Orsola Nemi

Fu la prima donna a pubblicare su «Letteratura»

L'incontro con Montale,Bompiani, Cecchi, Comisso, Longanesi e poi la guerra. (III parte)

di Francesca Rotta Gentile

Fu la prima donna a pubblicare su «Letteratura»

Eugenio Montale

Henry Furst mantenne la promessa. Parlò a Montale di Orsola e la presentò a lui.

Allora ella abitava alla Spezia in corso Cavour 20, al primo piano di una casa che stava all’angolo di via Garibaldi; giù vicino al portone c’era un negozio  che si chiamava «Unica». 

Esattamente lì, Enrico le fece conoscere Montale, gli parlò di lei gli diede da leggere le sue poesie. 

Montale ne fece pubblicare alcune su «Letteratura»[1], prestigiosa rivista nella quale nessuna donna aveva mai scritto. Quando Orsola vide le sue poesie su quelle pagine ne fu molto lusingata. Fu a questo punto che nacque il suo pseudonimo.

In seguito Henry Furst le fece conoscere altri scrittori, critici e giornalisti: Emilio Cecchi, Giovanni Comisso, Leo Longanesi, Arrigo Benedetti. Tutti le dimostrarono fiducia e amicizia. Quando Rococò vinse, per il «Giornale di Genova», 500 lire e la pubblicazione a puntate sullo stesso quotidiano, Enrico mandò il manoscritto all’editore Valentino Bompiani, che lo pubblicò nel 1940; nel 1941, fu tradotto in tedesco.

Tutto questo fu per Orsola una vera sorpresa. Furono anni intensi e sereni per lei, fino a quando alla fine del 1939, con l’avvento della guerra, Enrico dovette partire. Andò in Francia deciso ad arruolarsi nella Legione Straniera, ma poiché non accettavano ufficiali, tornò in America, lasciando in consegna ad Orsola la sua torre di Recco e Maurizio[2], chiamato Moritz, il bambino cresciuto da Enrico. Il 15 ottobre 1940 in una lettera di Orsola Nemi indirizzata all’amica Lucia Rodocanachi leggiamo:

«Ho avuto la prima lettera di Enrico il 10 di ottobre, oltre un mese dopo la sua partenza; è arrivato laggiù il 6 di settembre ma non sapeva decidersi a scrivere perché non aveva da darmi buone notizie. È molto, molto depresso; non sa, non può vivere lontano dalla sua Torre, dal suo Moritz.»[3]

Nei primi anni di guerra si scrivevano, ma poi, quando entrarono in guerra gli Stati Uniti, non poterono più. La madre di Orsola volle andare a Pietrasanta, ma Orsola voleva lavorare, aveva chiesto di essere assunta come dattilografa al «Giornale di Genova», le fu concesso invece di collaborare con la pubblicazione di due racconti al mese. Andò quindi a Firenze da alcuni parenti per trovare qualcosa di più impegnativo e soddisfacente, ma non vi riuscì e così decise di tornare a Pietrasanta dalla madre.

 Scrisse più tardi a Bompiani ed egli le affidò l’incarico di rivedere alcune voci del Dizionario delle Opere e dei Personaggi. A questo dizionario collaboravano anche stranieri, lei doveva rivedere i testi e riportarli a non più di trenta righe. Compose poi delle voci tra le quali, quella della Deledda. Intanto Longanesi, che lei aveva conosciuto assieme a Cecchi nel 1939, iniziò ad inviarle delle traduzioni da rivedere e correggere.

Bompiani in seguito la invitò a Milano a lavorare nella redazione e lì rimase circa un anno,fino al ’42,  dove svolse prevalentemente il lavoro di segretaria e traduttrice.

Orsola Nemi affida una lettera, datata 7 giugno 1941, scritta da Milano a Lucia Rodocanachi, questa immagine della città:

«Si alternano giorni di caldo soffocante, a giorni freddi di pioggia dirotta. Poi quando viene il sole si vedono sulla città galleggiare di continuo i semi dei pioppi che somigliano a piume bianche. Cadono sull’ingrato asfalto e muoiono! Come sarebbe bello se tutti mettessero radici; Milano scomparirebbe in un bosco.»

