Auguri a un pezzo di Storia italiana!

Giuseppe Campanaro, Maresciallo della Folgore, oggi compie 90 anni. Ivan Buttignon lo ha intervistato per noi

Un toccante spaccato di vita vissuta e un concentrato di Storia italiana

di Ivan Buttignon

Giuseppe Campanaro, Maresciallo della Folgore, oggi compie 90 anni. Ivan Buttignon lo ha intervistato per noi

Il nostro Buttignon con il Maresciallo della Folgore Giuseppe Campanaro

Ivan Buttignon: Maresciallo, intanto auguri di cuore. Una figura come la Sua rappresenta un concentrato di Storia. Approfitto per rivolgerLe qualche domanda. A oltre settant’anni di distanza, mi racconti la sua guerra”

Giuseppe Campanaro: “Vede, sono passati settant’anni, ma per fortuna i tempi della giovinezza, il momento più superbo della mia vita li posso ricordare perché sono tutti qui (Indica il cuore, N.D.A.). Nel settembre del ’41 mi arruolai. Dovevo ancora compiere 18 anni. Partecipai il corso Allievi Carabinieri a Roma, mentre a Tarquinia seguii il corso paracadutisti, per venire poi assegnato alla 314° sezione paracadutisti mobilitati. Nel maggio del ’42 mi imbarcai a Tripoli, ero un paracadutista aggregato al Battaglione Carabinieri paracadutisti in qualità di motociclista portaordini, compito rischioso e irto di mortali pericoli.

E’ lì che fui partecipe dell’ultima ritirata dalla Tunisia. Ero nella Prima Armata, comandata dal Generale Giovanni Messe. Fu una battaglia durissima, combattuta contro marocchini francesi. Per ogni nostro caduto ce n’erano almeno, dico almeno, una trentina dei loro. Ma più ne uccidevi e più ne comparivano. Li chiamavamo immortali. Ma erano solo mercenari male armati e peggio addestrati alle arti belliche.

Con il nostro Battaglione, un Reggimento di soldati tedeschi e un reggimento di soldati tunisini volontari arruolati nell’Esercito Italiano. Per una questione numerica, vale a dire la formidabile sproporzione fra le parti, sproporzione che volgeva a nostro netto svantaggio, fummo costretti ad arrenderci. Era il 9 maggio 1943.

Alle ore 11,15 del 12 maggio Mussolini telegrammò a Messe: “Cessare combattimento. Siete nominato Maresciallo d'Italia. Onore a voi et vostri prodi”.

Sconfitti, e non solo militarmente, ci ritirammo attraverso il deserto algerino. I soldati marocchini freddavano con i loro fucili piuttosto obsoleti, che noi consideravamo materiale bellico arcaico, le unità che stentavano a proseguire nell’estenuante marcia.

Giungemmo così al campo di concentramento, all’interno del deserto algerino. Lì dormivamo ammassati, in sei per tenda, sulle stuoie. Il nostro pasto quotidiano era composto da una brodaglia di carote e lenticchie, una pagnotta da un kilogrammo di orzo e mais per tutte le sei persone accampate nella tenda. Di giorno lavoravamo per costruire strade e piste, la temperatura raggiungeva i 60°C. Di notte scendeva a 10°C; battevamo i denti. In qualche mese dimagrii fortemente, passai da 65 a 44 kili.

Nel mese di febbraio fui trasferito in località Maison Blanche, a 15 km da Algeri, in un altro campo di concentramento. Di giorno lavoravo in una fonderia”.

Ivan Buttignon: “Non credo accettasse a cuor leggero di condurre una vita da schiavo. Come decise di liberarsene?”

Giuseppe Campanaro: “Durante una notte di maggio (’45) decisi di evadere. L’altissimo e grasso guardiano della cella si mise a dormire, com’era il suo solito. Non appena i riflettori puntarono dalla parte opposta a quella in cui mi trovavo, scavalcai il recinto, così da evadere. Era una notte di acqua e vento, camminai tutta la notte per la campagna, perdendo molto sangue (mi ero graffiato e tagliato a causa del filo spinato attorcigliato sul recinto). D’un tratto, incontrai una signora anziana. Ormai era mattina.

Mossa dalla pietà (ero una larva pelle e ossa consumato dalla stanchezza e per giunta con i vestiti impastati di sangue), chiamò il marito. L’uomo, sui sessantacinque anni, altissimo, baffuto, iniziò a rivolgersi a me in dialetto campano. A quel punto capii immediatamente che non avevo più nulla da temere. E infatti l’omone mi spiegò di essere un ex soldato della Legione straniera, che proveniva dalla provincia di Caserta e che odiava a morte i francesi. “’Sti cornuti francesi!” esclamò a un tratto con un’aggressività che fino a quel momento aveva trattenuta.

Il casertano chiamò allora una ragazza, che poi venni a sapere essere una prostituta, che mi diede da mangiare pane e caffelatte e che mi portò in una kashba, nella zona storica di Tunisi. La polizia evita chirurgicamente queste case di tolleranza di ex pregiudicati. Mi sentii al sicuro.

