Il caso letterario dell'anno

Uno svizzero 28enne rivela in un thriller mozzafiato anche i misteri del mercato editoriale

La verità sul caso Harry Quebert si appresta a diventare un best-seller internazionale...e se lo merita!

di Simonetta  Bartolini

Uno svizzero 28enne rivela in un thriller mozzafiato anche i misteri del mercato editoriale

Chiunque abbia letto il libro del giovane svizzero francofono Joël Dicker, non può che dichiarasi entusiasta e lamentare che talenti narrativi così siano tanto rari. E già, perché una volta tanto i giudizi riportati nella quarta di copertina di La verità sul caso Harry Quebert  pubblicato in Italia da Bompiani, e firmati da due lettori di vaglia come Marc Fumaroli e Bernard Pivot, corrispondono al vero: il romanzo di Dicker è entusiasmante, non solo ti avvince ad una lettura dalla quale è difficile staccarsi per attendere alle necessità quotidiane, mettendo in scena un meccanismo narrativo praticamente perfetto, ma utilizza il thriller per costruire un metaromanzo che ci illustra, non solo la costruzione del congegno narrativo, ma anche il sistema editoriale che mercifica la letteratura rendendola prodotto deperibile e proprio quanto più deperibile potenzialmente tanto più di grande diffusione, con una dichiarata indifferenza alla qualità.

 Joël Dicker

Ma andiamo con ordine, il libro di Dicker non può essere liquidato facilmente o velocemente con poche parole per quanto di sentita e convinta ammirazione.

Cominciamo con la trama. Goldman, un promettente scrittore americano (Dicker pur essendo svizzero ha soggiornato a lungo nel Maine acquisendo così un'profondita conoscenza dei luoghi, del modello di vita e dei costumi statunitensi), dopo il successo strepitoso raggiunto con il primo romanzo (anche il nostro giovane svizzero ha gia pubblicato un romanzo e questo è il secondo) si trova ad dover onorare il ricco contratto con il proprio editore con un secondo romanzo, ma il blocco dello scrittore lo paralizza. Disperato si rivolge al suo vecchio maestro universitario, anch’egli notissimo scrittore, ma neppure questi, che lo accoglie nella sua villa in riva all’oceano, riesce a fargli ritrovare la vena narrativa perduta.

Sarà un fatto di cronaca sconcertante e inatteso, il ritrovamento, nel giardino della casa del professor Quebert, del cadavere di una quindicenne scomparsa 30 anni prima a riportare Goldman sulla strada del romanzo. Infatti indagando sul misterioso omicidio del quale è stato accusato il proprio mentore, l’antico allievo, certo della sua innocenza, si troverà a fronteggiare continui ribaltamenti delle indagini nel corso delle quali i colpi di scena, sapientemente organizzati, solo dopo 770 pagine ci diranno chi sia stato l’assassino e quale il movente.

Se si aggiunge che la giovinetta risulterà fino dalle prime pagine essere stata l’amante del professore, è evidente che il quadro narrativo si fa particolarmente carico di suspense.

Ma non è questo che fa del romanzo di Dicker uno strepitoso libro che consigliamo senza dubbi, o per lo meno non è solo questo.

Non si tratta infatti semplicemente di un ottimo prodotto narrativo, come tanti americani, anche di larga commercializzazione in Italia, penso a Grisham, o alla prima Cornwell, a David Baldacci, ma anche allo sciagurato Dan Brown, ci hanno abituato a leggere. Non si tratta di un magnifico esempio di congegno romanzesco perfettamente architettato alla maniera di un Ken Follett, o di altri dominatori delle classifiche dei libri. In questo caso siamo di fronte ad un romanzo nel quale di volta in volta vorresti sottolineare certi passi particolarmente illuminanti e significativi, se dover interrompere la lettura per impadronirsi di una matita non risultasse addirittura insopportabile.

Il metaromanzo. Un romanzo che parla di se stesso, del proprio farsi e delle tecniche che lo presiedono, di per sé non è una novità e neppure un elemento di particolare valore, se non fosse che il giovane Dicker lo maneggia con grande intelligenza affidando ai prologhi di ciascun capitolo l’espressione delle regole impartitegli dal professor Quebert, non solo per scrivere un romanzo, ma anche per confrontarsi con la letteratura, demoniaca e angelica creatura che pretende dallo scrittore una sudditanza che alterna grandi gioie e grandi dolori, fedeltà e onestà, senso dell’equilibrio e dedizione. Trentuno consigli, uno per ciascun capitolo, ma numerati in ordine inverso, nei quali il personaggio che dice io nel romanzo, ovvero lo scrittore Marcus Goldberg riporta brevi stralci di 

conversazioni sulla letteratura e sulla disciplina della narrativa fra intrattenute con il suo professore, l’ultimo recita:

«Un bel libro, Marcus, non si valuta solo per le sue ultime parole, bensì per l’effetto cumulativo di tutte le parole che le hanno precedute. All’incirca mezzo secondo dopo aver finito il tuo libro, dopo averne letto l’ultima parola, il lettore deve sentirsi pervaso da un’emozione potente; per un istante, deve pensare soltanto a tutte le cose che ha appena letto, riguardare la copertina e sorridere con una punta di tristezza, perché sente che quei personaggi gli mancheranno. Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace di aver finito».

