Editoriale

Caravaggio e il diritto piegato alla politica, la storia non cambia

Incastrato da avversari politici, condannato a morte, inseguito per tutta Italia il grande pittore è emblema della malagiustizia che accondiscende all'invidia

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

no dei peggiori mali dell’uomo: l’invidia.

Un male antico, un vizio che tutti neghiamo di avere e che invece attanaglia l’anima di molti, forse di troppi e che si fa fratello dell’odio.

Se l’invidia così umana, troppo umana verrebbe da dire, va poi ad unirsi, più o meno scientemente, alla presunzione di essere i perfetti amministratori della Giustizia, quali si ritengono alcuni magistrati, ne nasce un mostro bicipite e monocolo in grado di divorare il mondo.

Il problema di un Giudice Giusto è già presente nell’Antico Testamento, fino a ritrovarlo nell’Apocalisse. Per sua natura nessuna giustizia terrena, neppure quella un tempo amministrata dagli Imperatori o dai Papi può dirsi giusta.

Se lo fosse, sarebbe soltanto un raro evento nel quale il Diritto Divino coincide con quello creato dall’Uomo.

Ora prendiamo un caso a tutti voi più o meno conosciuto, almeno a grandi linee: Michelangelo Merisi da Caravaggio, pittore che ebbe numerose avventure proprio con la Giustizia del suo tempo.

Certo, la storiografia e la letteratura ci hanno tramandato l’immagine di un uomo geniale sì ma scellerato, praticamente un violento psicopatico, un criminale “border line” manesco, piuttosto facile alle armi. Una persona che oggi nessuno desidererebbe frequentare o far entrare nel proprio salotto.

Questo quanto sta alla “vulgata” più popolarmente diffusa.

Ora, se si conoscesse meglio la vita del pittore milanese, ma trapiantato a Roma, si potrebbe avere un’ottica leggermente diversa dei fatti.

Fermo restando che in quei tempi violenti l’uso delle armi era comune - tanto che esisteva il benemerito istituto del “duello” per appianare alcune controversie di ordine minore, dunque senza far ricorso ad altro giudizio che a quello dell’onore – certamente il Caravaggio era uno dei tanti, non più di altri, dedito a facili zuffe da strada ed incline ad una irascibilità del tutto plausibile per quegli anni e soprattutto in una città turbolenta come la Roma della fine del Cinquecento.

Si aggiunga che Merisi è un pittore di gran fama, dopo tanti stenti, ampliamente protetto anche in alta sede proprio a ragione del suo indubitabile talento artistico. Anche questa “discriminazione” che a qualcuno oggi potrebbe sembrare incivile ed “iniqua” – già applicata per esempio con Benvenuto Cellini ed altri – dimostra dettagliatamente come si sapesse benissimo - già secoli or sono - che la fallacia dell’umana giustizia fa sì che di fronte alla legge non tutti si sia uguali.

Almeno nel Primo Seicento non si era ancora ammorbati dal lezzo dell’ipocrisia che vediamo oggi nella nostra società cosiddetta democratica e civile. Il “politically correct”, grazie al  Cielo, non aveva ancora assuefatto le coscienze.

Secoli fà chi era protetto da un Cardinale, dal Papa o da un nobile aveva diritti che altri - giustamente dico io - non potevano vantare e questo perché non in quanto egli fosse “superiore” perché “amico di qualcuno che conta” – usanza mafioide invece questa prettamente nostrana e contemporanea - ma perché egli era superiore in quanto capace di creare opere d’arte come nessun altro, perciò “unico” e dunque il solo a poter migliorare la vita dell’Uomo.

Caravaggio è così, è un grande artista irascibile quanto invidiato, ed invidiato perché capace, ma non soltanto. È odiato perché ha successo con le donne oltre che nella propria arte.

Egli appartiene inoltre, e questo è il vero nocciolo della faccenda, ad una “fazione politica” - allora come oggi era una necessità pare - e pertanto i suoi “partigiani” sono i Francesi, ovviamenti invisi acremente agli Spagnoli.

Così l’invidia sommata all’odio politico ed ad un’occasione dove un Giudice ha potuto applicare una “mala giustizia” conclude la carriera del Merisi.

Dopo una partita a pallacorda - com’è noto - per una lite sul punteggio, Caravaggio ed i suoi amici del “Partito Francese” vengono in urto e passano alle vie di fatto mettendo mano alla spada con gli avversari: Ranuccio Tomassoni ed i suoi che, guarda caso, sono supportati dal partito nemico, quello degli Spagnoli.

Tutto avviene rapidamente e nella foga Caravaggio ferisce, certamente in modo preterintenzionale, Ranuccio che morrà dissanguato ore dopo.

Il resto lo sapete, il pittore viene condannato in contumacia ad essere messo a morte da chiunque lo incontri; quindi costetto a fuggire dalla città comincerà una serie di peregrinazioni che si concluderanno con la sua morte, avvenuta in circostanze ancora oggi misteriose, su una spiaggia deserta e lontana.

Vedete adesso una certa assonanza, una vaga similitudine con la vita di quel grande eccelso pittore di quattro secoli fa, condannato senza grazia soltanto per ragioni meramente politiche e null’altro, ma mascherate abilmente da una finta morale?

Notate come tutto questo somigli, fatte le opportune differenze, a ciò che sta avvenendo oggi in questo triste paese dove il Diritto è piegato alla Politica?

L’invidia trova una strada, lentamente, scava un solco sotterraneo nel cuore degli uomni, delle loro appartenenze partitiche, si nutre del loro odio e della loro rabbia verso chi ha successo, chi può e sa fare fino a che riesce a trovare un appiglio, un caso fortuito, un’occasione ignobile sulla quale fare leva e finalmente potersi scagliare così contro il tanto odiato nemico.

È stato così per Michelangelo Merisi detto Caravaggio quattrocento anni fà, guardatevi intorno, vedrete che poco o nulla è cambiato…anche oggi. 

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da ines doffini il 12/09/2013 18:25:51

    Michelangelo Merisi, nato il 29 settembre... SB, nato il 29 settembre.....

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