Feci una doccia, mi parve di rinascere. Indossai della biancheria intima pulita, fu una sensazione che ancora ricordo. Infilai la tuta della legione straniera, ovviamente senza mostrine né riferimenti militari. Mangiai cus cus e montone, condivisi più volte il pasto con musulmani, lì piuttosto numerosi. Ho un ricordo in cui divoro il mio pasto sotto degli archi in tufo.

Dopo 15 giorni di mia permanenza nella kashba un uomo si avvicinò a me per rivelarmi che una nave della Regia Marina sarebbe approdata al porto di Algeri. E così avvenne. L’incrociatore “Scipione Africano”, la nave più veloce della Regia Marina, era attraccato al molo.

Ivan Buttignon con Giuseppe Campanaro


Il mio informatore mi presentò allora al comandante della nave, al quale favorii l’unico documento rimastomi, il tesserino di riconoscimento dell’Arma dei Carabinieri. L’Ammiraglio, come tutti i suoi omologhi, era un nobile. Precisamente, un conte di origine campana. Ricordo ancora che mi tese la mano e come mi rassicurò con un tono accomodante. Mi avvisò dei controlli franco-anglo-americani, con queste testuali parole: “Guarda che prima che la nave salpi sarà fatta un’ispezione da parte delle polizie francese, americana e britannica, perché sono a conoscenza delle evasioni di italiani dai campi di concentramento e temono noi possiamo aiutarli. Però tranquillo, ti forniamo una nuova identità, la divisa della Regia Marina e ti registriamo sul nostro registro delle presenze”.

Poco prima che la nave partisse, si organizzò l’Assemblea poppa, tutti i marinai vennero inquadrati in quel punto. La polizia franco-anglo-americana, intanto, faceva l’ispezione sulla nave.”

Ivan Buttignon: “E quindi? La scoprirono?”

Giuseppe Campanaro: “No. Svolsi 15 giorni di ‘regolare’ servizio nella Regia Marina, nell’incrociatore diretto ad Alessandria d’Egitto e a Tripoli. Ad Alessandria salirono sulla nave dieci soldatesse inglesi, poi sbarcate a Malta. A Tripoli vidi imbarcarsi soldati inglesi che poi sbarcarono a Napoli. La nave approdò poi a Taranto per fare manutenzione, dove sbarcai.

Nel frattempo, visto che mancava personale di macchina, anche per via dello sbandamento dell’8 settembre, finii per essere assegnato al controllo di un macchinario.

A Taranto, all’atto di congedarmi, l’Ammiraglio mi abbracciò. Mi avviai al centro raccolta di Taranto, dove ricevetti un vestito, elargito dal Vaticano (era uno specifico fondo a favore dei reduci), e un paio di scarpe.

Da lì il Comando dell’Arma mi consegnò un biglietto con il quale presentarmi alla Legione Carabinieri di Bari. Lì mi inviarono alle “Casermette Falangi”, località periferica di Bari. Iniziò la mia quarantena: quaranta giorni di cura, grazie ai quali ritrovai la salute e la forma fisica. Non fosse per i pagliericci di frumento pieni di cimici (i pidocchi algerini erano poca cosa al confronto) dov’eravamo obbligati a dormire.

Ricordo con tristezza quel momento, perché mi cooptarono durante la formazione di un plotone d’esecuzione. Dovemmo fucilare alla schiena un aviere. Era una ragazzo ventenne, considerato disertore. Mi rifiutai, ma in quel modo misi a rischio la mia vita. Allora accettai. Il giovane voltò il capo al momento di puntare e io sparai di lato, mancandolo volutamente. Ma quegli occhi da ragazzino spaventato che vidi quando stringevo nella mani l’arma furono il mio sogno, incubo, per mesi.”

Ivan Buttignon: “Percepisco in Lei il senso di orrore, evidentemente non assopito. Poi, cosa successe?”

Giuseppe Campanaro: “Concessa la licenza, tornai finalmente a casa. Era il maggio del ’45.

Terminata l’autorizzazione di due mesi, mi assegnarono alla Compagnia Carabinieri Folgore a Treviso. Compagnia formata da reduci della Folgore e della Nembo, quella divisione di paracadutisti che per esempio aveva combattuto assieme agli alleati a Cassino. Lì condussi operazioni di polizia militare.

In febbraio del ’47 mi diressi da Treviso alla volta di Udine. Lì svolsi il servizio di scorta al Generale K, che coordinava la commissione confini. La mia funzione era quella di scorta. Tornai a Treviso nell’agosto dello stesso anno.

Fu poi sciolta la Folgore e io fui mandato al servizio territoriale a Gorizia. Era il dicembre del 1947.

Lì svolsi servizio di ispezione e supervisione della linea confinaria e della fascia di confine, di giorno e di notte.

Tornai a Livorno nel ’48, nel Battaglione Carabinieri paracadutisti, poi denominato Tuscania, fino al ’52-’53.”

Ivan Buttignon: “Posso chiederLe quali riconoscimenti ricevette per la Sua condotta militare?”

Giuseppe Campanaro: “Ho le seguenti decorazioni:

-       Croce di Guerra al Merito

-       Campagna di Guerra ’40-’45

-       Diploma d’Onore di ex combattente

-       Cavaliere Ufficiale”

Ivan Buttignon: “Ancora buon compleanno, Maresciallo”.

Giuseppe Campanaro: “Grazie davvero. Ma per favore: non darmi del lei.”


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