Abbiamo preso in prestito il prologo all’epilogo del romanzo perché esprime magnificamente quel che accade al lettore de La verità sul caso Harry Quebert, e quale sia il motivo per cui ciò accade lo apprendiamo pagina dopo pagina, non solo attraverso gli ammaestramenti del più anziano professore al giovane protagonista del romanzo, ma anche attraverso gli interventi sulla scena narrativa di tanti dei protagonisti legati al mondo dell’editoria americana che Dicker affresca in maniera magnifica, svelando da una parte l’odioso sistema di profitti, di mercificazione del prodotto narrativo, dove schiere di ghost writers assicurano allo scrittore di turno la presenza sul mercato alle scadenze volute dall’editore, intervenendo con rigorosa professionalità, ma anche, ovviamente, senz’anima, senza alcuna etica estetica, a colmare o a supportare, a aggiungere elementi popolari ove occorra (non dimenticare il sesso, raccomanda l’editore, un romanzo per scalare le vette delle classifiche deve assicurare quel tanto di pruderie che le famigerate sfumature di grigio rosso ecc  ci hanno ben insegnato). Ma sottolineando anche la sapiente intelligenza dell’editore che non è un cretino qualsiasi (un editore è uno scrittore mancato che compra quel che non sa produrre, si dice ad un certo punto nel romanzo) in cerca di facile guadagno, ma un abile conoscitore dei meccanismi narrativi e della comunicazione, che si tratti di claim pubblicitario o di un prodotto letterario. Occorre ripetere più volte una parola chiave –spiega a Marcus il suo agente letterario che dell'editore è il "braccio armato" presso lo scrittore – che diventi il fulcro del significato della narrazione, e più volte viene ripetuta nei giusti contesti maggiormente rimarrà impressa al lettore e costituirà la chiave attraverso la quale egli identificherà la partitura narrativa.

Può trattarsi di un aggettivo, di un avverbio denotativo o connotativo, può essere un verbo, o di un sostantivo aggettivale. Se per esempio si associa il termine stupro ad un personaggio e lo si ripete nelle varie situazioni che riguardano la storia di detto personaggio, anche se la narrazione racconta altro, nel lettore rimarrà il senso di una violenza carnale e come tale identificherà il romanzo e vi si appassionerà.

Ecco una piccola lezione di come le case editrici confezionano best seller, si tratta di individuare le parole chiave giuste, quelle che il mercato è sensibile a ricevere in quel determinato momento e inserirle con accortezza in una qualsiasi storia, e il gioco è fatto.

A questo punto però dobbiamo essere onesti: da lettori professionisti confessiamo che arrivati all’ultima pagina del libro del giovane Dicker, ed aver provato proprio quella sottile nostalgia per l’avventura di lettura appena conclusa, ci siamo chiesti se anche La verità sul caso Harry Quebert non appartenga esattamente a quei prodotti editoriali perfettamente confezionati, per quanto di altissimo livello in questo caso, di cui lo scrittore ci ha così abilmente parlato.

Ci siamo chiesti se la trappola narrativa non sia stata congegnata così bene da indurre, attraverso una sorta di auto-accusa e lo svelamento di se stessa, esattamente quel che un editore desidera per un best seller: l’acritica adesione del lettore, la sua dipendenza dalla lettura indotta da una sorta di droga affabulatrice (ricordate l’arte sopraffina di Sherazade, nelle Mille e una notte, che ricorrendo all’espediente di lasciare una fiaba in sospeso guadagna mille notti di vita e alla fine si salva dal patibolo?).

Certo, nel romanzo non c’è traccia, per esempio, di descrizioni degne di questo nome che sappiano amalgamarsi con la vicenda connotando i luoghi in maniera da renderli vivi e veri nella nostra fantasia di lettori. Nello stesso modo i caratteri fisici dei personaggi non sono tali da poterceli rappresentare nella mente così come lo scrittore li ha pensati.

Da questo punto di vista si tratta di un romanzo dove luoghi e personaggi rimangono sbiaditi, vaghi e in parte formalmente inconsistenti. E forse perciò non si può parlare di capolavoro.

Certo è che, a neppure trent’anni, Dicker mostra una maestria narrativa (anche se ci ha suggerito il dubbio sui ghost writer) che stupisce e che vorremmo per tanti scrittori di casa nostra. Certo è che nel panorama delle lettere, patrie e non, il romanzo di Dicker svetta e affascina. Di fronte a Balzac o a Flaubert, a Stendhal o a Tolstoj, ma anche a Manzoni o Ippolito Nievo, o a Tomasi di Lampedusa, come si suol dire, non c’è partita, ma cari lettori, dove sono oggi quei grandi?

E allora godiamoci il giovane Dicker, forse è nato un buono scrittore.

Ps Una curiosità per finire. La biografia dello scrittore che dice io nel romanzo e quella del suo autore sembrano avere molti punti di contatto, e questo è normale, quel che incuriosisce è la storia di un romanziere che non riuscendo a scrivere il secondo romanzo (come questo è il secondo romanzo di Dicker) alla fine partorisce inaspettatamente un best seller acclamato ovunque. Esattamente quello che sta accadendo al nostro giovane autore che è stato dichiarato il caso letterario dell’anno! Strano vero?  

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da SABYDA il 02/07/2013 10:44:01

    Chiaramente, siamo di fronte ad un best sellere acclamato, con cotanta presentazione e in che modo è logico che ci induce a leggerlo e a trarre le nostre conclusioni. Si evince dall'articolo della Direttrice che è un prodotto letterario aperto e ambiguo tanto da destare curiosita', un romanzo portatore di messaggi ricchi con forme originali ed inedite, testimoniando una personale visione della realta. Nn ci resta che leggere questo giovane scrittore con la sua opera internazionale...... ben vengano i giovani in questo modo.....

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