Niente regine sfortunate o amori...ma uno scherzo

Maggio Musicale: il ritorno dell’Elisir d’amore

L’edizione fiorentina presenta una regia “attualizzata” , una coproduzione tra il teatro comunale di Bologna e il Festival di Wexford, per la regia di Rosetta Cucchi...

di Domenico Del Nero

Maggio Musicale: il ritorno dell’Elisir d’amore

E ancora una volta sarà Donizetti. Il compositore bergamasco è ormai decisamente di casa sul  palcoscenico del Maggio  Musicale: questa volta però niente regine sfortunate  o amori a pessimo fine, ma … uno scherzo. Così infatti lo stesso  Donizetti definiva il suo Elisir d’Amore, andato in scena nel maggio 1832 al teatro milanese della Canobbiana e che allieterà il pubblico del teatro Comunale a partire da Venerdì 15 Novembre;  opera scritta a tempi di record (anche se magari non proprio quindici giorni o addirittura una settimana, come voleva il gossip dell’epoca) ebbe  ottimo esito al punto di poter vantare 32 repliche.   Merito anche di un libretto efficace e ben congegnato, che presentava una mescolanza di comico e patetico che ben si addiceva alla vena donizettiana: l’autore del resto era Felice Romani (1788-1845) collaboratore per eccellenza di Vincenzo Bellini, che si era ispirato a un modello, Le philtre, di Eugene Scribe per la musica di Daniel Auber.  Scribe e Romani erano sicuramente una coppia di tutto rispetto nel panorama librettistico europeo della prima metà dell’Ottocento,  che soprattutto in Italia non vantava molti  ingegni poetici decisamente eccelsi:  buoni inventori di meccanismi teatrali, magari, ma quanto a versi meglio lasciar perdere.  Una giovane e bella possidente, un giovanotto un po’ semplicione, un soldato discendente dal miles plautino attraverso la lunghissima linea dei capitan Spaventa e Fracassa, un simpatico e astuto ciarlatano: questi caratteri in gioco nell’opera, ambientata “in un villaggio del paese de’ Baschi”, ma dal sapore profondamente lombardo. Un intreccio però che non punta sul “comico indiavolato” di matrice rossiniana, sulla travolgente forza di situazioni assurde che dalla musica sembrano sprigionare la loro carica di follia. “Lo stile musicale di questo spartito e vivo, brillante, del vero genere buffo. Il passaggio dal buffo al serio si scorge eseguito con una graduazione sorprendente, e l’affettuoso e trattato con quella musicale passione, ond’è famoso l’autore dell’Anna Bolena. Una strumentazione sempre ragionata e brillante, adatta sempre alle situazioni, una strumentazione che si scorge lavoro di gran Maestro, accompagna un canto or vivo, or brillante, ora passionato “ -  scriveva in occasione della prima rappresentazione Gian Jacopo Pezzi sulla “Gazzetta di Milano”.

E un personaggio del tutto particolare è senz’altro il protagonista, il giovane Nemorino, che Romani caratterizzò evitando di farlo cadere nel sentimentalismo  o nell’idiozia paesana: è proprio invece la “semplice umanità del contadino offeso senza speranza che rende il personaggio così indimenticabile” [1]. E quello che in effetti colpì’ gli ascoltatori del 1832 fu la miscela di buffo e lirico, grazie alla quali Donizetti trovò la propria “via” che gli permise di affrancarsi dal modello rossiniano:  entra in gioco l’elemento sentimentale, ben poco presente  invece nel grande pesarese. Personaggi che vivevano mossi come da una  carica meccanica, sulla scia di una tradizione antica ma ormai obsoleta , che solo il prestigio di Rossini aveva potuto tenere gloriosamente in vita fino al primo ventennio dell’Ottocento, vengono ora invece  ad assumere  quell’identità che il Pesarese aveva loro volutamente negato. Questo processo di ‘umanizzazione’ dei personaggi si attua, sul piano musicale, attraverso l’individuazione di una tipologia melodica che evidenzia i tratti di ciascuno, come ricordava Ashbrook; e proprio Nemorino è la figura chiave di questo processo, perché è colui che più di tutti sviluppa la tematica del sentimento.  Tutti i personaggi sono infatti finemente caratterizzati attraverso la loro” identità melodica” e grande attenzione è data anche al coro, che ha una parte fondamentale nella creazione dell’ambiente rustico – villereccio. Molto raffinata la scrittura orchestrale grazie sia al “colore” specifico dato dal sapiente e calibrato uso dei legni  sia all’accompagnamento dei pezzi chiusi che tende a evitare le solite formule stereotipe.

