Editoriale

Adesso prepariamoci a pagare il prezzo che ci chiede la Ue

Dopo L'annuncio delle dimissioni di Berlusconi è bene andar cauti a cantar vittoria

Simonetta  Bartolini

di Simonetta  Bartolini

così Berlusconi ha stabilito di dimettersi dopo l’approvazione della legge di stabilità, la votazione alla Camera ha sancito un ribaltamento dei numeri, almeno di certi numeri, anche se non proprio quelli a favore dell’opposizione sicuramente quelli contro la maggioranza. E tanto basta.

In queste ore stiamo assistendo, e continueremo per chissà quanto, all’accavallarsi di ipotesi, le più stravaganti e le più credibili, sull’evolversi della situazione. Ora è il tempo della fantasia politica in libera uscita.

Se la situazione italiana non fosse drammatica potrebbe anche essere divertente vedere ancora una volta i meccanismi auto-assolutori della politica mettersi in moto per farci fessi e contenti, almeno quella parte di elettorato che crederà alla fine di aver vinto.

Purtroppo questa volta paghiamo tutti, direttamente e a caro prezzo. Inutile illuderci, il nostro problema non è chi ci governa o chi ci governerà, il nostro problema è l’Europa, quell’Europa che si dice terribilmente preoccupata per noi, quell’Europa che manda a Tremonti 40 domande chiedendo ragione delle cose più stravaganti e meno coerenti fra loro (cosa è stato fatto per la valorizzazione degli insegnanti e cosa si è fatto delle riforme economiche) tutte importanti, per carità, ma disomogenee al punto da far pensare ad un’acredine nei nostri confronti francamente insopportabile e ad un’altrettanto insopportabile ingerenza nella nostra sovranità.

I mercati in questi giorni hanno dichiarato, con i loro alti e bassi, di non avere fiducia in Berlusconi al punto che lo spread, il famigerato differenziale con i titoli tedeschi, è schizzato alla famosa quota 500 che gli specialisti danno come punto di non ritorno.

In teoria da domani quel maledetto differenziale dovrebbe cominciare a calare. In teoria da domani non dovremmo più avere il timore di essere come la Grecia. In teoria. Vedremo.

Intanto volano parole grosse e francamente sovra-dimensionate rispetto alla situazione.

Traditori. Bumm, vien voglia di dire, ma per piacere! In politica si tradisce un’idea, una promessa elettorale, un’ideologia, non un uomo, un premier, o chi per lui.

Con un po’ di qualunquismo verrebbe voglia di dire che i veri traditi sono stati gli italiani, ma questa è una faccenda che va avanti da oltre 50 anni. Anche in questo caso: bumm!

Ricordiamoci che da oltre 50 anni siamo noi a votare chi ci malgoverna. Siamo stati noi a lasciarci gettare fumo negli occhi da falsi proclami di  chi si dichiarava migliore degli altri.

Mentre scriviamo a Ballarò Enrico Letta sta dicendo che fino a qualche anno fa (quando abbiamo aderito all’Euro) eravamo in serie A e ora siamo in C.

Ma per piacere! Smettete di prenderci in giro, la nostra serie A è sempre stata quella di chi comprava l’arbitro. Ora che non si capisce chi comprare perché l’arbitro è diventato virtuale (cioè quei mercati finanziari  che viaggiano secondo logiche incomprensibili)  siamo nella serie che ci compete.

Il vero problema è che da decenni viviamo al di sopra delle nostre possibilità; da decenni il paese è stato una mucca da mungere senza darle da mangiare a sufficienza perché rimettesse il latte. Ora la mucca si sta isterilendo, e come sempre accade in questi casi, i tanti (noi cittadini comuni) pagheranno per le scorpacciate dei pochi.

Siamo banali, qualunquisti, impolitici? Va bene, se la politica è quella che vediamo, rivendichiamo qualunquismo e impoliticità.

Ora tutti scoprono l’orgoglio nazionale, si indignano per la scarsa considerazione nei nostri confronti da parte dei cosiddetti partners europei. Sono quelli stessi che fino all’altro ieri sputtanavano l’Italia a livello planetario attraverso lo sputtanamento del premier (che non ha fatto niente, anzi, per togliere ai suoi detrattori le armi di offesa).

Che tristezza! Una cosa è certa, comunque vada pagheremo noi nel vero senso della parola, nel senso che poiché l’Europa ci chiede di sborsare più soldi, quelli dovremo metterli fuori noi. Così il nostro anno lavorativo sarà dedicato allo Stato per la maggior parte e saranno pochini, certo insufficienti i mesi in cui lavoreremo per noi. 

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