Vipera. Nessuna resurrezione per il commissario Ricciardi

Il sesto romanzo della fortunata saga ricciardiana... scritto da Maurizio de Giovanni

Ma è la morte la vera protagonista di questa storia

di Annamaria Torroncelli

Il sesto romanzo della fortunata saga ricciardiana... scritto da Maurizio de Giovanni

La copertina del libro

Lunedì 21 marzo 1932, inizia la Settimana Santa.

Si sono spenti da poco gli echi della festività di San Giuseppe, la città, ammaliata dai primi profumi della natura che si risveglia, vive i preparativi sacri e profani della Pasqua. In questo clima si consuma un omicidio nella più celebre casa chiusa della città, il Paradiso. Una delle ragazze, Maria Rosaria Cinnamo, in arte Vipera, la più bella e nota prostituta di Napoli viene trovata soffocata sul suo letto.

Il delitto si presenta subito di difficile risoluzione, paradossalmente per eccesso di indiziati. Ricciardi, affiancato dall’immancabile Maione, risolverà il caso grazie al suo intuito felice tra innumerevoli colpi di scena.

Ma l’omicidio di Vipera non è l’unica preoccupazione del tenebroso commissario dagli occhi verdi. Luigi Alfredo, sempre più dilaniato nell’incertezza affettiva tra Enrica e Livia, dovrà occuparsi anche dell’arresto per motivi politici del dottor Modo, suo caro amico nonché medico legale di fiducia. Questa in breve la storia.       

Vipera è il sesto romanzo della fortunata saga ricciardiana, e la strada della serialità, si sa, non è priva di insidie e tranelli. I personaggi ben noti e caratterizzati, i luoghi ormai familiari, le dinamiche narrative consolidate lungi dall’attrarre, potrebbero trasformarsi in un deterrente alla lettura. Ma Vipera, è la prova inconfutabile che è la penna dello scrittore che fa la differenza; il suo cuore, la sua raffinatezza culturale possono rendere una storia semplice un romanzo da ricordare. Un romanzo che lascia il segno. E Vipera lascia il segno.

Ho già avuto occasione di elogiare le qualità di Maurizio de Giovanni come narratore e maestro dell’affabulazione. L’ho definito acrobata delle parole e funambolo del colpo di scena. Ma questo nuovo romanzo impone una riflessione in più. È un’opera straordinaria nel suo equilibrio narrativo dove storia e fantasia, tragedia e comicità, natura e città, amore e odio, si mescolano in dosi perfette rendendo la narrazione una vellutata pasta frolla, come quella che accoglie il sublime impasto  della pastiera. De Giovanni gioca con i tempi narrativi e i personaggi, e non solo per  ingannare il lettore e distogliere il suo sguardo dal particolare rivelatore. Lo fa perché si diverte, e quindi diverte. Lo fa perché crea l’atmosfera che ama e ne fa dono ai suoi lettori. Lo fa perché è istintivamente coinvolto nelle sue storie. Ne è sedotto e seduce.

L’inizio è ansimante. Ansimante e ricco di contrasti, stridente tra passione e vizio, freschezza e miasma, luce e oscurità. L’incalzare delle domande sull’amore mentre una vita si spegne sotto la pressione di un cuscino, la corsa in Questura di Marietta, la guardiana del Paradiso, per avvertire dell’omicidio e il concitato arrivo, tra sorrisi e ammiccamenti, della squadra di Ricciardi al Paradiso. L’antitesi tra la voce cavernosa di Marietta, evocativa di bordello e di peccato, e il suo nome che sa di comare, allegra e solare. c. Un contrasto fra l’amore inconsolabile che arma una mano suicida, incapace di affrontare ormai da sola il susseguirsi delle stagioni e l’amore mercenario, finto. Nei sospiri, negli odori, nei brividi della pelle.

Il romanzo è una sceneggiatura perfetta: nei tempi d’azione, nell’alternanza e nella commistione di tragedia e comicità, nel depistaggio del lettore nel corso dell’indagine, nel contrappunto di natura e quotidianità ad eventi tragici e ricchi di tensione. Anche in questa storia de Giovanni conferma la sua maestria ed attenzione a tratteggiare i personaggi minori, quelli che solo marginalmente lambiscono la storia, in maniera magistrale. Poche pennellate e diventano, anche se per poche battute, protagonisti.  Marietta la guardaporte, il pianista Amedeo, la sorella di Giuseppe Coppola, Caterina, Gennarino, il figlio di Vipera, il cieco suonatore di fisarmonica.

