Quando l'oblio dovrebbe essere obbligatorio

L'ex brigatista Fenzi legge Dante a Firenze, e scoppia la polemica

Non si tratta di perseguitare a vita chi ha pagato per il proprio sbaglio (peraltro per un reato di sangue), ma si pretenderebbe che almeno le istituzioni si astenessero da dar loro cattedre pubbliche

di Domenico Del Nero

L'ex brigatista Fenzi legge Dante a Firenze, e scoppia la polemica

Fenzi e Dante, che accoppiata mal riuscita!

Provo fastidio a vedere una delle personalità che hanno partecipato a dare all'Italia lo spettacolo degli anni di inferno del terrorismo, elevarsi al ruolo di educatori, occupare cattedre e aule universitarie, o leggere uno dei poeti che sulla libertà non ha detto delle banalità".  Splendide parole, di una persona  che della cultura e dell’educazione ha fatto la missione della sua vita: il prof. Valerio Vagnoli,  preside dell’istituto alberghiero fiorentino Saffi, ha così stigmatizzato la sconcertante notizia che a leggere il XV canto del Paradiso presso la Società Dantesca Italiana di Firenze è stato chiamato, per il prossimo 9 maggio, il prof. Enrico Fenzi, già docente universitario di letteratura italiana meglio noto, però, per  il suo passato nelle Brigate Rosse, in cui partecipò anche all’agguato e al ferimento del dirigente dell’Ansaldo Carlo Castellano. 

Una mancanza di sensibilità anche per le vittime del terrorismo, rileva inoltre Vagnoli, ma che a quanto pare non sfiora il presidente della società Dantesca Italiana, Eugenio Giani: questi dopo aver dichiarato, cosa quantomeno sconcertante, di non essere a conoscenza dei trascorsi di Fenzi, se l’è cavata pilatescamente in questo modo: ''Non annullerò né sospenderò questo appuntamento - ha spiegato Giani - benché non fossi a conoscenza dei trascorsi di Fenzi, stamani ho parlato con numerosi dantisti, i quali mi hanno tutti sottolineato la competenza e il valore del contributo scientifico di questo professore. Inoltre Fenzi  è già stato commentatore di Lecturae Dantis analoghe a quella in programma il prossimo 9 maggio sia nel 2003 che nel 2007''. In compenso, poiché  i relatori vengono decisi dal Comitato Scientifico e non dal consiglio di amministrazione, Giani ha assicurato che in futuro le nomine saranno vagliate anche da questultimo, per valutarne non solo la competenza ma anche l’opportunità. [1]

Forse, tra le tante cose che Giani ignora, c’è anche quella che nel marzo 2011 un convegno su Petrarca all’università di Genova è stato annullato proprio per le polemiche sollevate dalla presenza di Fenzi tra i relatori. Ma quello che fa più pena è la logica farisaica che si cela dietro certe dichiarazioni: non annullo l’invito perché Fenzi è un letterato di chiara fama, ma in compenso la prossima volta starò più attento a chi l’associazione da me presieduta non certo per meriti scientifici o culturali ma solo perché sono un politico, invita a  parlare.

Triste davvero pensare che il predecessore di Giani è stato il prof. Enrico Ghidetti, uno dei più illustri italianisti viventi  che non ha mai sentito minimamente il bisogno di associare alla cattedra la lotta armata. Le nomine di certe istituzioni non dovrebbero essere inquinate dalla politica, soprattutto considerando il fatto che tali politici prestati alla cultura  non riescono neppure a svolgere quella funzione di garanzia che potrebbe un minimo giustificare la loro inutilissima presenza.

Tuttavia non è questo adesso il punto principale, anche se certo non sarebbe male vedere cosa significa l’era Renzi (a proposito; signor sindaco, nulla da dire sull’ex brigatista in cattedra?) per le istituzioni culturali fiorentine.  I paladini di Fenzi non mancano e fanno leva su due punti: l’indiscussa competenza del personaggio in materia di letteratura italiana, soprattutto per quanto riguarda Petrarca e Dante, e il fatto che si sia dissociato e abbia comunque scontato una pena detentiva; cosa giustificherebbe dunque  una damnatio memoriae ?

