Un testo da sconsigliare

Il nuovo libro di Dan Brown, Inferno, è un'ennesima brutta variante del già brutto Codice da Vinci

L’americano ignorante spiega ad un pubblico, che evidentemente reputa ignorante quanto lui, cosa sia l’Inferno di Dante e lo fa in un modo che appaia un episodio della serie Ghost Whisperer......

di Simonetta  Bartolini

Il nuovo libro di Dan Brown, Inferno, è un'ennesima brutta variante del già brutto Codice da Vinci

La copertina del libro

Difficile immaginare un romanzo meno adatto per il pubblico italiano dell’ultimo, iper-pubblicizzato, libro di Dan Brown, Inferno (Mondadori). Uscito contemporaneamente in molti paesi del mondo, previa ovviamente una campagna promozionale martellante, contrappuntata dalla segretezza assoluta che pare abbia obbligato i traduttori ad una sorta di quarantena per evitare fughe di notizie e anticipazioni sul contenuto del romanzo, Inferno non avrebbe dovuto essere commercializzato in Italia al fine di mantenere almeno per qualche settimana (magari anche solo un paio) un minimo di credibilità.

Come anticipa il titolo, e la copertina con il ritratto dell’Alighieri, nel romanzo si parla di Dante, e dunque della Divina Commedia, ovviamente di Firenze, un poco di Venezia, con un accenno a Istanbul. C’è, come è naturale, il professore di storia dell’arte esperto di simbologia Langdon, c’è l’immancabile fanciulla “assistente” del prof. che fino da ultimo non si sa se lo tradisce o lo aiuta veramente, c’è l’altrettanto immancabile complotto con ricadute mondiali, la conseguente entrata in campo di una organizzazione segreta e ipertecnologizzata.

C’è, infine, secondo il collaudato stereotipo di Dan Brown, l’indovinello da sciogliere per giungere a salvare il mondo, con tanto di marchingegno che lo protegge.

Inferno insomma è un’ennesima variante del già brutto Codice da Vinci.

Lasciamo stare perle sintattiche (forse imputabili alla traduzione?) del tipo “camminava con l’intensità di una pantera”  (p.22, ma come si fa a camminare o muoversi o correre “intensamente”?) che predispongono immediatamente male il lettore che abbia superato con medio successo le scuole dell’obbligo. In compenso si fa un grande ricorso al sintagma “memoria eidetica”, che significa semplicemente “memoria fotografica”, per fingere una ricercatezza linguistica che non corrisponde allo stile sciatto del romanzo.

Quel che però risulta immediatamente insopportabile al lettore italiano si annuncia già nella premessa al romanzo intitolata Fatti dove veniamo messi al corrente che alcuni dei riferimenti a organizzazioni, opere letterarie e storiche sono veritieri, e che:

«l’Inferno  è il mondo dei dannati descritto nella Divina commedia,  il poema di Dante Alighieri, che rappresenta il regno degli inferi come una struttura elaborata, popolata da entità chiamate “ombre”, anime condannate al castigo eterno» (p11)

Avete capito bene, l’americano ignorante spiega ad un pubblico, che evidentemente reputa ignorante quanto lui, cosa sia l’Inferno di Dante e lo fa in un modo che appaia un episodio della serie Ghostwisperer, non si prova neppure a chiamarla Cantica, forse reputando il termine troppo pericolosamente “tecnico”, non si sa mai tanta precisione letteraria allontanasse i lettori!

Il romanzo va avanti così, illustrando pagina dopo pagina la vulgata più banale della Divina commedia, compresa la storia d’amore fra Dante e Beatrice. I versi noti a qualunque lettore italiano della prima cantica dantesca vengono presentati come un campionario di misteri indecifrabili, e addirittura diventa un enigma di difficile soluzione il messaggio di uno dei personaggi che lascia detto al prof. Langdon che per lui «La porta del Paradiso è aperta».

Poiché l’ambientazione è quella che viene chiamata città vecchia di Firenze (ma quando mai? in Italia si parla di centro storico, non di città vecchia!) qualunque lettore italiano sa che il riferimento non può essere che alla porta del Paradiso di Ghiberti che orna il Battistero di San Giovanni.

Si può comprendere che per un americano, che mal si destreggia con la lingua italiana, i versi della Commedia possano apparire assai misteriosi e indecifrabili, ma per il lettore italiano il lungo e inutile percorso per la decrittazione del testo appare ridicolo e noioso. Nello stesso modo in cui appaiono intollerabili le pagine dedicate allo svelamento della parola CATROVARCER, l’italofono capisce immediatamente che significa CERCATROVA, l’americano per quanto professore fa la figura dell’idiota che si scervella, per pagine e pagine, per comprendere il significato della parola misteriosa.

E veniamo a Firenze . La descrizione dei luoghi della città che ospita più della metà del romanzo, è quanto di più penoso e patetico sia dato di leggere (fiorentini, italiani o stranieri che siate), pagine e pagine (perciò il mattone di Brown è di 500 pagine) tratte da qualche guida commerciale che spiegano per esempio cosa sia la “porta” di una città: «un’alta barriera di pietra e mattoni con un passaggio al centro  che conserva il massiccio portone di legno a due battenti, ora sempre aperto per il libero transito dei veicoli»!

Da non credere! E chi poteva immaginare che la porta di una città (in questo caso Porta Romana) fosse composta da due portoni di legno che chiudono un buco nelle mura che serve per passare! Fortuna che Dan Brown ce lo spiega con tanta precisione!

Non c’è bisogno di continuare con gli esempi, basti sapere che per Venezia è la stessa cosa e il povero lettore a pagina 100 si è già da tempo pentito amaramente di aver speso 25 euro per un libro così penosamente noioso e mal fatto.

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