Ma è la morte la vera protagonista di questa storia.  Un  delitto che si consuma proprio nei giorni più intensi della liturgia cristiana, quelli che ricordano la morte del Cristo e preparano lo spirito ad accogliere la gioia della sua Resurrezione. La morte era la morte: esigeva rispetto, dovunque e comunque si presentasse, pensa Maione davanti al portone del Paradiso, pretendendo un adeguato contegno ai curiosi accorsi alla notizia dell’omicidio. Ed è proprio il rispetto nel vedere quelle “braccia aperte, come ali di un uccello che non avrebbe volato mai più” che spinge Ricciardi a favorire un umano, ultimo viaggio alla sfortunata Vipera.

Per il Giovedì Santo la primavera scelse l’abito grigio. Così principia il racconto del funerale di Vipera, senza dubbio tra i capitoli  più emozionanti dell’intero romanzo. La funzione funebre, sebbene vietata dal diritto canonico in vigore all’epoca, è una questione di misericordia e di umanità per una donna che non ha mai fatto male a nessuno, nella sua vita troppo breve. Questo sostiene un affezionato cliente della ragazza.  E Ricciardi con istintiva sensibilità condivide in pieno questo nobile sentimento religioso di compassione, lui così lontano dalla fede, e si assume la responsabilità di consentire la cerimonia. Con discrezione e raccoglimento. Anche Maione è presente al commiato della prostituta, con l’animo del padre generoso negli affetti, come non mancherà il burbero e generoso, dottor Modo, assiduo frequentatore di case chiuse, per accompagnare la ragazza all’ultima passeggiata. E poi, le ragazze, le sue compagne di vita, Bambinella, il femminiello informatore di fiducia di Maione, si stringono intorno a lei e la salutano. Con la dolce carezza sulla cassa scura ed anonima, con un geranio rosso che vola da chissà quale finestra, al suono della struggente melodia di un tango.

Ma non c’è solo dolore e malinconia. In Vipera si ride, come si ride a Napoli, sempre in bilico tra tristezza e ilarità.

I dialoghi, o meglio i duetti tra Bambinella e il brigadiere Maione sono momenti di pura comicità, perfette sceneggiature teatrali, serrate nei tempi, dall’impatto emotivo forte, capaci di rendere intuibili, silenzi, ammiccamenti e gestualità. Da chi è napoletano, e da chi non lo è.  De Giovanni scrive anche senza parole.

E infine, l’amore. Di chi lo compra e di chi, come Ricciardi, ne è tormentato. Ancora incerto tra Enrica e Livia, tra affetto e passione, tra dolcezza e voluttà, per la prima volta, forse, mette in discussione se stesso. Affrontando il perché del suo dilemma, e forse lasciandosi travolgere dai sensi, dall’istinto. Un percorso che si profila doloroso per tutti, che lascia alle spalle lacrime, rabbie, rimpianti. Livia si va liberando della sua corazza di donna spregiudicata e senza cuore e si propone come una creatura fragile e assetata d’amore, provata dalla vita in modo indelebile dalla perdita del figlio e da un matrimonio senza amore. Lo cerca, l’amore, all’apparenza come un capriccio, ma in realtà come ragione di vita. È sensuale, di una sensualità aggressiva, felina, ma è anche capace di dolcezze infinite, inconfessate anche a se stessa. Gli occhi velati di lacrime, le labbra mordicchiate per ingoiare pianti di rabbia e di dolore, ne sono la prova. Enrica è smarrita, nella sua inesperienza amorosa, di fronte alla complessità psicologica di Ricciardi sebbene sia spalleggiata dall’ineffabile tata Rosa, consapevole della sua  salute malferma e fermamente intenzionata ad affidare il suo signorino nelle mani di una ragazza “di casa”, tenendolo alla larga dalle lusinghe della bella forestiera. Ma è Ricciardi che dovrà decidere tra le due donne, o meglio quale tipo di donna desideri.

E non è detto che decida. O che sappia o voglia decidere.

Maurizio de Giovanni, Vipera. Nessuna resurrezione per il commissario Ricciardi, Torino, Einaudi, 2012, pp.312. Euro 18,00

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