sinistra, ben spiega che “I movimenti rivoluzionari sono sempre preceduti e preparati dall’elaborazione teorica. Storicamente gli intellettuali contribuiscono a creare lo stato mentale adatto agli sviluppi della violenza, ed è dall’universo di pensiero dell’utopismo radicale che il terrorismo italiano ha tratto origine. [...] Il terrore in sé non fu il risultato di astrazioni teoriche. Le astrazioni possono far presagire una prolungata campagna di violenza rivoluzionaria solo a patto che la società abbia avuto il modo di creare una audience positivamente ricettiva”[6].

Se le stragi operate dal terrorismo rosso sono note, meno noto è che, come osserva Fumian “uno degli anelli strategici più importanti alle origini del terrorismo italiano ed europeo è incarnato da Giangiacomo Feltrinelli e dalla sua azione cospirativa e rivoluzionaria. L’immagine caricaturale che spesso se ne è data, del miliardario-rivoluzionario ossessionato dal pericolo di un golpe fascista, ideologicamente rudimentale, sgangherato resuscitatore della resistenza partigiana e malaccorto attentatore, non è solo falsa, ma risulta soprattutto utile a confondere le tracce - interne e internazionali - che conducono alla nascita del terrorismo nostrano, in particolare a uno dei suoi assi fondamentali, che lega i percorsi dei gruppi di azione partigiana a Potere Operaio (e poi Autonomia Operaia) e alle Brigate Rosse”[7].

A ciò va aggiunto che proprio Feltrinelli, attraverso la sua carica sessantottina, è il primo in Italia “a propugnare il passaggio immediato alla ‘critica delle armi’, ma concepisce la lotta armata nella prospettiva d’una strategia globale comunista e antimperialista”[8].

Marco Iacona, nel suo 1968. Le origini della contestazioni globale, spiega che sul finire degli anni Sessanta “i giovani soffrono per le condizioni delle università, ma certi obiettivi ‘a lungo termine’ collocano le loro istanze al di là di un normale assetto democratico”[9].

Ancora, come osserva Giano Accame, le ondate terroristiche figlie del Sessantotto  (vale a dire quelle di “seconda generazione”, più consapevolmente succubi della spinta sessantottina) sono più pronte ad uccidere, ma anche a tradire e denunciare i compagni, perché, dopo aver disconosciuto questa continuità di valori morali, si formano fuori casa, nella socializzazione violenta degli scontri di piazza, nel mito libertario della sessualità e non solo, in un tessuto spesso infiltrato dalla cultura della droga e da pulsioni involontariamente nichiliste[10].

Ecco quindi altri importanti tasselli che compongono il mosaico dei rapporti tra il Sessantotto e la guerra rivoluzionaria per il comunismo. Ma c’è di più. Nell’occhio del ciclone torna Feltrinelli, che secondo recenti indagini rappresenterebbe l’anello di congiunzione tra il terrorismo rosso e quello nero.

Da una lettura dei documenti degli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi e sul terrorismo affiorano ripetutamente tracce di possibili rapporti tra il miliardario rivoluzionario e il Mar di Fumagalli.

Giovanni Arcai, il giudice di Brescia che per lungo tempo ha indagato sul Mar di Fumagalli, spiega che la sera prima della morte di Feltrinelli, questi si era incontrato con Fumagalli “in un certo albergo perché su certe cose operavano insieme”[11].

Ancora, il generale Delfino, nelle sue memorie, rivela che l’esplosivo utilizzato da Feltrinelli per far saltare il traliccio di Segrate è stato confezionato in pacchetti di sigarette identici a quelli trovati nell’ufficio di fronte, vale a dire quello di Fumagalli.

Sempre stando ad Arcai e Delfino, ma anche ai giudici Mastelloni e Salvini che si basano su di un rapporto dei Carabinieri di Napoli, esisterebbe una struttura che presiederebbe il terrorismo di opposto colore. Questa “tecnostruttura”, molto probabilmente, ha la sua sede nell’Hyperion, la scuola di lingue di Parigi, come indica lo stesso Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate Rosse.

Lì le frange armate rosse e nere vengono addestrate e accuratamente indirizzate.

Con ciò, il cerchio si chiude e torniamo al terrorismo nero.



[1] G. Fasanella, C. Sestieri, G. Pellegrino, Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro, Einaudi, Torino, 2000, p. 122.

[2] Ivi.

[3] Ivi.

[4] D. Protti, Cronache di “nuova sinistra”. Dal Psiup a Democrazia Proletaria, Gammalibri, Milano, 1979, pp. 11-18.

[5] C. Fumian, La storia, in P. Calogero, C. Fumian, M. Sartori, Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato, Laterza, Roma-Bari, 2010, pp. 190-191.

[6] R. Drake, The Revolutionary Mystique and Terrorism in Contemporary Italy, Bloomington, Indianapolis, 1989, p. XX.

[7] C. Fumian, La storia, in P. Calogero, C. Fumian, M. Sartori, Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato, cit., pp. 193-194.

[8] A. Ventura, Il problema delle origini del terrorismo di sinistra, in A. Ventura, Per una storia del terrorismo italiano, prefazione di Carlo Fumian, Roma, 2010, p. 79.

[9] M. Iacona, 1968. Le origini della contestazioni globale, Solfanelli, Chieti, 2008, p. 110.

[10] G. Accame, Una storia della Repubblica. Dalla fine della monarchia a oggi, Utet, Milano, 2000, p. 321.

[11] G. Fasanella, C. Sestieri, G. Pellegrino, Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro, cit., pp. 130-132.

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