Le sviste della storia

Gian Gastone, l'impresentabile che governò con giudizio e intelligenza

L'ultimo dei Medici aveva abitudini discutibili, ma storia lo ha inchiodato all'aneddotica trascurando le sue vere capacità. Niente di nuovo, lo sappiamo bene purtroppo

di Domenico Del Nero

Gian  Gastone, l'impresentabile che governò con giudizio e intelligenza

 La storia, questa sconosciuta. Tutti ne parlano e tutti si sentono autorizzati a sparare i giudizi più roboanti e altisonanti; infatti – questo è il ragionamento  che si sente spesso – certi libri e certi articoli possiamo leggerli tutti ….

Non c’è dubbio, un libro di storia è probabilmente meno astruso da comprendere di un trattato di ingegneria nucleare o di economia pura; anzi, se a quanto sembra (miracoli della “politica” recente!)  ci si può improvvisare persino  economisti, figuriamoci poi storici !

Sarà per questo forse che nel nostro paese vige la feroce dittatura del luogo comune, dell’ignoranza cattedratica, del bestiario  storico per cui un pregiudizio e una clamorosa falsificazione diventano poi vangelo e se qualcuno si azzarda a metterlo in dubbio viene immediatamente inchiodato alla gogna del politicamente corretto, dello storicamente dogmatico e soprattutto dello stupidamente inossidabile.

La storia recente del nostro paese offre sicuramente una grande messe di esempi al riguardo, dal cosiddetto “Risorgimento” al Fascismo. Pochi però, fuori della Toscana (e forse anche all’interno di essa) conoscono la vicenda dell’ultimo granduca di casa Medici; e quelli che la conoscono, sono in buona parte ancorati a una leggenda nera. O meglio, a una leggenda sudicia.

La stessa iconografia dell’ultimo sovrano mediceo sicuramente non è incoraggiante: bolso e precocemente invecchiato, Gian Gastone sembra essere veramente il ritratto della decadenza e soprattutto della tristezza. E quest’ultima cosa sarebbe anche facilmente comprensibile: sapeva bene infatti di essere l’ultimo sovrano dei  Medici, quella famiglia che dal Mugello era poi diventata la “masnada del Mercato Vecchio” e pur senza risalire certo alle crociate aveva saputo innalzarsi sino a un trono, scrivendo pagine decisive non solo di Firenze e della Toscana, ma della cultura Italiana e Europea.

Sapere di essere l’ultimo di una famiglia simile, avere oltre a tutto la consapevolezza che il suo regno, la sua gente sarebbe divenuta dopo la sua morte ostaggio delle grandi potenze del tempo e sotto una dinastia straniera, avrebbe amareggiato chiunque, anche se poi la Provvidenza (o il fato,a seconda dei gusti) fu benevola con la Toscana assegnandole una dinastia che non fece rimpiangere la prima, tanto che oggi i pochi toscani doc rimasti rimpiangono amaramente l’una e l’altra.  Ma questo Gian Gastone non poteva prevederlo  e del resto gli inizi dei Lorena  non sarebbero stati proprio dei più incoraggianti.

Facile ridere sulla leggenda del  Granduca circondato da un gruppo di giovinastri avvinazzati, i cosiddetti ruspanti,  che trascorreva tutta la giornata in camera di letto più simile a una fogna che a una residenza regale,  immerso in attività degne di gossip berlusconiani (e perdipiù in versione gay)  stordendosi sino all’inverosimile per cercare di non sentire l’orologio della storia, che scandiva inesorabile il declino della sua dinastia.

Peccato che i documenti nell’ Archivio di Stato di Firenze  raccontino una vicenda almeno in buona parte diversa, al punto da farci amaramente deprecare, in questi tempi di pagliacci più o meno patentati che, in qualche caso, sembrano credersi davvero monarchi coronati, di non avere sulla scena politica italiana un Gian Gastone: capace di liquidare con un battuta alla toscana anche le situazioni più serie, tanto che il cronista Francesco Settimanni, non particolarmente benevolo nei suoi confronti si stizziva di alcune facezie con le quali  “ha sovente in costume di mettere in ridicolo queste e simili cose e particolarmente della corte di Roma, per la quale al contrario del granduca suo padre non aveva alcuna estimazione.”

Si trattava per la verità di una battuta assai innocente: richiesto dal proprio Segretario di Stato su come organizzare la cerimonia del conferimento di una prestigiosa onorificenza papale, la rosa d’oro, alla cognata principessa Violante di Baviera, il Serenissimo granduca avrebbe risposto: “ Bisogna parlarne con Rapa che s’intende delle rose, io per me non m’intendo di rose." Rapa era il giardiniere di Boboli.

Allora come sovente oggi: una battuta spiritosa ma sostanzialmente innocua (al massimo, poteva voler dire “non seccatemi con questioni di cerimoniale!)  fu presa come  uno strale velenoso nei confronti della curia romana, che invece Gian Gastone rispettò sempre pur tenendo alla sua indipendenza di sovrano. E diventò così una prova del cinismo e addirittura dell’indifferenza religiosa (!!) del Granduca.

“Io col divino aiuto cercherò di camminare con massime di buon Principe neutrale, né di parzialeggiare con alcuno ,desideroso di mantenermi  libero e quieto quel poco (porto?) di sovranità che Iddio mi ha dato.”  Questa è direttamente la voce del Granduca, senza intermediari né cronisti più o meno maligni e cacciatori di gossip: così in una lettera del 13 nove3mbre 1723 al suo ambasciatore a Vienna, Ferdinando Bartolommei,  Gian Gastone appena salito al trono traccia il suo programma politico: indipendenza della sua terra, vero vaso di coccio tra la Spagna, la Francia e l’impero. E  l’ombra delle potenze non gli impedì di governare a suo modo, con ministri saggi e assennati e  ponendo le basi –come già avvertiva anni fa Piero Bargellini – per l’abolizione della pena di morte che sarà realizzata dal suo successore Pietro Leopoldo.  Il Settimanni si scandalizza del fatto che il granduca – che pure sovente accusa di pigrizia e inerzia – intervenga spesso a commutare la pena di morte in pene detentive, anche quando si tratti di gravi e efferati omicidi. Più clemente, in questo, di tanti attuali presidenti degli Stati Uniti …

Ci sarà poi – ma il condizionale è d’obbligo – qualcosa di vero nelle sue abitudini stravaganti, nel suo atteggiamento irriverente nei confronti della nobiltà al punto, assicurano certe fonti peraltro quantomeno dubbie, di scandalizzare le signore dei salotti buoni “col rutteggiare e con le parolacce”.  Atteggiamenti certo non molto regali se autentici, ma che non scalfiscono di un millimetro la sostanza di un sovrano accorto e attento, degno epigono della sua dinastia.

Avessimo oggi un Gian Gastone, deciso a difendere sino ai limiti delle sue possibilità l’indipendenza del suo stato e ad averne comunque cura sino all’ultimo respiro. Oggi non saremmo schiavi di burocrati e banchieri né sottoposti a squallidi re senza corona, forse più compiti ma certo infinitamente più plebei dell’ultimo Medici, con o senza il rutteggiare. E non ce ne voglia Sua Altezza Reale  il Serenissimo Granduca per il paragone.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Loredana il 04/04/2013 15:03:04

    Allora è vero: niente di nuovo sotto il sole. Scopriamo di avere anche una lunga tradizione di impresentabili, oltre a tutte quelle che caratterizzano il nostro Paese. L'articolo mi ha fatto riflettere: cosa direbbe Gian Gastone delle odierne buffonate che noi Italiani crediamo siano politica? Ho quasi paura a rispondere...

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