L’edizione fiorentina presenta una regia “attualizzata” , una coproduzione tra il teatro comunale di Bologna e il Festival di Wexford,  per la regia di Rosetta Cucchi, le scene di Tiziano Santi, i costumi di Claudia Pernigotti. L’idea di per sé è di quelle che francamente destano un po’ di preoccupazione:  una scuola d’arte dei nostri giorni che ricorda la serie televisiva Fame – saranno famosi, con ragazzi che ballano sui banchi di scuola e in mensa … speriamo che il delicato quadro costruito da Romani e Donizetti non perda le sue tinte e non si crei una spaccatura tra ciò che si vede sulla scena è ciò che si sente dalla fossa d’orchestra; ma naturalmente non si può e non si deve giudicare prima del tempo.  Sicuramente positivo comunque l’impiego di tanti studenti di alcune scuole superiori fiorentine come comparse, senz’altro un ottimo modo di trovare una collaborazione con le scuole e di avvicinare i ragazzi alla musica;  in fondo, travestire l’opera da … discoteca potrebbe anche rivelarsi   un … toccasana per i gusti musicali dei nostri ragazzi.

Per quanto concerne il cast, nel ruolo di Nemorino si alternano i tenori  Giorgio Berrugi  e Alessandro Scotto di Luzio,  in quello di Adina (soprano) Rocio Ignacio e Auxiliadora Toledano,  Dulcamara (basso buffo) Marco Camastra e Giulio Mastrototaro, Belcore (baritono) Mario Cassi e Julian Kim. Il primo cast è di scena  il 15, il 17 e il 20 novembre, il secondo il 16, il 19 e il 21. Sul podio il giovane e brillante maestro Giuseppe la Malfa, già sul podio del Comunale poche settimane fa per la produzione di Giselle. Orario spettacoli: ore 20,30, domenica 17 ore 15,30.

LA TRAMA DELL’OPERA.

Atto I

In un campo alberato, presso un villaggio, interrotta la fatica della mietitura, contadini e contadine si riposano all’ombra degli alberi mentre la ricca Adina legge la storia di Tristano ed Isotta e del filtro amoroso. Nemorino osservandola da lontano, si scopre innamorato di lei. D’un tratto appare il sergente Belcore, gradasso e spavaldo, che comincia a corteggiare insistentemente Adina che non  sembra affatto disdegnare le sue attenzioni.  Nemorino, spinto dalla disperazione, dichiara il suo amore alla  ragazza che però lo respinge. Nel frattempo giunge nel villaggio Dulcamara, dottore praticone che decanta le meraviglie dei  suoi prodotti. Nemorino gli chiede se possieda e venda  il filtro della regina Isotta; il dottore gli rifila un Elisir la cui potenza dovrebbe far innamorare di lui Adina in ventiquattro ore.  Nemorino lo beve e subito, certo degli effetti dell’Elisir, canta soddisfatto (anche perché si tratta in realtà di Bordeaux)  incurante della presenza della ragazza che, indispettita dal bizzarro conmportamento del giovane, s’impegna a sposare Belcore che se viene avvertito di una forzata, improvvisa partenza: le nozze debbono svolgersi seduta stante. Adina acconsente e Nemorino cerca disperatamente il dottore.

 

Atto II

I compaesani preparano un banchetto per festeggiare i giovani promessi sposi, ma Adina, interessata in realtà a Nemorino, sembra non avere più tanta fretta. Il giovane innamorato vorrebbe potenziare l’effetto della pozione ma non avendo denaro, decide di arruolarsi in cambio di una somma di denaro che spende in una nuova, massiccia dose di Elisir. Frattanto lo zio di Nemorino, gravemente infermo, muore lasciandogli una “cospicua immensa eredità” . Giannetta e le ragazze del villaggio, venute a sapere la notizia,  corteggiano il giovane, ora neomilionario  e quindi  diventato improvvisamente un ottimo partito.  Nemorino e naturalmente lo stesso dottore attribuiscono il merito di tante attenzioni all’Elisir. Adina,  che non sa dell’eredità, viene a sapere da Dulcamara che il giovane si è arruolato pur di acquistare il filtro per conquistarla: per la commozione  confessa a Nemorino di amarlo. Restituisce il denaro al sergente ed i giovani annunciano così il loro fidanzamento. Belcore la prende tutto sommato con filosofia, mentre il dottor Dulcamara, acclamato dai popolani, decanta le virtù dell’Elisir, a cui ovviamente attribuisce il merito del lieto fine.  

 



[1] Patrick J. SMITH,La decima musa. Storia del libretto d’opera, Firenze, sansoni, 1981, p. 191. 

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