 Lui stesso, in una intervista a “Repubblica” (tanto per cambiare!) proprio in occasione del mancato  convegno, dichiarò: "Mai fatto propaganda, mai svolto attività di reclutamento, certo quarant'anni fa è successo qualcosa di grave, ma in Italia non se ne può parlare. Oggi una trasmissione come "la Notte della Repubblica" di Zavoli non si potrebbe realizzare. Non c'è altro da aggiungere"; e a proposito delle polemiche suscitate e delle reazioni delle parenti delle vittime del terrorismo:  “A essere sincero, mi sembrano un po' pretestuose, nel senso che forse vorrebbero colpire qualcuno che non sono io, magari il Rettore. Dalla parte delle vittime, capisco; però io ho avuto una condanna a diciotto anni di carcere e dieci me li sono fatti, mi sono messo in pari con la legge. E dopo 40 anni non c'è un'altra legge che mi impedisca di fare il mio lavoro. Anzi è contro la legge impedirmelo".[2]

Dispiace molto, invece, che il professor Fenzi non abbia ritenuto di dover aggiungere altro a quella domanda, che gli chiedeva conto dell’accusa di essere stato un cattivo maestro.  Perché quello che sfugge a lui e a suoi zelatori è forse questo:  il fatto di aver pagato la pena comminata dalla legge è una cosa, il fatto di poter salire su un “pulpito” a parlare di quei fondamenti della nostra civiltà che lui e suoi sodali volevano sovvertire da capo a fondo è un altro. Non si tratta solo di competenza scientifica: nessuno impedisce a lui, o a chiunque altro, di studiare e di pubblicare e se la sua attività critica e filologica accresce la nostra conoscenza di autori tanto venerati  va benissimo, se non altro così questo signore può rendere un servigio a quella comunità e a quella civiltà che ha così gravemente offeso.

Ma salire una cattedra, addirittura effettuare una Lectura Dantis non è esercitare una semplice attività scientifica;  è probabile che Giani e i suoi pari a questo non ci arrivino, ma Fenzi da studioso e umanista sicuramente sì: chi insegna si pone inevitabilmente come educatore, nel senso più alto e nobile del termine. Chi sale su  una qualsiasi “cattedra” non dovrebbe essere solo competente nella propria materia; condizione certo necessaria, ma non sufficiente, in quando chi insegna qualcosa si pone come inevitabilmente come modello e punto di riferimento.  La presenza di un ex brigatista potrebbe essere letta addirittura come una provocazione, nel senso di lanciare un messaggio per cui anche certi “errori”, in fondo, sono solo semplici incidenti di percorso.  Una lectura Dantis non è solo un’analisi critica di un testo: significa soprattutto estrapolare il messaggio del poeta, di un uomo che tra l’altro ha sempre combattuto “a viso aperto” per le sue idee, senza nascondersi nella clandestinità e senza adottare la vile tecnica dell’agguato: fu feditore a cavallo a Campaldino, il che significa combattente di prima linea.

E proprio il XV canto del Paradiso, quello che dà inizio allo splendido Trittico di Cacciaguida, che analizza la corruzione  di una città dilaniata dalle discordie civili e rimpiange la concordia e l’unità della Firenze antica, dovrebbe essere letto e commentato da un ex brigatista? Perché allora non fargli commentare il successivo, che così si conclude: 

Con queste genti vid’io glorioso/ e giusto il popol suo, tanto che il giglio/non era ad asta mai posto a ritroso/né per division fatto vermiglio.

Sarebbe stato interessante vedere se diventava pure lui “vermiglio” in ricordo del sangue versato in quegli anni, ma evidentemente la coscienza di certi soggetti è molto elastica e a prova di … bomba . E allora viene da chiedersi se dedicare la vita allo studio di Dante e Petrarca, a certi personaggi, sia servito veramente a qualcosa.



[1] http://www.lanazione.it/firenze/cronaca/2013/04/05/869151-docente_brigatista_ospite_firenze_delle_lecturae_dantis.shtml

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Loredana il 22/04/2013 10:23:17

    Sono perplessa anch'io. Devo dire che non mi sento di concordare sul fatto che non si può pagare per i propri errori per sempre. Cerco di spiegarmi. E' facile, da giovani, farsi sviare, aderire a ideologie estreme, fare errori di ogni genere. In questo caso, però, si parla di spargimento di sangue umano. Si finisce DAVVERO per pareggiare il conto, pur essendo stato in carcere, e nemmeno per tutto il tempo previsto, per un reato simile? Sono d'accordo sul fatto che debba comunque portare avanti la sua vita, il suo lavoro, in modo che s'integri di nuovo nella società. Tuttavia, a mio modestissimo avviso, ci sono dei campi e dei territori in cui non si può andare, dopo trascorsi del genere. Per quanto abbia "pagato", un evento di quel genere lascia tracce indelebili. Forse in questo Paese, dove facciamo finire tutto a tarallucci e vino, possiamo considerare un omicidio come un "incidente di percorso", ma non lo è, e non lo sarà mai. La situazione è complessa e delicata, e doveva essere gestita con maggior calma e rispetto.

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