Gabriele Lavia, protagonista e regista

Tutto per Bene di Pirandello ha inaugurato la stagione alla Pergola di Firenze

Un gioco di paradossi, di ironia e di disperazione: per l’appunto, il teatro del grottesco, come diceva il grande scrittore siciliano

di Domenico Del Nero

Tutto per Bene di Pirandello ha inaugurato la stagione alla Pergola di Firenze

Gabriele Lavia

 “Ho una mia idea su Pirandello  (…)  per me è il più grande autore di tutti i tempi e più grande anche dei tre più grandi classici greci; nessuno prima di lui e nessuno dopo di lui potrà mai scrivere qualcosa come chi siete che cosa volete, siamo dei personaggi, che cercateun autore. “  Parola di Gabriele Lavia protagonista e regista di Tutto per Bene di Luigi Pirandello che ha appena inaugurato la stagione del teatro alla Pergola a Firenze; e se  tale giudizio, con tutto il non poco rispetto dovuto a Pirandello può forse sembrare un po’ eccessivo, non c’è dubbio che Lavia abbia fatto di tutto per fargli forza e … visibilità. Un grande spettacolo infatti, quello che si è appena concluso domenica  con un meritatissimo successo: Tutto per Bene (scritta nel 1919, tratta da una novella; e rappresentata per la prima volta a Roma il 2 marzo 1920)  è senz’altro, come il Pensaci Giacomino o Il Gioco delle Parti,  uno di quei drammi “diabolici” in cui il sommo drammaturgo siciliano fa a pezzi dall’interno il dramma borghese, smascherandone da un lato l’artificiosità e l’assurdità; ma nello stesso tempo mettendo anche a nudo le ipocrisie, le convenzioni artificiose e le menzogne della borghesia stessa, che appiccica implacabile maschere e identità fasulle a chi, come l’uomo, sarebbe invece refrattario a ogni identità. E così Martino Lori, se per se stesso  è un vedovo inconsolabile convinto della “santità” del vincolo coniugale, dell’amicizia etc. per gli altri è invece un “cornuto contento” che ha non solo sopportato, ma addirittura favorito la tresca della moglie con un proprio potente amico e benefattore, il senatore Salvo Manfroni. Per  questo egli non comprende il motivo del disprezzo da cui si sente circondato, persino da sua figlia Palma (che poi in realtà sua figlia non è; ma a differenza di quanto il mondo crede, lui non lo sospetta neppure). Così, la rivelazione improvvisa di tutto ciò rischia di schiantare il povero Martino; potrebbe vendicarsi, rivelando tra l’altro un ignobile plagio scientifico dell’illustre senatore,  ma alla fine il gioco delle apparenze riprende il suo posto (Tutto per bene, appunto), anche se il povero Lori riesce almeno a riscattare la sua credibilità e l’affetto della figlia …. non più figlia!


Un gioco di paradossi, di ironia e di disperazione: per l’appunto, il teatro del grottesco, come diceva Pirandello stesso . Un testo dunque difficilissimo, soprattutto in un personaggio come Martino, chiuso nella propria “parte” che all’improvviso viene totalmente ribaltata, per cui passa dalla  più totale remissività alla disperazione che lo porta persino alla violenza; e non privo di qualche ambiguità e contraddizione, tanto che la sicurezza assoluta della sua “innocenza” è tutt’altro che assodata; un dubbio, nella testa dello spettatore, rimane sino in fondo e non si scioglie.  Gabriele Lavia ha magistralmente interpretato sia il testo sia il personaggio;  una ambientazione e una scenografia sobrie  ma che ricreano perfettamente l’ambiente dell’alta borghesia, con l’inquietante presenza del sepolcro della moglie di Lori sempre in scena. 


Uno spazio scenico “claustrofobico” come ricorda lo scenografo Alessandro Camera, il cui risultato è “che l'azione pare quasi svilupparsi in una prigione, in una sorta di tomba,” mentre un continuo “notturno temporalesco”  scandisce l’implacabile avanzare di una vicenda all’inizio incomprensibile e tanto più allucinante quanto più si avvia al suo sarcastico epilogo; con tutti i protagonisti insieme che, fantocci di quella “grande pupazzata” che era per Pirandello la vita, si bloccano sulla scena proprio come marionette in alcuni punti chiave del dramma.  E personaggio davvero “allucinato” nel suo remissivo  isolamento prima e nella sua furia poi il Martino di Lavia,  figura quanto mai credibile e suggestivo nella sua “alienazione”; così come perfetti esemplari di boria e di sprezzante vanità erano il bonario e paternalistico senatore Manfroni di Gianni de Lellis e  l’altezzoso e fatuo marchese Flavio Gualdi (marito di Palma) di Woody Neri.

Convincente anche la recitazione delle parti femminili, soprattutto  Palma, magistralmente interpretata dalla figlia di Gabriele,  Lucia Lavia; ma anche l’esuberante e disinvolta signora Barbetti,  (Daniela Poggi) in fondo molto meno ipocrita nella sua franchezza dei signori “per bene”.  

 Almeno sulla scena … tutto per bene per davvero:! un autentico capolavoro di perfidia pirandelliana; un eccellente inizio di stagione per il massimo teatro di prosa fiorentino,  e si spera anche un buon auspicio per il seguito!  

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