In un’altra lettera del 18 agosto 1941, sempre indirizzata a Lucia Rodocanachi, Orsola parla della sua permanenza da Bompiani, della gioia per la pubblicazione imminente di Cronaca ma anche della grande nostalgia di Recco:

«Ho avuto in questi giorni notizie di Enrico, una sua lettera ha impiegato tredici giorni, un vero miracolo. Grazie a Dio sta bene, adesso è molto vantaggiosamente occupato alla biblioteca del Congresso. […] Qui da Bompiani mi trovo molto bene, ho fatto parecchie nuove e care amicizie,  ma tutto il mio cuore è a Recco, nella mia Liguria, dove tutte le cose sono più belle e dove soltanto si può essere felici. Non so se le ho detto che Bompiani pubblica il mio volume di versi,. Questa è stata per me una grande gioia, e anche per Enrico, il libro dovrà uscire a settembre. Ne parlo a lei perché in un certo senso ella è stata la madrina dei miei primissimi e ha sempre accolto con molta bontà le mie cose.»

In una lettera del 18 novembre 1941, Orsola si trova  ancora a Milano e scrive a Lucia Rodocanachi:

«Mi scusi. Fino ad ora ho sempre avuto tanto lavoro; oltre l’orario d’ufficio ho tradotto a casa l’Educazione sentimentale, per Longanesi, e non avevo altro tempo che la sera dopo cena. Così spesso ero stanchissima. Adesso, invece, faccio da Bompiani mezza giornata solamente per tre volte la settimana e l’altro tempo posso dedicarlo al lavoro di Longanesi, così mi affatico meno. Anzi Longanesi mi aveva invitata a recarmi a Roma da lui, ma non posso lasciare Bompiani. Vacanze ne ebbi pochissime; mi trattenni due giorni alla torre, e due giorni andai da mia madre».



[1]Le poesie di Orsola Nemi pubblicate da Montale nella rivista «Letteratura» erano: Lunaria, Primavera in Mare, Venerdì Santo, Conforti («Letteratura» III, 1, gennaio-marzo 1939, pp. 55-57).

[2]È Maurizio Rotta Gentile Cavigioli, mio padre. A Fiume Enrico divenne amico di Maurizio Pagliano, aviatore originario di Porto Maurizio, che meritò quattro medaglie d’oro. L’aeroporto di Aviano ed una via di Imperia sono dedicate alla sua memoria. Egli morendo chiese ad Enrico di riconoscere il figlio illegittimo, Franco, vivente in Italia, a Grondona, presso Alessandria. Enrico gli fece prendere il cognome del padre e lo crebbe. Franco Pagliano, divenuto a sua volta un abile aviatore, partecipò alla guerra di Spagna e scrisse alcuni libri sull’aviazione. Per tutta la vita fu profondamente legato ad Enrico. In seguito Enrico fece la stessa cosa con un altro bambino, poiché la famiglia a causa della guerra viveva un momento di difficoltà: il piccolo Moritz, che proprio a Grondona egli aveva conosciuto. Enrico fu sempre molto legato a Moritz, lui ed Orsola lo considerarono sempre come un figlio. In numerose lettere egli è al centro delle loro preoccupazioni e viene definito un dono prezioso.

[3]La lettera a Lucia Rodocanachi è compresa nel Fondo Morpurgo Rodocanachi, conservato nella Biblioteca Universitaria di Genova. Tutte le lettere da me indicate inviate a Lucia Rodocanachi appartengono a questo fondo, costituito da 2771 lettere indirizzatele da personalità di rilievo del panorama culturale italiano del Novecento. Amica di Eugenio Montale, nata a Trieste nel 1901 e morta ad Arenzano nel 1978, dal 1930 costituì insieme con il  marito, il pittore Paolo Stamaty Rodocanachi, una sorta di salotto artistico-letterario nella sua abitazione di Arenzano.

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